Tutele
sociali in cambio di produttività: il
welfare entra nell’integrativo del premio di partecipazione sottraendo la parte
economica in cambio di benefit.
Per welfare aziendale o
contrattuale si intende servizi e agevolazioni che un’azienda offre ai propri
dipendenti teoricamente “in aggiunta” o in sostituzione del pagamento monetario
di stipendio o premi di produzione, che
consistono in coperture assicurative di sanità integrativa, spese d’istruzione,
buoni valore per shopping, cultura e benessere.
Un vero e proprio investimento
delle aziende nella fidelizzazione del dipendente.
A prima vista sembrerebbe un’opportunità
per i lavoratori, ma se analizziamo da dove provengono i fondi che defiscalizzano
il welfare aziendale, si possono evidenziare le conseguenze di una ulteriore tappa verso lo smantellamento
dello stato sociale.
La nuova Legge di
Bilancio 2017 prevede la defiscalizzazione totale per i servizi di welfare
aziendale e benefit aziendali, infatti ha
eliminato tutte le tasse previste sui fondi destinati ai servizi per specifiche finalità di educazione,
istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto.
Questi provvedimenti
creano dei seri rischi sul piano pensionistico e sulla fiscalità generale:
se
il salario non cresce, restano fermi anche i contributi per la pensione; se ci
sono meno entrate per lo Stato, ci sono meno risorse per il welfare
universalistico, che nel lungo periodo comporta differenze nell'accesso a
diritti fondamentali come quello alla salute.
La
detassazione del welfare aziendale, nella forma di prestazioni sanitarie, di
istruzione, buoni supermercato o buoni carburante, può diventare un
escamotage per non contrattare salario da una parte e per togliere spazi di
autonomia ai lavoratori, impossibilitati a decidere liberamente come spendere
parte del loro reddito.
Le tasse per chi lavora sono alte,
ma la strada per ridurle in modo sostenibile per i lavoratori deve essere
quella della riduzione dell'Irpef e una seria politica di lotta all'evasione
fiscale.
Ma chi ci
guadagna realmente su welfare aziendale?
Se il premio di partecipazione viene
composto da servizi in welfare aziendale il lavoratore risparmia il 10% di
trattenute rispetto all’erogazione in busta fino a 3000 euro, mentre il
risparmio per il datore di lavoro si oltrepassa il 40%.
Lo Stato, avendo meno entrate
fiscali, a sua volta destina meno fondi a sanità, istruzione e pensioni
pubbliche, perché integrate privatamente dai dipendenti che hanno accesso al
welfare aziendale, e quindi si giustifica la riduzione dello stato sociale.
Nei fatti è un falso
regalo: invece di destinare i nostri soldi alla fiscalità generale ci stanno
incentivando a indirizzarli verso strutture private per poter smantellare lo
stato sociale pubblico. In realtà stiamo pagando due volte per lo stesso servizio. Il welfare
aziendale è funzionale al disfacimento dei servizi pubblici fondamentali.
Quali sono
i rischi a breve termine?
Assistiamo ad un attacco al
salario dei lavoratori poiché quote di welfare aziendale vengono considerate
sostitutive degli aumenti salariali. Invece di soldi, si ricevono fondi e
servizi in “benefits”. E se si perde il lavoro, si perdono quote di servizi e
assistenza.
Inoltre, gli aumenti
contrattuali vengono vincolati sempre di più all’accesso al welfare aziendale. E
chi non accede ai fondi integrativi, perde anche gli aumenti contrattuali.
Si tratta di un risparmio
notevole per le aziende, perché di fatto abbassano gli stipendi integrandoli
con benefit pagati dagli stessi lavoratori con la fiscalità generale.
Oltre
all’interesse delle imprese sullo sviluppo del welfare aziendale, si somma
anche quella del sindacato, che gestendo quote di welfare attraverso gli enti bilaterali,
possiede veri e propri interessi economici nella sua diffusione. Non è un caso che il welfare aziendale sia ormai il protagonista di
molti rinnovi contrattuali.
Quali sono
i rischi nel lungo periodo?
Con l’espansione del welfare aziendale, il modello sociale italiano
somiglierà sempre di più a quello degli Usa. Senza copertura assicurativa non si potrà accedere alle cure sanitarie,
senza pensione integrativa non si potrà usufruire di redditi durante la
vecchiaia.
Tutto ciò sarà
consentito solo se in possesso di un posto di lavoro, quindi si farà di tutto
per non essere licenziati: disposti a orari e turni massacranti per uno
stipendio ridotto, poiché l’esclusione dal ciclo produttivo diventerà
l’esclusione da ogni tipo di assistenza.
Il welfare
aziendale può sostituire lo stato sociale e la sanità pubblica?
Per quanto si possa estendere il
welfare aziendale, questo non riguarderà mai la totalità dei lavoratori
in misura eguale.
Le
aziende e gli istituti privati che si sostituiscono al welfare non hanno alcuna
intenzione di soddisfare “un diritto”, hanno semplicemente intenzione di
guadagnarci. Appena una
voce risulterà in perdita verrà scartata dal welfare aziendale, facendola
ricadere sulla spesa pubblica. Con quale risultato? Pagando sia la sanità
integrativa, sia le prestazioni sanitarie necessarie resosi più onerose dal
fondo, con il rischio di non poter accedere alle cure mediche.
Qual è l’effetto sui sindacati?
Il modo
migliore per contrastare gli enti bilaterali e il welfare aziendale è lottare
per concreti aumenti salariali e per uno stato sociale universale.
Ma questa lotta non può farla un sindacato che
dagli enti bilaterali e dalla cogestione del welfare aziendale ne trae
convenienza e che costituiscono dalla bilateralità una fetta importante
dei bilanci sindacali.
Un recente rapporto su previdenza integrativa e enti bilaterali contava 536
fondi previdenziali con un giro di oltre 100 miliardi di Euro (6% del Pil) e
260 fondi di sanità integrativa.
Tutti Fondi di enti privati difficilmente controllabili, in cui risultano
impiegate in questo settore più di 10 mila persone. Tra questi molti sono
sindacalisti o ex sindacalisti. Il
sindacato da ciò incassa i gettoni di presenza per la partecipazione ai
Consigli d’Amministrazione o di Gestione.
Fonchim (Fondo previdenziale dei Chimici) ha destinato nel 2013 588mila
euro annui agli organi statutari e 1,2 milioni di euro ai costi di gestione.
Cometa (Fondo previdenziale dei Metalmeccanici) ha speso per i suoi “organi”
250mila euro annui più 1,1 milioni per il personale. La defiscalizzazione del welfare
aziendale, quindi, contribuisce anche al “mantenimento” dei sindacati e non
solo delle aziende.
Che fare
quindi?
Questa
impostazione va contestata in tutti i rinnovi contrattuali affinché il welfare
aziendale non venga fatto passare come una misura utile ai lavoratori, perché
così non è !
Non bisogna accettare la logica di aumenti salariali in cambio di fondi da
destinare al welfare.
Va preteso che le organizzazioni
dei lavoratori tornino a lottare per uno stato sociale universale, a cui
possano accedere tutti, lavoratori e disoccupati, pensionati e studenti.
Uno stato sociale che garantisca
a tutti servizi fondamentali di qualità e in larga quantità, a partire
dall’offerta sanitaria e da quella scolastica, basato su tasse dirette
fortemente progressive dove chi meno
ha, meno paga.
Welfare
Aziendale: un bel regalo per le aziende che risparmiano la metà di quanto
spenderebbero riconoscendo gli stessi importi
in busta paga. I lavoratori hanno solo da perdere in quanto a detassazione e
decontribuzione, oltre a non avere alcuna incidenza sui TFR, 13ma e contributi
previdenziali, e sottraggono risorse a pensioni e stato sociale.
La sanità integrativa non è un regalo
dell’impresa, viene concessa in alternativa al salario.
Sono sempre soldi dei lavoratori. In più le
imprese, attraverso la liquidazione dello stato sociale, puntano a ridurre il
costo del lavoro e quindi il salario dei lavoratori.
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