“Renzi
vuole normalizzare il mondo del lavoro. La Cgil però non normalizzi se stessa”.
Intervista a Sergio Bellavita
Sembra
di capire che la Cgil abbia qualche problema con i lavoratori?
Nello
specifico dell’articolo di Repubblica, viene comparato il dato di luglio del
2015 con la chiusura del 2014. Quindi è evidente che c’è una forte differenza
nel numero degli iscritti già di per se. Questo non vuol dire che siamo già di
fronte a un calo netto di 700mila iscritti però come viene scritto
nell’articolo. E’ chiaro che si tratta di una campagna strumentale contro la
Cgil. L’obiettivo è cancellare quel che resta di opposizione nell’ambito
sociale e nel mondo del lavoro.
Detto
questo però la crisi della rappresentanza rimane, o no?
Detto questo
è chiaro che un problema c’è. Intanto, il punto vero è che tutti i sistemi sui
quali si è discusso a propositio della rappresentanza nell’ottica di dare una
quota maggiore di democrazia ai lavoratori hanno rimosso il problema
fondamentale, ovvero il potere ai lavoratori e alle lavoratrici di decidere
quale sindacato li rappresenta e se gli accordi che vengono sottoscritti vanno
bene o no.
Tornando
all’inchiesta di Repubblica, non si può non notare che pochi giorni fa fu lo
stesso Renzi mettere insieme tessere e crisi del sindacato e, nello stesso
tempo, che si tratta di dati che vengono da dentro la Cgil.
Si sono
d’accordo. Questo si collega a quanto è accaduto sulla vicenda dei megastipendi
Cisl, che si conoscevano da tempo e improvvisamente conquistano la ribalta. E’
in atto una campagna complessiva da parte del Governo che tra tema
rappresentanza e diritto di sciopero prende a pretesto qualsiasi questione si
presenti per attaccare il sindacato. E’ evidente che c’è il disegno di
normalizzare complessivamente le organizzazioni dei lavoratori. Poco importa se
sia questa o quella sigla.Vogliono un sindacato addomesticato, che perda ogni
idea di confederalità, che non risponda più ai bisogni dei lavoratori ma ai
bisogni dell’impresa e dello Stato. Vogliono sotterrare un modello che pur tra
tante contraddizioni ha rappresentato per tanti anni potenzialmente un punto di
vista alternativo.
Siete
stati proprio voi del “Sindacato è un’altra cosa”, e la Fiom, a sollevare in
occasione dell’ultimo congresso della Cgil una questione sui numeri della
partecipazione ai congressi di base, che in qualche modo è legata al cosiddetto
calo delle tessere.
Landini
denunciò il fatto che al congresso su 5.600.000 iscritti hanno votato solo un
milione. E questo per dire che nelle fasi salienti del congresso non si riuscì
ad arrivare alla base. Noi siamo andati ben oltre, dicendo che i numeri
congressuali sulle preferenze ai vari documenti e sulla partecipazione sono stati
ampiamente truccati. Secondo noi non votò nemmeno quel milione di cui parlò
Landini. E grossa parte dei verbali furono compilati a tavolino. Tutte e due
queste denunce testimoniano che la trasparenza si è persa in Cgil. E lo stesso
tesseramento sul quale abbiamo chiesto lumi senza ricevere chiarimenti non
riesce ad essere riportato ad un dato di realtà. L’inchiesta di Repubblica
coglie due cose vere, la non trasparenza e la scarsa rappresentanza dei giovani
e dei precari. E questo in un momento in cui Renzi sta precarizzando tutti.
Beh,
ma la scelta fu all’epoca quella di dar vita al Nidil, invece di affrontare il
precariato categoria per categoria.
Una scelta
frutto di una ubriacatura ideologica della sinistra di Governo e della Cgil che
nei fatti accettò e approvò il pacchetto Treu. Una ubriacatura che ha portato
ad immaginare una “categoria di precari”.
Bisognerà
tornare a ragionare del modello di sindacato del futuro. Anche perché il
Governo sta facendo dei passi sostanziali. La Cgil ha pensato che bastasse
aspettare mirando a ridurre il danno, e ora si trova stretta nell’angolo. Qual
è lo stato del dibattito dentro la Cgil?
La sconfitta
della Cgil sul Jobs act è drammatica e continua a produrre danni mostruosi nel
rapporto con i lavoratori e per quanto riguarda la cancellazione dei diritti.
Siamo nel pieno dell’onda, e non c’è più nessuna linea né referendaria né di
semplice contrasto che tenga. Una parte sempre più grande del gruppo dirigente
della Cgil ha esplicitato una linea che dice basta con il sindacato che si
mette di traverso contro il governo. "Siamo un sindacato e dobbiamo
contrattare". La Cgil si sta adattando, attraverso un processo di
“cislizzazione”, su nuovo welfare contrattuale e bilateralità per esempio. Ogni
tanto si sente qualche protesta. Agli occhi dei lavoratori non contano le
enunciazioni, ma la pratica. Il dibattito in Cgil semplicemente non c’è.
Il
prossimo appuntamento sarà la conferenza di organizzazione.
Lo scontro è
sulle forme di elezione del nuovo segretario. Tutto qui. E la polemica non ci
appassiona. Questo mentre i tre sindacati confederali sono vicini al redde
rationem. Non c’è più rapporto con i lavoratori. L’unico spazio è il sindacato
corporativo e aziendalista, quello che il Governo concede. Va operata una rottura
e ripresa la strada del conflitto durissimo ripartendo dai bisogni reali del
mondo del lavoro. Questa discussione la Cgil non la sta facendo e sta andando
esattamente nella direzione che il Governo vuole
Da
una parte grosse difficoltà nel calcolare la rappresentanza, visto che le
aziende non danno i dati sulla trattenuta sindacale, dall’altra un modello che
deve essere per forza ultraconcertativo e autodifensivo pena la fine del
sindacato. Questo di fatto porta alla formazione, passami il termine, di una casta
sindacale. Una soluzione che dal punto di vista dei lavoratori non può durare
più di tanto però…
Intanto,
bisogna partire da una analisi dell’intesa del 10 gennaio. La parte positiva,
tra tante virgolette, è il meccanismo di certificazione degli iscritti che
aprirà però una guerra senza precedenti tra organizzazioni. Il lavoratore
vorrei far notare può cambiare idea sul sindacato di appartenenza ma questo
cambiamento non viene registrato e non c’è nemmeno il diritto a decidere sulla
singola vertenza. Hanno costruito un modello, insieme a Confindustria, in cui
la vittima sacrificale di quel patto corporativo è il sindacalismo indipendente
e antagonista. Ovvero, nel rapporto tra sindacato e impresa si guarda al bene
dell’impresa e chi non ci sta è escluso dalla rappresentanza e addirittura i
singoli lavoratori potevano essere sanzionati.
Quell'accordo
però sta marciando...
Intanto, i
padroni hanno subito incassato il passaggio sulle deroghe, il sistema della
progressiva spoliazione. E i grandi gruppi stanno riducendo salari e diritti
disdettando tutta la contrattazione. Il sindacato ha accettato la morte del
contratto nazionale e il passaggio una contrattazione quasi solo aziendale con
il segno meno davanti. L'impianto di quell'accordo, però, non sta arrivando in
porto perché innanzitutto, sull'esigibilità degli accordi, c’è qualche problema
costituzionale e poi perché alcune organizzazioni di base avendolo sottoscritto
potranno strappare numerosi consensi con la loro linea di opposizione agli
accordi. Il sistema non funziona. Governo e Confindustria vogliono che il
conflitto non sia libero, e quindi che ci sia il diritto effettivo di sciopero.
L’idea del Governo di stabilire un referendum va proprio in questa direzione e
porta al sindacato unico.
Anche
il sindacalismo di base è di fronte a un bivio?
Sì, perché
se si dovesse riuscire a mettere gli ultimi tasselli all'accordo del 10 gennaio
2014, e impedire al sindacato di rompere il quadro attraverso il conflitto, si
porrà un problema sostanziale di democrazia. Questo mi pare evidente.
Qual
è il vostro programma per il prossimo futuro?
All’ultima
assemblea nazionale del "Sindacato è un'altra cosa" abbiamo deciso di
lanciare un appello al sindacalismo conflittuale, Fiom compresa. E’ giunto il
momento di costruire degli intersindacali a livello dei territori per
sperimentare dal basso delle forme di resistenza. Penso alle lotte dei
facchini, per esempio. Va data ai lavoratori l’idea che il sindacato non è un
soggetto passivo che accetta la cancellazione di diritti e salari e non dà
battaglia sull’occupazione. Dall’altra parte ci sarà la battaglia interna sulla
conferenza di organizzazione che sarà un altro tassello della cislizzazione. Se
quella conferenza confermerà il documento di maggioranza saremo di fronte a uno
scenario preoccupante di deriva e di chiusura degli spazi democratici
all'interno della stessa Cgil.
di Fabio Sebastiani (da controlacrisi.org)
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