Dalle
targhe clonate per mascherare i subappalti illegali ai legami familiari con i
boss: i documenti riservati della prefettura di Milano mostrano come i clan
abbiano preso il controllo anche di ditte apparentemente "pulite"
di
PIERO COLAPRICO ( Repubblica.it )
MILANO
- Te lo confidano a mezza voce i
penalisti: "Ci sono aziende che ormai non possono più lavorare perché uno
dei soci è pregiudicato, e ci chiamano per un consiglio, ma che possiamo
fare?". Lo sussurrano informalmente i poliziotti: "I mafiosi qui
hanno finito di scherzare e sentirsi impuniti, li possiamo toccare sui soldi,
come insegnava Giovanni Falcone". Chi ufficialmente potrebbe parlare, tace
in pubblico. Ma il dato di fatto è certo. È cominciata nei territori del Nord
una guerra dura e silenziosa alla mafia imprenditrice, alla "zona
grigia". E l'Expo di Milano è la trincea più avanzata.
Repubblica
ha potuto osservare alcuni documenti riservati. Ne ha tratto cinque episodi,
sufficienti a raccontare un "sistema". Un'impresa di costruzioni era
entrata nella White List delle aziende affidabili per i cantieri Expo e poteva
stare tranquilla. Invece è finita "out": mandava sul cantiere della
Tangenziale est esterna auto, camion e ruspe con le targhe clonate. Cioè
affidava ad altri imprenditori, molto meno "puliti", gli importanti
lavori che aveva ottenuyo. E per evitare i controlli, aveva ideato la
"furbata": mettere le proprie targhe, autorizzate, su mezzi non
autorizzati, e guidati da dipendenti di aziende che erano state in qualche caso
già cacciate dai cantieri. Via tutti, dunque, senza possibilità di rientrare.
Un'altra
impresa gode - è facile "apparecchiare" le carte - della liberatoria
antimafia. Ma s'indaga lo stesso: una delle titolari è sposata con un detenuto,
esperto nel traffico internazionale di stupefacenti. Il capitale sociale serve,
viene accertato, "alle spese legali e al sostentamento dei
familiari", e questo motivo basta e avanza per sbattere fuori dai cantieri
quest'azienda. E anche la terza azienda appare a prima vista specchiata, ma ha
assunto - attenzione: i detective solitamente sono scettici riguardo alle
coincidenze - esclusivamente operai che arrivano da un piccolo paese del
crotonese. È una forma di campanilismo oppure c'è altro? E chi sono questi
lavoratori? Vengono censiti e "radiografati": o sono uomini con
precedenti penali,oppure risultano legati (si legge) "a cosche di grande
spessore criminale". Tra i "paesani", infatti, c'è chi si occupa
di prostituzione, chi viene trovato con armi e, un giorno, sul cantiere appare,
nonostante non c'entri nulla, un pregiudicato condannato per il 416 bis,
l'associazione mafiosa. Via dall'Expo e dintorni anche questa ditta.
La quarta
azienda è a conduzione familiare, ha contratti sia con la metropolitana di
Milano che con la tangenziale. Attende il sì per entrare nella White List ed è
tutto all'insegna del "no problem", finché l'amministratore unico
"viene trovato in possesso di due pistole con matricola abrasa e un numero
consistente di cartucce". Emerge una parentela: questo
"amministratore calibro 9", sino ad allora incensurato, è nato nella
stessa famiglia di un capomafia "strettamente collegato - così nel documento
riservato - ai vertici di Cosa Nostra". Via anche questa. E anche la
quinta impresa è a conduzione familiare: viene gestita da due giovani fratelli,
immacolati, mai un guaio con la legge. Si occupano del "movimento
terra". Sono anche e costano poco. Purtroppo per i due, è il papà che fa
squillare il campanello d'allarme. Ha un fascicolo penale alto come un
vocabolario e frequenta moltissimi pregiudicati. Le colpe dei padri ricadono
dunque sui figli - e tra poco spiegheremo perché a Milano sta passando questo
principio che può far discutere - e vanno cacciati. Questo è l'ordine della
prefettura, la chiamano in burocratese "interdittiva".
Contro
questa mano pesante dello Stato, alcune imprese sono scese in campo e hanno
combattuto i divieti con l'arma della legalità. Hanno fatto ricorso al Tar, ma
hanno perso. Consiglio di Stato, tappa successiva: hanno perso anche lì.
Dunque, siamo di fronte ad un assoluto inedito: che cosa sta succedendo a
Milano? Che cosa costringe il resto dell'Italia dell'antimafia seria a guardare
con grandissima attenzione quello che succede intorno a Expo?
Un rapido
passo indietro. L'Italia aveva dichiarato al mondo che l'Expo sarà un evento
"mafia free". Su questo slogan hanno convinto alcuni scettici, tra i
quali gli americani. Ma lo slogan "mafia-free" è la sintesi di un
concetto che appare come una rivoluzione copernicana della lotta alla mafia
imprenditrice. Lo possiamo riassumere così: "Se "appalti
pubblici" vuol dire (anche) soldi pubblici che dallo Stato vanno alle
aziende, spetta o no allo Stato impedire che i "suoi" denari possano
entrare nelle casse di imprese che non convincono?".
La
prefettura di corso Monforte è diventata una specie di avamposto avanzato della
nuova guerra. Non dichiarata mai apertamente, mai ufficialmente. Ma in corso.
Sono state infatti emesse 68 "interdittive", che proibiscono di
partecipare ai lavori. I divieti riguardano 48 imprese sulle 367 che sono state
controllate: vuol dire che il 13 %, più di una su 8, non supera l'esame.
"Se un
privato accetta queste aziende, sono affari del privato, ma lo Stato vuole che
i suoi cantieri siano cantieri senza criminali. E noi - dicono dalla prefettura
- non abbiamo bisogno delle certezze che ci sono nel diritto penale per
stabilire che un'azienda sia permeabile dalle organizzazioni criminali. Cioè,
possiamo fare a meno degli elementi indiziari che possono portare in carcere,
ma non per questo abbiamo meno scrupoli. Seguiamo alcuni "indicatori"
e in questo modo impediamo ai soldi pubblici di finire in mani non corrette".
Ed è così che "Ci sono state più interdittive a Milano che sulla
Salerno-Reggio Calabria", ha detto Raffaele Cantone, presidente
dell'Autority anticorruzione.
Funziona a
Milano una sorta di gruppo misto - composto da antimafia e Asl, ispettorato del
lavoro, vigili e funzionari della prefettura - che sta mettendo in ginocchio i
"manager squali". Questa pattuglia interforze va sui cantieri, ma
dietro le quinte lavorano altri due gruppi più specializzati, il Gia (gruppo
antimafia) e il Gicex (Gruppo Interforze Centrale per l'Expo 2015). Appena si
accende un allarme rosso - e può essere un allarme "banale": mancato
rispetto delle norme sulla sicurezza del cantiere, presenza di personale non
identificato e autorizzato, garbugli amministrativi, uso disinvolto del badge -
l'azienda viene "attenzionata" dal gruppo misto e passata al setaccio
dai detective, che possono incrociare le varie banche dati, da quelle del
ministero dell'Interno a quelle "bancarie".
Un lavoro
certosino: sino alle vacanze di Natale escluse, sono stati controllati 1.436
tra auto, carri, e ruspe, 3.099 persone, 367 società. C'è stata un'evoluzione
continua dei controlli: nel 2009 c'erano stati due accessi nei cantieri, tre
nel 2010, sette nel 2011, sedici nel 2012, che diventano 18 l'anno dopo, ma
nell'anno 2014, quando il prefetto Francesco Paolo Tronca è ormai convinto
dell'efficacia della "procedura alla milanese" diventano 54: "Le
forze attive, liberate dal la- voro burocratico che si è accollata la
prefettura - hanno raccontato dalla prefettura milanese lo scorso maggio alla
commissione antimafia presieduta da Rosy Bindi - eseguono cinque accessi al
mese sui cantieri, che consentono di controllare plurime aziende (...). Coloro
che adesso fanno cinque controlli al mese, prima stavano alla scrivania, oggi stanno
nel fango del cantiere".
È questo
cambiamento "amministrativo" nel metodo di contrasto ai clan e ai
loro affari a segnare una svolta concreta. Le voci "milanesi" stanno
circolando tra varie prefetture e gli apparati dello Stato. Questo metodo,
viene detto, può estendersi ovunque, si può azzerare ("legalmente,
facilmente") la possibilità delle aziende grigie di avvicinarsi al
"piatto ricco" degli appalti pubblici.
Siamo agli
inizi, dunque, di nuovi metodi di contrasto alle mafie: di una questione che da
Milano può rapidamente scendere lungo la penisola, per arrivare alle regioni al
alta densità mafiosa passando dalle nuove emergenze di Mafia Capitale. E un
altro di questi "sistemi" è stato potenziato dalla procura milanese.
Qui, è noto,
l'antimafia ha condotto varie inchieste che hanno portato in carcere circa 400
persone legate ai clan calabresi e prodotto documenti impressionanti, che hanno
fatto il giro del mondo. Come la votazione per alzata di mano del
capo-rappresentante di tutti i "locali" (cosche) in Lombardia. O come
il giuramento di affiliazione alla 'ndrangheta nel nome di Mazzini, La Marmora
e Garibaldi. Ma accanto ai blitz, è stata avviata una strategia mirata a
colpire il professionista che sa di lavorare per i mafiosi, ma finge di non saperlo,
di non essersene accorto. Il commercialista che prestava lo studio per le
riunioni d'affari (inchiesta Valle), l'ufficiale dei carabinieri carico di
encomi che in pensione aveva aperto l'agenzia privata d'investigazioni e
security (caso Tnt), il prestanome degli usurai, l'addetto alla dogana: tutti
questi (e altri) non erano imputabili, ma sono stati dichiarati
"sorvegliati speciali". Cioè hanno avuto il divieto di uscire prima
delle 7 del mattino e di non rincasare dopo le 21, non possono avere armi e non
devono "frequentare pregiudicati".
Una
sanzione, ma anche un'umiliazione: come spiegare nella cerchia di amici come
mai non si va più a cena fuori? La richiesta delle misure di prevenzione è
costante e la strategia ha un'altra appendice, che riguarda le banche. Alcuni
direttori sapevano di trattare con i mafiosi? Sì, allora gli istituti di
credito sono stati sospesi nei rapporti con questi clienti, al posto del
direttore colluso è arrivato un curatore: è successo già tre volte.Ilda
Boccasini, procuratore aggiunto antimafia, con a fianco il procuratore capo
Bruti Liberati, dice: "O si sta con la mafia o si sta con lo Stato".
In Italia, a cominciare da Milano, sembra che le sfumature di grigio sporco non
siano più di moda.
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