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giovedì 17 marzo 2016

Intervista a Conny Fasciana (Pdac) - Le ragioni dello sciopero

Nonostante gli attacchi del governo Renzi alla classe lavoratrice - dal Jobs Act alla "Buona Scuola" fino alle pesanti misure antisciopero e repressive - l'autunno 2015 è stato piuttosto freddo. Né le grandi confederazioni sindacali burocratiche (Cgil, Cisl e Uil) né i sindacati alternativi più conflittuali hanno proclamato azioni di sciopero generale su scala nazionale. Un fatto strano, tanto più in una fase, come quella in corso, di rinnovo dei contratti nazionali di importanti settori operai, come i metalmeccanici, i chimici o i trasporti.

Ora finalmente è in arrivo il 18 marzo uno sciopero generale proclamato dal sindacalismo di base (Cub, Si.Cobas, Usi-Ait, settori dello Slai Cobas, e altri). E' uno sciopero che ha tra le rivendicazioni principali l'opposizione alla guerra e alle missioni militari dell'imperialismo (Libia in primis). Ma sarà anche uno sciopero generale contro la guerra di classe del governo Renzi e dei padroni, contro le politiche razziste dell'Unione Europea, per rivendicare dignitose condizioni di vita e di lavoro.
Ne parliamo con Conny Fasciana, membro del Comitato Centrale del Pdac, lavoratrice del pubblico impiego e attivista del sindacalismo di base in Sicilia.

Conny, prima di tutto come spieghi la contraddizione tra un autunno così "caldo" dal punto di vista degli attacchi padronali e invece così "tiepido" sul fronte sindacale in un momento tradizionalmente combattivo come quello dei rinnovi contrattuali?

Come lo spiego? Ai miei occhi non c'è bisogno di una spiegazione. Il mio lavoro quotidiano come dirigente del Pdac mi pone costantemente di fronte alla più macroscopica evidenza in merito. Tale evidenza è l'assoluta mancanza di interesse nei confronti della classe lavoratrice da parte dei sindacati collaborativi, ma questo è palese ormai anche ai settori meno avanzati della classe.
Le direzioni di Cgil, Cisl, Uil hanno deposto definitivamente le armi, se mai queste armi le abbiano realmente utilizzate, e sono diventati i cani da guardia dei governi in carica, accucciati nei salotti buoni della borghesia italiana. L'ultimo sciopero generale indetto dalla Cgil, ricordo, fu promosso - uso questo termine non a caso, visto che all'epoca la Camusso aveva perso migliaia di tesserati - per contrastare le modifiche all'articolo 18. Peccato che nel frattempo la stessa Cgil, insieme a Cisl e Uil, si fosse premurata di firmare l'accordo vergogna, cioè l'accordo sulla rappresentanza sindacale, contribuendo ad azzerare i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici.

E' stato tuttavia comunque un autunno di dure lotte. Pensiamo ad esempio alle lotte nel settore della logistica, a quelle degli operai e delle operaie immigrati delle cooperative e dei servizi...

Si, è vero. Il mio pensiero corre alla straordinaria forza di alcuni settori particolarmente combattivi. Non posso negare l'orgoglio che provo nel poter dire che il partito che rappresento sia schierato sempre a fianco di lavoratrici e lavoratori che hanno compreso il ruolo determinante che la lotta ha nel contrastare gli attacchi padronali, da qualsiasi parte provengano. Cito per esempio i lavoratori della Prix, che da gennaio hanno scioperato contro i licenziamenti selvaggi che le politiche del Jobs act hanno reso possibili; oppure gli scioperi continuati ed a turni messi in atto dagli operai Sevel; o la dura lotta delle operaie immigrate della Nek di Monselice. Ma il più emblematico esempio di lotta e resistenza di quest'ultimo periodo è, a mio avviso, quello messo in atto dai lavoratori della logistica della Bormioli. Questi straordinari lavoratori si sono resi protagonisti di una capacità di resistere alla controffensiva padronale veramente fuori dal comune. A partire dallo scorso mese di dicembre essi, quasi tutti immigrati, hanno dato il via a picchetti organizzati e blocchi davanti ai cancelli degli stabilimenti ed in alcuni casi anche delle strade, sfidando tutto: dalle condizioni atmosferiche alle forze dell'"ordine", che nella maggior parte dei casi non hanno esitato a caricarli per liberare i cancelli e consentire ai padroni di continuare indisturbati l'attività produttiva e i trasporti. Abbiamo assistito a episodi disgustosi di repressione poliziesca che sono scaturiti anche in un fermo di massa, circa 40 persone, portate in questura per essere identificate ed oggi indagate per il “gravissimo” reato di opposizione al licenziamento! Uno dei nostri dirigenti di partito, dal primo giorno in presidio con loro, è stato a sua volta posto sotto "fermo". Ma questo non ha fermato nessuno dei lavoratori. La repressione non fermerà la lotta.

Pensi che sia importante rafforzare il legame tra queste lotte?

Più che importante è fondamentale. Solo se ognuno dei focolai è coordinato con altri focolai, allora si potrà iniziare a parlare seriamente di lotta di classe. E' necessario comprendere chi è il vero nemico. Il mio licenziamento, la mia personale condizione di sfruttamento, la mia lotta hanno un unico artefice: il sistema capitalista e il suo assioma, cioè lo sfruttamento. Solo comprendendo che ciò che io subisco quotidianamente non mi colpisce come singolo ma come classe si potrà iniziare a costruire una vera opposizione che miri all'unico risultato davvero risolutivo: la distruzione di quel nemico.
In questo senso ritengo che si stia rivelando prezioso il lavoro del Coordinamento delle Lotte No Austerity. Innanzi tutto perché nasce con il preciso scopo di favorire la solidarietà e l'unità delle lotte al fine di rafforzarle ed estenderle. In secondo luogo perché, nel raggruppare realtà sindacali, comitati di lotta e di fabbrica, organizzazioni di movimento, associazioni, collettivi studenteschi e singoli attivisti, lo fa sulla base di alcune imprescindibili discriminanti, come per esempio l'anticapitalismo, e ovviamente l'antifascismo e l'antirazzismo. E ci tengo a sottolineare che una delle discriminanti è anche l'opposizione a qualsiasi forma di maschilismo. Noi del Pdac sosteniamo il Coordinamento sin dalla sua nascita. Mi preme sottolineare che No Austerity ha messo in moto, fin dall'inizio, una campagna contro l'accordo vergogna sulla rappresentanza sindacale, firmato il 10 gennaio 2014 da Cgil, Cisl e Uil, ma poi anche dalle direzioni nazionali di Cobas lavoro privato, Snater, Orsa e, recentemente, anche da Usb.
E' importante comprendere la portata dell'opposizione intransigente a questo accordo vergognoso e l'importanza di non firmarlo. Infatti, il prossimo 18 marzo l'indizione dello sciopero generale di tutti i settori e di 24 ore sarà possibile proprio perché i sindacati promotori non sono tra i firmatari di quel famigerato accordo.

Le lotte che hai citato sono in gran parte lotte animate da lavoratrici e lavoratori stranieri. Tu vivi in una regione, la Sicilia, dove la tragedia degli immigrati è drammaticamente evidente. Pensi che lo sciopero del 18 marzo debba essere anche uno sciopero in solidarietà con i profughi?

Assolutamente si. La stragrande maggioranza dei lavoratori più sfruttati è rappresentata proprio dagli immigrati. Essi garantiscono al sistema un'inesauribile fonte di profitto anche per la loro condizione di bisogno immediato di assistenza, che consente alle cooperative che gestiscono i centri di accoglienza di appaltare le loro vite al ribasso, tant'è vero che le condizioni di vita in questi lager, come io li definisco, sono al limite della decenza. Carenza di servizi essenziali, tempi di attesa per il riconoscimento dello status di rifugiati interminabili, inaccettabili condizioni igienico sanitarie. Recentemente Medici senza frontiere ha denunciato pubblicamente lo stato di degrado di alcuni di questi centri e in tanti si sono rifiutati di lavorare in simili condizioni. Inoltre il sistema economico si garantisce, grazie alle immigrate  e agli immigrati, manodopera a bassissimo costo, creando così anche le condizioni per fomentare la guerra tra immigrati e nativi. Questi ultimi si sentono depredati del lavoro e della sicurezza grazie ad un bombardamento mediatico che mira a fare apparire gli immigrati come pericolosi e parassiti.
Il 1° marzo scorso abbiamo sostenuto la giornata internazionale in solidarietà degli immigrati di tutto il mondo e le nostre parole d'ordine non cambieranno certo il 18 marzo. Anzi! Stiamo assistendo tutti alle reazioni dei governi europei di fronte alla crisi umanitaria che per esempio riguarda i profughi siriani. Di fatto stanno cadendo ad uno ad uno tutti i presunti baluardi democratici legati al concetto di solidarietà internazionale e gli scenari di migliaia di profughi carcerati alle frontiere europee ci mostra la cruda verità.

Si nota l'assenza di alcune sigle del sindacalismo conflittuale nella proclamazione di questo sciopero. Pare inoltre che ci sia persino difficoltà nell'organizzare manifestazioni unitarie nelle diverse città. Purtroppo come già in passato spesso prevalgono le divisioni tra le sigle sull'unità della lotta...

E' vero. Ma non mi stupisco. D'altronde da ciò che ho detto finora i motivi risultano chiari. Per esempio in Sicilia non è stato organizzato alcun corteo, neppure dai promotori. Questo ci riporta alle considerazioni che facevamo prima rispetto all'importanza dell'unità. Il problema resta sempre lo stesso. I particolarismi, i personalismi, le posizioni arroccate nei propri orticelli. Tutto questo nuoce alla costruzione della reale opposizione di classe. Finché non si supereranno queste barriere difficilmente si potrà ambire a risultati concreti di avanzamento nelle coscienze.

Ti chiediamo di concludere questa intervista spiegando perché pensi sia importante aderire a questo sciopero nella più generale battaglia contro le guerre dell'imperialismo.

Ogni sciopero è importante. Ogni sciopero dovrebbe rappresentare un'occasione di avanzamento.
Aderire a questo sciopero significa entrare in un'ottica di più ampio respiro rispetto alle motivazioni che oggi riteniamo appartengano solo alla nostra realtà locale. Il mondo è guidato da pochi contro l'interesse di molti. Renzi, e prima Letta, Monti e tutti quelli che li hanno preceduti, sono burattini di un teatro mondiale di sfruttamento. Sono lì per eseguire le direttive dei grandi capitali, sono lì per consentire al sistema di funzionare. I soldati italiani andranno in Libia non per fare i “missionari”di pace, ma per contribuire a garantire gli interessi imperialisti. Sigonella e Niscemi sono due presidi militari americani in Sicilia. Non è un caso che proprio pochi giorni fa il Muos abbia iniziato a funzionare a pieno regime, nonostante le polemiche e le lotte fatte in questi anni per contrastarne la costruzione. I disegni del capitale sono sostenuti dai signori della guerra, si nutrono di armi e droni, spacciano slogan sulla sicurezza nazionale e di contrasto al terrorismo per mantenere, rafforzare e garantire gli interessi imperialisti.

Aderiamo a questo ed a tutti gli scioperi. Sosteniamo ogni lotta. Costruiamo la sola via che aprirà le porte a una reale benessere: la rivoluzione è la nostra meta.

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