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lunedì 17 novembre 2014

Dopo il 14 novembre

Analisi interessante di Cosimo Scarinzi

Nell’agitazione e nel tumulto della battaglia, può sembrare ci sia disordine; nel caos e nella confusione, le file dei reparti possono sembrare senza testa o coda; eppure tutto ciò si può dimostrare utile per evitare la sconfitta.
Sun Tzu, L’arte della guerra
 Una valutazione della partita che si è giocata e, soprattutto, di quella che prende le mosse dallo sciopero del 14 novembre deve tener conto di, almeno, tre livelli sui quali si sta dando - la riuscita dello sciopero del sindacalismo di base, la relazione con i movimenti, la dialettica con la "discesa in campo" della FIOM e della CGIL - e che rimandano inevitabilmente l'uno agli altri.
 Come è noto la data del 14 novembre è stata proposta da un'assemblea di movimento e assunta, non senza qualche problema, dall'assieme dei sindacati di base.
Questa doppia genesi è simbolicamente raffigurata nell'utilizzo di due definizioni, sciopero generale e sciopero sociale che si intrecciano ma non si risolvono l'una nell'altra.
 I settori di movimento che hanno, infatti, posto l'accento sullo sciopero sociale hanno visto nel 14 novembre essenzialmente l'occasione per dare voce all'universo del lavoro precario, autonomo, deregolamentato individuato sovente come il nuovo corpo centrale della classe, come la condizione verso la quale lo stesso job act, individuato come conclusione di un processo storico, porta la working class tradizionale e dalle cui esigenze materiali, essenzialmente la garanzia del reddito, si devono prendere le mosse.L'area sindacale conflittuale e, in particolare, la CUB, pur guardando con grande attenzione a questo segmento della working class ed assumendo la necessità di allargare il fronte delle lotte e dell'organizzazione, è convinta che, per un verso, non si può abbandonare il conflitto sui posti di lavoro, per la difesa di salario e diritti, e, per l'altro, che solo un intreccio fra diversi segmenti della working class possa permettere un'iniziativa forte e vincente. Non si tratta di una, legittima ed orgogliosa, difesa della propria storia ma di una valutazione assolutamente razionale sui caratteri effettivi e non letterari dello scontro sociale in atto.
Si tratta in ogni caso di questioni che meriterebbero una riflessione approfondita ed uno sforzo di analisi e di azione e che dovremo riprendere nel prossimo periodo.
Per ora è opportuno tener presente il fatto che l'idea che ci attende la precarizzazione universale è, sotto il profilo teorico, una forzatura che non tiene conto della natura reale, complessa e contraddittoria, dei rapporti effettivi fra le classi e che, per l'altro, rischia di adattarsi, inconsapevolmente, all'offensiva di parte statale e capitalista.
Facciamo solo un paio di esempi, nelle assemblee che hanno preceduto lo sciopero è stato autorevolmente sostenuto, un nome per tutti, il professor Andrea Fumagalli, che lo sciopero "tradizionale" è un arcaismo senza rilevanza e che l'unica forma di conflitto efficace è il blocco della circolazione delle merci. Qualcuno è arrivato a sostenere, per sovrammercato, che la liquidazione dei diritti previsti dallo statuto dei lavoratori è questione di poco momento visto che la precarizzazione li ha già liquidati per una parte consistente della classe.A questo punto nasce una domanda sin banale, se fosse così, perché il 10 gennaio 2014 Confindustria e CGIL CISL UIL si sono accordate per rendere impossibile o quasi lo sciopero e la stessa esistenza nelle aziende del sindacalismo di base? Non avevano nulla di meglio di fare? Sono dispettose?
Quando poi si sottovaluta l'impatto devastante delle misure sullo statuto dei lavoratori, non solo l'art. 18 ma anche il demansionamento e il controllo a distanza, è bene ricordarlo, si lascia campo libero all'avversario di classe e sostituendo al necessario confitto reale uno conflitto potenziale tanto vagheggiato quanto ineffettuate.
 Si tratta, di conseguenza, nel dibattito che attraversa l'opposizione sociale di porre l'accento sul carattere propriamente storico della lotta di classe, sul suo essere un intreccio di conflitti in contesti diversi, sulla necessità di difendere quanto abbiamo conquistato e, nello stesso tempo, di praticare forme di lotta nuove proprio perché adeguate al nuovo quadro produttivo e sociale.
 Il 14, d'altro canto, ha visto la discesa in campo della FIOM e della stessa CGIL plasticamente rappresentata dalla marcia, mano nella mano, di Maurizio Landini e Susanna Camusso. Una scelta che ha un impatto ed un significato da non sottovalutare.
Per un verso, è chiaro che la CGIL si ricompatta al suo interno, per l'altro si ripete una situazione non del tutto nuova ma nemmeno priva di novità con la CGIL che parte in solitaria e lascia CISL e UIL al palo.
Già avevamo assistito a consimili sparigliamenti ai tempi dei governi della destra ma questa volta la rottura forte fra PD e CGIL è un fatto da non rimuovere dalla nostra riflessione.
Basta pensare alla scelta della CGIL di sostenere il referendum contro la legge Fornero proposto dalla Lega Nord, una CGIL abituata da sempre al collateralismo con PCI - PDS - DS - PD fa una scelta "scandalosa" e sostiene un'iniziativa non gradita a quello che, sino a ieri, è stato il suo partito di riferimento. Per certi versi la CGIL si decide a fare sindacato senza subalternità e dando un giudizio di merito sulla questione e, nello specifico, su di una legge infame qual'è la Fornero ma, visto che l'autonomia dal quadro politico non è certo nel suo DNA, non è un fatto irrilevante.
 Siamo insomma in una situazione nuova soprattutto se poniamo in relazione il quadro politico e sindacale con la situazione sociale, con la crisi profonda che attraversa la società, con l'irrompere per la prima volta sulla scena di una destra sociale dalle chiari radici fasciste che non si esprime solo con il voto ma che agisce sul campo con mobilitazioni forti e visibili.
 Se quanto sinora rilevato è esatto, si tratta di operare, quantomeno, su due fronti:
 - operare ad una sintesi alta e senza alcuna semplificazione intellettualistica fra conflitto nelle aziende, sul territorio, a livello generale in difesa di salario, reddito, diritti, libertà senza lasciare scoperto alcun terreno e iniziative volte ad allargare il fronte costruendo momenti di azione comune con i settori della working class che la precarizzazione del lavoro e l'innovazione tecnologica hanno prodotto;
 - cogliere gli spazi che la crisi del corporativismo democratico sta aprendo, si tratta di evitare ogni subalternità alla CGIL, ogni illusione su di un suo rinverginamento, ogni codismo e, nello stesso tempo,. di aprire una dialettica reale con quei settori di lavoratori, delegati, militanti sia aderenti a CGIL CISL UIL che non inquadrati in queste organizzazione che intendono scendere in campo nei fatti e non solo sul piano del discorso.A questo fine è necessaria un'azione intelligente di riapertura del confronto fra sindacati di base nella consapevolezza che siamo in tempi interessanti, in tempi nei quali si gioca la possibilità di una ripresa di iniziativa che, evitiamo illusioni, non dipende solo da noi ma che noi possiamo cogliere appieno solo se sapremo proporre ai lavoratori ed alle lavoratrici che si mobilitano ipotesi credibili di lotta e di coordinamento.
Da questo punto di vista, la buona riuscita dello sciopero del 14 non scontata se si considera il solito fragoroso silenzio del media, le pressioni delle aziende e delle amministrazioni pubbliche per farlo fallire, la "discesa in campo" della CGIL che ha indetto, pare, sciopero per il 5 dicembre proprio, guarda caso, alla vigilia dello sciopero del 14 novembre, l'alzata di ingegno di USB che ha scioperato in solitaria e a meri fini autopromozionali il 24 ottobre per poi stare anche sul 14 novembre, è una condizione di partenza da non sprecare.


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