Di Massimo Franchi
Jobs act. Alla Sevel di Atessa gli
operai pedinati
Il Jobs act
non è ancora legge, ma la Fiat — pardon, la Fca Italy — mette le mani avanti.
Minacciando di licenziamento chi fa troppi giorni di malattia. Lo fa nella
sua fabbrica più grande — 6.600 operai — e meno colpita dalla crisi, quella
Sevel di Atessa (Chieti) dove si è continuato a produrre il camion Ducato
anche quando tutte le altre fabbriche italiane erano chiuse. Facendo capire
in modo assai chiaro di essere pronta ad usare le nuove norme sui
licenziamenti per sbarazzarsi di chi è poco produttivo.
Lo fa con
una lettera recapitata ad inizio anno una ventina di dipendenti che nel
2014 hanno collezionato un numero di assenze per malattia troppo alto per i
criteri di Marchionne. Nella lettera della Sevel inviata ai lavoratori
interessati si legge che «pur non contestando la validità di tali
certificazioni, né la piena legittimità, alla luce delle vigenti
disposizioni di legge, di tali assenze, riteniamo tuttavia utile
segnalarle come questa situazione non può non avere rilevanti riflessi
sulla continuità della sua prestazione lavorativa. Dobbiamo altresì
aggiungere – si legge ancora — che, perdurando una discontinuità nella
prestazione lavorativa quale quella evidenziata, l’azienda si riserva
ulteriori e più approfondite valutazioni e decisioni in merito alla
prosecuzione del suo rapporto di lavoro con la nostra società».
In Sevel la
Fiat da anni porta avanti una battaglia contro — un supposto —
assenteismo. Una guerra in cui non ha lesinato alcun strumento. Arrivando
addirittura ad assoldare investigatori privati per pedinare tutti i
lavoratori che usufruiscono della legge 104, quella che permette ai
familiari di persone con gravi disabilità di assentarsi dal lavoro per
poterli assistere. L’aver trovato alcuni lavoratori che nelle giornate di
104 non stavano accudendo i loro cari ha portato ad almeno 4
licenziamenti. In più lo scorso 6 settembre la Cassazione ha
definitivamente confermato un licenziamento per assenteismo
giustificato. L’azienda a quel punto aveva gonfiato il petto — e forte
anche delle aspettative del Jobs act — ha copiato parti intere della
sentenza nella lettera inviata ai dipendenti a rischio per troppe assenze.
Ma allo stesso tempo la Fiat Sevel ha dovuto subire una doppia sconfitta: due
fratelli licenziati per assenteismo e seguiti dall’Usb sono stati
reintegrati dal giudice del lavoro.
La lettera
ha portato ad una reazione sindacale forte. In un comunicato si legge «La
lettera della Sevel è una vera e propria intimidazione, perché in questo
caso non vengono contestati false malattie, ma si sostiene che non ci si
può ammalare più di tanto, altrimenti si può essere cacciati». Più
articolati i giudizi delle varie sigle. Per la Fim Cisl «la lettera non è
una novità, da dieci anni la Sevel copia il cosiddetto “modello Michelin”
comunicando a chi fa più malattie che è a rischio — spiega il responsabile
auto Ferdinando Uliano -. Certamente la lettera vuole incutere paura nei
lavoratori, ma non ha nessuna valenza giuridica e contrattuale e fa
riferimento ai certificati medici». Per la Fim Cisl quindi non ci sono
pericoli reali per i lavoratori «in buona fede»: «Non bisogna creare un
clima di terrore. Se l’azienda procedesse al licenziamento di questi
lavoratori noi riusciremmo a dimostrare che sia un licenziamento
discriminatorio», chiude Uliano.
Di parere
ben diverso la Fiom Cgil. «Con il Jobs act vengono meno gli elementi che
hanno impedito alla Fiat di licenziare moltissimi operai in questi anni:
basterebbe mascherarli per licenziamenti economici o disciplinari»,
attacca Davide Labbrozzi, segretario provinciale di Chieti. Per la Fiom
poi l’assenteismo denunciato dalla Sevel «è in linea con gli altri
stabilimenti Fiat e con le fabbriche del territorio. La Fiat nel
frattempo ha imposto la saturazione delle linee e ha tolto postazioni in
linea». Anche per queste ragioni la Fiom ha proprio ieri proclamato lo sciopero
contro i 3 giorni di straordinario — due sabati e una domenica notte —
previsti a gennaio. «Qua ad Atessa produciamo lo stesso numero di camion
degli anni scorsi ma siamo mille in meno. Vogliamo aprire un tavolo aziendale
per nuove assunzioni — di mille precari ne sono stati stabilizzati 50 — e
un’analisi dei carichi di lavoro», conclude Labbrozzi.
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