Nonostante gli attacchi del governo Renzi
alla classe lavoratrice - dal Jobs Act alla "Buona Scuola" fino alle
pesanti misure antisciopero e repressive - l'autunno 2015 è stato piuttosto
freddo. Né le grandi confederazioni sindacali burocratiche (Cgil, Cisl e Uil)
né i sindacati alternativi più conflittuali hanno proclamato azioni di sciopero
generale su scala nazionale. Un fatto strano, tanto più in una fase, come
quella in corso, di rinnovo dei contratti nazionali di importanti settori
operai, come i metalmeccanici, i chimici o i trasporti.
Ora finalmente è in arrivo il 18 marzo uno sciopero generale proclamato dal sindacalismo di base (Cub, Si.Cobas, Usi-Ait, settori dello Slai Cobas, e altri). E' uno sciopero che ha tra le rivendicazioni principali l'opposizione alla guerra e alle missioni militari dell'imperialismo (Libia in primis). Ma sarà anche uno sciopero generale contro la guerra di classe del governo Renzi e dei padroni, contro le politiche razziste dell'Unione Europea, per rivendicare dignitose condizioni di vita e di lavoro.
Ne parliamo con Conny Fasciana, membro del
Comitato Centrale del Pdac, lavoratrice del pubblico impiego e attivista del
sindacalismo di base in Sicilia.
Conny, prima di tutto come spieghi la
contraddizione tra un autunno così "caldo" dal punto di vista degli
attacchi padronali e invece così "tiepido" sul fronte sindacale in un
momento tradizionalmente combattivo come quello dei rinnovi contrattuali?
Come lo
spiego? Ai miei occhi non c'è bisogno di una spiegazione. Il mio lavoro
quotidiano come dirigente del Pdac mi pone costantemente di fronte alla più
macroscopica evidenza in merito. Tale evidenza è l'assoluta mancanza di
interesse nei confronti della classe lavoratrice da parte dei sindacati
collaborativi, ma questo è palese ormai anche ai settori meno avanzati della
classe.
Le direzioni
di Cgil, Cisl, Uil hanno deposto definitivamente le armi, se mai queste armi le
abbiano realmente utilizzate, e sono diventati i cani da guardia dei governi in
carica, accucciati nei salotti buoni della borghesia italiana. L'ultimo
sciopero generale indetto dalla Cgil, ricordo, fu promosso - uso questo termine
non a caso, visto che all'epoca la Camusso aveva perso migliaia di tesserati -
per contrastare le modifiche all'articolo 18. Peccato che nel frattempo la
stessa Cgil, insieme a Cisl e Uil, si fosse premurata di firmare l'accordo
vergogna, cioè l'accordo sulla rappresentanza sindacale, contribuendo ad
azzerare i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici.
E' stato tuttavia comunque un autunno di
dure lotte. Pensiamo ad esempio alle lotte nel settore della logistica, a
quelle degli operai e delle operaie immigrati delle cooperative e dei
servizi...
Si, è vero.
Il mio pensiero corre alla straordinaria forza di alcuni settori
particolarmente combattivi. Non posso negare l'orgoglio che provo nel poter
dire che il partito che rappresento sia schierato sempre a fianco di
lavoratrici e lavoratori che hanno compreso il ruolo determinante che la lotta
ha nel contrastare gli attacchi padronali, da qualsiasi parte provengano. Cito
per esempio i lavoratori della Prix, che da gennaio hanno scioperato contro i
licenziamenti selvaggi che le politiche del Jobs act hanno reso possibili;
oppure gli scioperi continuati ed a turni messi in atto dagli operai Sevel; o
la dura lotta delle operaie immigrate della Nek di Monselice. Ma il più
emblematico esempio di lotta e resistenza di quest'ultimo periodo è, a mio
avviso, quello messo in atto dai lavoratori della logistica della Bormioli.
Questi straordinari lavoratori si sono resi protagonisti di una capacità di
resistere alla controffensiva padronale veramente fuori dal comune. A partire
dallo scorso mese di dicembre essi, quasi tutti immigrati, hanno dato il via a
picchetti organizzati e blocchi davanti ai cancelli degli stabilimenti ed in
alcuni casi anche delle strade, sfidando tutto: dalle condizioni atmosferiche
alle forze dell'"ordine", che nella maggior parte dei casi non hanno
esitato a caricarli per liberare i cancelli e consentire ai padroni di
continuare indisturbati l'attività produttiva e i trasporti. Abbiamo assistito
a episodi disgustosi di repressione poliziesca che sono scaturiti anche in un
fermo di massa, circa 40 persone, portate in questura per essere identificate
ed oggi indagate per il “gravissimo” reato di opposizione al licenziamento! Uno
dei nostri dirigenti di partito, dal primo giorno in presidio con loro, è stato
a sua volta posto sotto "fermo". Ma questo non ha fermato nessuno dei
lavoratori. La repressione non fermerà la lotta.
Pensi che sia importante rafforzare il
legame tra queste lotte?
Più che
importante è fondamentale. Solo se ognuno dei focolai è coordinato con altri
focolai, allora si potrà iniziare a parlare seriamente di lotta di classe. E'
necessario comprendere chi è il vero nemico. Il mio licenziamento, la mia
personale condizione di sfruttamento, la mia lotta hanno un unico artefice: il
sistema capitalista e il suo assioma, cioè lo sfruttamento. Solo comprendendo
che ciò che io subisco quotidianamente non mi colpisce come singolo ma come
classe si potrà iniziare a costruire una vera opposizione che miri all'unico
risultato davvero risolutivo: la distruzione di quel nemico.
In questo
senso ritengo che si stia rivelando prezioso il lavoro del Coordinamento delle
Lotte No Austerity. Innanzi tutto perché nasce con il preciso scopo di favorire
la solidarietà e l'unità delle lotte al fine di rafforzarle ed estenderle. In
secondo luogo perché, nel raggruppare realtà sindacali, comitati di lotta e di
fabbrica, organizzazioni di movimento, associazioni, collettivi studenteschi e
singoli attivisti, lo fa sulla base di alcune imprescindibili discriminanti,
come per esempio l'anticapitalismo, e ovviamente l'antifascismo e
l'antirazzismo. E ci tengo a sottolineare che una delle discriminanti è anche
l'opposizione a qualsiasi forma di maschilismo. Noi del Pdac sosteniamo il
Coordinamento sin dalla sua nascita. Mi preme sottolineare che No Austerity ha
messo in moto, fin dall'inizio, una campagna contro l'accordo vergogna sulla
rappresentanza sindacale, firmato il 10 gennaio 2014 da Cgil, Cisl e Uil, ma
poi anche dalle direzioni nazionali di Cobas lavoro privato, Snater, Orsa e,
recentemente, anche da Usb.
E'
importante comprendere la portata dell'opposizione intransigente a questo
accordo vergognoso e l'importanza di non firmarlo. Infatti, il prossimo 18
marzo l'indizione dello sciopero generale di tutti i settori e di 24 ore sarà
possibile proprio perché i sindacati promotori non sono tra i firmatari di quel
famigerato accordo.
Le lotte che hai citato sono in gran parte
lotte animate da lavoratrici e lavoratori stranieri. Tu vivi in una regione, la
Sicilia, dove la tragedia degli immigrati è drammaticamente evidente. Pensi che
lo sciopero del 18 marzo debba essere anche uno sciopero in solidarietà con i
profughi?
Assolutamente
si. La stragrande maggioranza dei lavoratori più sfruttati è rappresentata
proprio dagli immigrati. Essi garantiscono al sistema un'inesauribile fonte di
profitto anche per la loro condizione di bisogno immediato di assistenza, che
consente alle cooperative che gestiscono i centri di accoglienza di appaltare
le loro vite al ribasso, tant'è vero che le condizioni di vita in questi lager,
come io li definisco, sono al limite della decenza. Carenza di servizi
essenziali, tempi di attesa per il riconoscimento dello status di rifugiati
interminabili, inaccettabili condizioni igienico sanitarie. Recentemente Medici
senza frontiere ha denunciato pubblicamente lo stato di degrado di alcuni di
questi centri e in tanti si sono rifiutati di lavorare in simili condizioni.
Inoltre il sistema economico si garantisce, grazie alle immigrate e agli immigrati, manodopera a bassissimo
costo, creando così anche le condizioni per fomentare la guerra tra immigrati e
nativi. Questi ultimi si sentono depredati del lavoro e della sicurezza grazie
ad un bombardamento mediatico che mira a fare apparire gli immigrati come
pericolosi e parassiti.
Il 1° marzo
scorso abbiamo sostenuto la giornata internazionale in solidarietà degli
immigrati di tutto il mondo e le nostre parole d'ordine non cambieranno certo
il 18 marzo. Anzi! Stiamo assistendo tutti alle reazioni dei governi europei di
fronte alla crisi umanitaria che per esempio riguarda i profughi siriani. Di
fatto stanno cadendo ad uno ad uno tutti i presunti baluardi democratici legati
al concetto di solidarietà internazionale e gli scenari di migliaia di profughi
carcerati alle frontiere europee ci mostra la cruda verità.
Si nota l'assenza di alcune sigle del
sindacalismo conflittuale nella proclamazione di questo sciopero. Pare inoltre
che ci sia persino difficoltà nell'organizzare manifestazioni unitarie nelle
diverse città. Purtroppo come già in passato spesso prevalgono le divisioni tra
le sigle sull'unità della lotta...
E' vero. Ma
non mi stupisco. D'altronde da ciò che ho detto finora i motivi risultano
chiari. Per esempio in Sicilia non è stato organizzato alcun corteo, neppure
dai promotori. Questo ci riporta alle considerazioni che facevamo prima
rispetto all'importanza dell'unità. Il problema resta sempre lo stesso. I
particolarismi, i personalismi, le posizioni arroccate nei propri orticelli.
Tutto questo nuoce alla costruzione della reale opposizione di classe. Finché
non si supereranno queste barriere difficilmente si potrà ambire a risultati
concreti di avanzamento nelle coscienze.
Ti chiediamo di concludere questa
intervista spiegando perché pensi sia importante aderire a questo sciopero
nella più generale battaglia contro le guerre dell'imperialismo.
Ogni
sciopero è importante. Ogni sciopero dovrebbe rappresentare un'occasione di
avanzamento.
Aderire a
questo sciopero significa entrare in un'ottica di più ampio respiro rispetto
alle motivazioni che oggi riteniamo appartengano solo alla nostra realtà
locale. Il mondo è guidato da pochi contro l'interesse di molti. Renzi, e prima
Letta, Monti e tutti quelli che li hanno preceduti, sono burattini di un teatro
mondiale di sfruttamento. Sono lì per eseguire le direttive dei grandi
capitali, sono lì per consentire al sistema di funzionare. I soldati italiani
andranno in Libia non per fare i “missionari”di pace, ma per contribuire a
garantire gli interessi imperialisti. Sigonella e Niscemi sono due presidi
militari americani in Sicilia. Non è un caso che proprio pochi giorni fa il
Muos abbia iniziato a funzionare a pieno regime, nonostante le polemiche e le
lotte fatte in questi anni per contrastarne la costruzione. I disegni del
capitale sono sostenuti dai signori della guerra, si nutrono di armi e droni,
spacciano slogan sulla sicurezza nazionale e di contrasto al terrorismo per
mantenere, rafforzare e garantire gli interessi imperialisti.
Aderiamo a
questo ed a tutti gli scioperi. Sosteniamo ogni lotta. Costruiamo la sola via
che aprirà le porte a una reale benessere: la rivoluzione è la nostra meta.
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