Di
Diego Bossi*
Care
lettrici e cari lettori,
rieccoci
qui, come tutti gli anni, ad attuare la fin troppo semplice impresa
di fare da contraltare al capo dello Stato borghese che, con le sue
parole logore ed esauste, ci racconta che no, le cose non vanno bene,
ma potrebbero andare meglio se ognuno di noi s’impegnasse, fiducioso, a fare la
sua parte nel sostenere quello stesso sistema che fino ad oggi ci ha
letteralmente massacrato. Parole che si susseguono e si ripetono in
una nauseabonda retorica istituzionale che nulla ha a che vedere con
la realtà che vive il proletariato sulla propria pelle: i partiti
che non devono litigare, il confronto democratico, la partecipazione
dei cittadini, l’accoglienza, l’identità e i valori europei, la
società civile e il volontariato, il rispetto della Costituzione, l’unità nazionale, la lotta al
terrorismo, alla mafia, alla corruzione e poi ancora bla bla bla per 30 minuti a reti
unificate, un monologo stucchevole che anno dopo anno, variante più,
variante meno, si plasma sulla situazione economica e politica del
momento.
Si dirà
che ad essere logori ed esausti, persino obsoleti, sono i termini
come “borghesia” e “proletariato”, ma questa opinione, seppur
diffusa, è proprio il frutto della propaganda borghese che mira a
nascondere il conflitto classe; e mira a nasconderlo per un motivo
molto semplice: perché è un conflitto letale per la borghesia, per
il suo potere, per il suo profitto.
Forse
saranno più comprensibili termini come “padroni” e “lavoratori”,
ma anche queste parole sono fastidiose per la classe dominante perché
spiegano troppo chiaramente il conflitto, ossia la nuda verità dei
fatti: c’è uno sfruttatore, ossia un padrone, quindi un
proprietario (dei mezzi di produzione e delle materie prime) e c’è
uno sfruttato, ossia un lavoratore salariato, quindi costretto a
(s)vendere la sua forza lavoro, il suo tempo e la sua energia in
cambio di una piccolissima parte della ricchezza che produce per il
suo padrone, un salario appena utile a mantenersi: lavorare per
sopravvivere, sopravvivere per lavorare.
Eppure
il linguaggio borghese mira a eludere la realtà dei fatti e ci vuole
imporre parole morbide, affascinanti e armoniose: i lavoratori sono
“risorse umane”, il padrone è il “datore di lavoro”, poi ci
sono tutti quegli anglicismi e quegli acronimi che fanno molto figo e
moderno, come l’AD o il manager.
Lo
scopo della propaganda borghese è quello di occultare il conflitto
di classe, di anestetizzarne la percezione mediante ipnosi affinché
quel conflitto non debba mai esprimersi. Così la classe proletaria
si trova davanti a un bivio: da una parte vive una realtà di
sfruttamento dovuta a una precisa e concreta collocazione nei
rapporti di produzione, ma, stando a quanto vogliono farci credere
gli sfruttatori, le parole che noi comunisti usiamo per descrivere
ed esplicare questi vissuti reali, sarebbero vecchie e
anacronistiche; dall'altra parte c’è il linguaggio “giusto”,
quello dei padroni, che però ci narra una storia che nulla ha a che
vedere con la nostra, dove non esistono classi in conflitto, ma
“cittadini”, grandi famiglie composte da membri con ruoli diversi
che fanno gioco di squadra per un obiettivo comune: l’Italia, il
sistema Paese, lo Stato, l’azienda...
Siccome
non possono nascondere la realtà, tacciano di obsolescenza le parole
che la descrivono.
Il
proletariato va tenuto calmo e frammentato e per fare ciò la
borghesia ha bisogno di un suo Stato che tuteli i suoi interessi e i
suoi profitti producendo leggi rivolte a tale scopo; ha bisogno di un
potere coercitivo, di un vero e proprio esercito di poliziotti e
carabinieri pronti a reprimere ogni tentativo di riscossa e di
ribellione dallo sfruttamento capitalista; ha bisogno di potenti
mezzi di (dis)informazione di massa; ha bisogno che questo Stato si
presenti con facce compiacenti e amiche, pronte capitalizzare
politicamente la pancia del popolo, le peggio pulsioni sociali
sapientemente inoculate: razzismo, maschilismo, lgbtfobia e tutto ciò
che sarà necessario a dividere gli oppressi per consolidare il
dominio degli oppressori; ha bisogno di organizzazioni all'interno del proletariato, grandi burocrazie sindacali che fungano da veicolatrici delle lotte su binari morti o controllabili dalla borghesia in cambio di concessioni e compromessi e ha bisogno - ahinoi, fa male, ma dobbiamo dircelo - che quella parte di sindacalismo conflittuale rimanente sia spesso resa inoffensiva a causa delle politiche miopi, settarie e autoreferenziali di poche micro direzioni burocratizzate, anch'esse, spesso, per concessioni e compromessi molto più piccoli. Di questo ha bisogno, di questo dispone; e
di tutto questo che dispone ha saputo farne un uso efficace e
proficuo, facendo credere ai lavoratori che il nemico sia lo
straniero, la donna, l’omosessuale… Ma la realtà è un’altra,
care lettrici e cari lettori di CUBlog, la realtà è molto più
semplice di come vogliono dipingerla proprio perché la sua
semplicità è un’arma pericolosissima per i padroni.
La
realtà è che un operaio della Fiat, una commessa dell’Esselunga,
un facchino senegalese della logistica, un disoccupato, un operaio in
pensione, una madre sfrattata, una donna africana che si è vista
inghiottire il figlio dal mare, un ferroviere, un lavoratore di
Alitalia, una maestra elementare, un’inserviente alla mensa della
Pirelli, una badante sudamericana, una bidella, un metalmeccanico,
una lavoratrice dell’Auchan, una barista, una cameriera, un
lavoratore aeroportuale, un casellante autostradale e tutti coloro
propriamente titolari di questo infinito elenco, hanno in comune fra
loro le proprie catene. Già, le catene… Marx ed Engels nel
Manifesto dicevano che i proletari, nel fare una rivoluzione
comunista, non avranno nulla da perdere all'infuori delle loro
catene; ma le catene – ci sentiamo di aggiungere – prima di
perderle, occorre vederle. E saper distinguere incatenati da
incatenatori.
Ecco,
questo è l’augurio che a nome mio e di CUBlog faccio ai nostri
lettori: vedere le catene. Può sembrare poco, ma se provate a
pensarci un po’, vi accorgerete che è la base di partenza per
tutto.
Un
abbraccio rivoluzionario a tutte le lettrici e i lettori, a tutte le
compagne e i compagni, nel ricordo di chi ci ha preceduto, solcando
il sentiero a chi a noi succederà.
*Operaio
Pirelli, militante di Alternativa comunista, attivista del Fronte di
Lotta No Austerity e della Confederazione Unitaria di Base
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