Tronchetti:
“Entro il weekend si chiude”
Atteso a ore
il via libera all’accordo per l’operazione di riassetto che porterà il
controllo della Bicocca nelle mani di China National Chemical Corporation, la
più grande società chimica di proprietà statale sotto il controllo del Sasac.
All'ex presidente di Telecom è già stata garantita la poltrona per cinque anni
“Entro il
weekend si chiude. Ci sono ancora dei passi da fare”. Questa l’asciutta dichiarazione
di Marco Tronchetti Provera nelle ore in cui si sta definendo l’ennesimo
nell’azionariato di Pirelli che dopo l’intermezzo genovese e quello russo si
prepara a diventare cinese. L’ex presidente di Telecom Italia, al quale come
nei precedenti passaggi sarebbe già stata garantito il mantenimento della
poltrona di capoazienda fino al 2021, ha parlato all’uscita dalla sede di
Camfin, la scatola con cui controlla la società degli pneumatici insieme a
Intesa Sanpaolo e Unicredit oltre che ai russi di Rosneft. Pirelli resterà
italiana? “Finché non ci saranno i comunicati non posso dire nulla”, ha
risposto.
Fatto sta
che sul tavolo delle parti c’è il via libera, atteso a ore, all’accordo per
l’operazione di riassetto che attraverso un’Opa che valorizza Pirelli 7,15
miliardi di euro (15 euro per azione) porterà il controllo della Bicocca nelle
mani di China National Chemical Corporation, detta anche ChemChina, cioè la più
grande società chimica di proprietà statale sotto il controllo del Sasac
(State-owned Assets Supervision and Administration Commission). Tra le
partecipate conta Aeolus Tyre, tra i primi 20 produttori di pneumatici al mondo
con una produzione di circa 5,5 milioni di pneumatici all’anno. E, secondo
quanto emerso nei giorni scorsi, entrerebbe nel gruppo italiano attraverso una
società di nuova costituzione nella quale Tronchetti e soci apporterebbero il
loro 26% circa della Bicocca che al prezzo fissato vale 1,87 miliardi di euro.
A seguire il lancio dell’Opa sul 100 per cento del capitale. Il mercato, però,
sembra già ritenere il prezzo troppo basso, visto che in scia alla notizia il
titolo Pirelli venerdì è arrivato oltre il prezzo dell’offerta atteso, ma non
ancora formalizzato, chiudendo a 15,23 euro.
Di
ufficiale, in ogni caso, per ora c’è che Pirelli venerdì mattina ha dichiarato
“di non essere stata fino ad oggi destinataria di alcuna comunicazione formale
circa il lancio di offerte pubbliche di acquisto”, mentre Camfin dice che “le
trattative sono in corso” e che l’obiettivo è “garantire stabilità, autonomia e
continuità nel percorso di crescita nel tempo del gruppo Pirelli che
manterrebbe gli headquarter in Italia”. Oltre a far sapere appunto che
l’operazione comporterebbe “il trasferimento dell’intera partecipazione
detenuta da Camfin (26,2% circa) ad un prezzo di euro 15 per azione a una
società italiana di nuova costituzione, controllata dal partner industriale
internazionale con un contestuale reinvestimento di Camfin in detta
società”. Inoltre, “se finalizzato il
trasferimento, l’offerta pubblica di acquisto verrebbe lanciata sulla totalità
delle azioni di Pirelli al medesimo prezzo di 15 euro per azione”.
Si
tratterebbe di un’operazione che segna un cambio di passo nell’avanzata dei
capitali cinesi verso l’Italia, che finora sono andati in quote di minoranza di
grandi gruppi come nel caso di Ansaldo Energia, Cdp Reti, Enel, Eni, Fiat, Saipem, Mediobanca, Generali, Telecom,
Prysmian, oppure in società di taglia più piccola come il gruppo nautico
Ferretti o il marchio Krizia. Quanto all’italianità, quella di Pirelli è da
tempo molto limitata, non solo per il recente ingresso dei russi di Rosneft
nell’azionariato, ma anche per la produzione che vede la presenza nella
Penisola di due soli stabilimenti su 19. In ogni caso per il viceministro dello
Sviluppo Economico, Claudio De Vincenti, quello che confonde Eni ed Enel,
“l’importante è che Pirelli rimanga una grande impresa radicata nel nostro
Paese che sviluppa la competitività dell’Italia nel mondo. Se questa operazione
va in questa direzione adesso è prematuro dirlo, vedremo”. D’altra parte era
stato il premier, Matteo Renzi, in occasione della sua visita a Pechino del
giugno scorso ad invocare “più forti investimenti” cinesi in Italia,
confermando la linea di favore del governo all’arrivo di capitali stranieri nel
nostro sistema economico.
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