Il Primo
Maggio non sarà la giornata di inaugurazione di un Grande Evento.
Il Primo
Maggio va in scena il teatrino che presenta come eccezionale un paradigma,
paradigma che in realtà si sta già affermando sul territorio lombardo e su
quello nazionale.
Expo non è
limitato a un periodo di tempo, non è circoscritto ad una determinata regione,
Expo è l’emblema di un sistema di gestione dei territori che travalica la
territorialità del qui ed ora, che sfrutta la logica del grande evento, dello
stato di eccezione, per mettere i suoi tentacoli in ogni angolo della metropoli
e della società: dall’alimentazione al lavoro, passando agli umilianti discorsi
rispetto al ruolo della donna, alla consegna della città alla speculazione
edilizia e alla corruzione. Expo non inventa nulla, raccoglie e
istituzionalizza percorsi d’attacco ai diritti, alla vita, al futuro che da
anni subiamo. Expo è un modello di governance, uno strumento del capitale,
quindi è un acceleratore di processi neoliberali che vanno dal superamento
dello stato nazione e delle sue rappresentazioni sotto forma di democrazia
rappresentativa, alla speculazione e all’esproprio di ricchezza dal territorio
e di sfruttamento delle vite, passando per l’imposizione della logica del
“privato”. Expo, assieme a “grandi eventi” (Mondiali di calcio ed Olimpiadi),
Grandi Opere e gestione dei grandi disastri ambientali ha, quindi, un ruolo
centrale in questa fase del capitalismo.
Partendo
dalla speculazione sui terreni agricoli, il “governo Expo” accelera i processi
di svendita del patrimonio pubblico e di “privatizzazione all’italiana”: si
fondano aziende di diritto privato che in realtà sono costituite da enti
pubblici (vedi Expo spa); vengono drenate risorse a settori di supporto
sociale, come l’abitare, la mobilità accessibile, la cultura; si attivano
ingenti processi di cementificazione di aree urbane ed extraurbane (centinaia
di km di asfalto tra Teem, BreBeMi, Pedemontana e la distruzione dei parchi a
sud-ovest di Milano per realizzare la Via d’acqua) che stravolgono l’assetto
urbanistico e la vivibilità dei quartieri.
Negli oltre
sette anni di re-esistenza, come rete NoExpo abbiamo più volte descritto e
semplificato questi processi, ascrivibili al modello Expo, secondo lo schema
debito, cemento, precarietà, mafie, spartizione, poteri speciali, nocività,
mercificazione di acqua e cibo e anche corruzione culturale, sociale, politica,
ideologica. A queste parole sono corrisposte vicende, fatti e inchieste che
Expo ha generato e che hanno confermato quanto affermiamo da tempo: Expo non è
un’opportunità ma un problema e una minaccia non solo per Milano ma per
l’intero Paese. Con l’apertura dei cancelli di Expo, queste parole d’ordine
saranno il filo conduttore delle analisi e delle mobilitazioni che porteremo
avanti nei prossimi mesi.
GREENWASHING
Attraverso
la mistificazione delle idee di ecologia e di sostenibilità e dell’importanza
di un’alimentazione sana, Expo si tinge di verde, con la green economy e il
greenwashing, per mascherare l’ipocrisia di un approccio al tema tutto interno
al modello economico neoliberista, in continuità con esso nel promuovere le
politiche legate agli investimenti di multinazionali dell’alimentazione, del
biologico a spot e dell’agricoltura intensiva ed industriale. Un evento, a
sentire la propaganda, così dedito alla natura e all’ecologia che dovrebbe
favorire i piccoli contadini ed un rapporto diretto con la terra, che si basi
sull’acquisto solidale, la vendita diretta, il chilometro zero, la diffusione
del biologico all’intera popolazione, in definitiva l’accesso per tutti al
cibo.
Tuttavia,
basta un’occhiata a sponsor e aziende partner di Expo per comprendere
l’ipocrisia dei discorsi ufficiali. La partecipazione delle principali
multinazionali dell’industria alimentare (basti pensare a McDonald’s) e della
grande distribuzione; l’investimento sull’evento da parte di colossi
dell’agroindustria che detengono il monopolio sulla mercificazione delle
sementi e la gestione di quelle geneticamente modificate (e che moltiplicano in
questo modo rapporti di dipendenza dei paesi economicamente più indigenti verso
quelli più ricchi); il supporto alle politiche di sfruttamento intensivo dei
terreni e il sostegno ad un’agricoltura di tipo industriale, che segue le
regole del mercato schiacciando l’attività agricola rurale, sono tutti elementi
che raccontano un modello che nulla ha a che fare con il “ritorno alla terra”.
Un concetto, sia chiaro, emerso in funzione della cattura, all’interno della
ragnatela di Expo, dei soggetti socialmente attivi sul tema, attirati da un
immaginario, frutto di una banalizzazione e d’un appiattimento, utile più a
vendere un prodotto che a risolvere problemi o presentare alternative.
Coca-Cola,
McDonald’s, Nestlé, Eni, Enel, Pioneer, Dupont, Selex, e altre aziende sponsor
dei padiglioni nazionali, rappresentano alcune delle aziende responsabili
dell’inquinamento di terre e mari, di deforestazioni, di nocività e morti sul
lavoro, di allevamenti come campi di concentramento, di armi da guerra e di
nuove tecnologie di controllo utilizzate sia in ambito militare che civile, non
certo modelli da imitare. Allo stesso modo la presenza di stati come Israele o
di altri regimi dittatoriali, per quanto occultata dietro la retorica del cibo
strappato al deserto o altre amenità, non può far scordare le politiche
genocide o autoritarie di certi Paesi. Ricordiamo che Israele coltiva sì nel
deserto, ma grazie all’acqua rubata al popolo palestinese.
E la
propaganda di Expo non può nascondere le reali conseguenze di questo grande
evento: enormi colate cemento sui campi agricoli inglobati dalle aree
espositive col contentino di seminare qualche mq in città, decine di chilometri
di nuovi percorsi autostradali su aree agricole o parchi, con il taglio di
migliaia di piante e la distruzione di habitat, opere tanto edonistiche quanto
nocive per l’ambiente e inutili per la società.
CIBO
L’alimentazione
è il tema principale di Expo, ma il modo in cui è affrontata distorce
volontariamente alcuni concetti chiave in materia agroalimentare. Expo è un
evento-ponte per modellare il vestito nuovo del neo-capitalismo, la green
economy che usa concetti come “benessere animale” o “sovranità alimentare” per
darsi credibilità.
È evidente
quanto il modello Expo sia lontano dal concetto di sovranità alimentare, visto
il supermarket del futuro proposto da Coop e M.I.T. e basato sul “consumatore
integrato”, cioè un individuo con un conto corrente e la disponibilità di
tecnologia di ultima generazione per poter scegliere il cibo, informarsi
sull’intera filiera produttiva e riceverlo a casa con i droni. Da buon magnate
democratico Expo ha pensato anche a chi non potrà permettersi questo prospero
futuro e ha aperto i suoi spazi a McDonald’s, probabilmente il colosso
alimentare più cancerogeno e schiavista al mondo.
La formula
“benessere animale”, recuperata della propaganda Expo e ripetuta come un mantra
dai suoi partners alimentari, è un mal celato tentativo linguistico di
edulcorare i drammatici processi dell’allevamento. Sappiamo bene che è un
concetto inventato per rendere più accettabile la catena di smontaggio da
individui a cibo, in modo da confortare i consumatori, oggi apparentemente
consapevoli e attenti all’intero processo dell’alimentazione. Crediamo che non
è importante quanto gli animali da reddito vivano bene, come crede di insegnare
Slow Food, ma è importante che ognuno di loro possa autodeterminare la propria
esistenza e il proprio habitat e lo si sganci dal considerarlo come merce
produttiva all’interno di un modello alimentare antropocentrico.
FREE
JOBS
“Nutrire il
Pianeta, Energia per la vita” quindi, uno slogan che in superficie tratta nella
maniera appena descritta il tema dell’alimentazione, ma nel profondo funge da
alibi dietro cui si nascondono il cemento dei piani di gestione del territorio
nazionale e in cui si sostanzia una precarietà lavorativa, che oltrepassa la
dimensione della crisi e diventa dispositivo strutturale per giustificare le
politiche di austerity che sottendono al sistema capitalista e alla sua
sopravvivenza.
Expo si fa
quindi laboratorio di sperimentazione di nuove politiche sul lavoro che hanno,
da una parte lo scopo di anticipare le legislazioni che riguarderanno tutto il
paese, e che in gran parte il Jobs Act ha già realizzato, dall’altra quello di
garantire un evento in cui la redistribuzione della ricchezza è assente o
riservata solo a chi sta in cima alla piramide. Attraverso deroghe al patto di
stabilità e accordi con i sindacati confederali, viene sancito, con Expo, lo stravolgimento
del lavoro a tempo determinato. Permettendone la somministrazione incontrollata
e il rinnovo del 100% del personale utilizzabile tra un contratto e l’altro, si
abbassa la percentuale di assunzione dopo il periodo di apprendistato, si determinano
condizioni di stage che poco hanno a che fare con l’ambito formativo e che
invece riguardano direttamente lo sfruttamento lavorativo.
Ciliegina
sulla torta di Expo è l’esercito di volontari ottenuto grazie ai suddetti
accordi che permettono ad aziende e datori di lavoro di servirsi del lavoro
gratuito. All’inizio 18500 persone solo sul sito, poi fermi a 7000 per carenza
di candidature, poi cifre di cui diventa difficile comprendere il fondamento.
Quel che è certo è che i volontari saranno la tipologia prevalente di
manodopera per Expo. È la ramificazione nella ramificazione: per Expo si
cercano lavoratori disoccupati da inserire nei processi di perenne
occupabilità, per Expo lavoreranno gratuitamente i Neet e gli studenti medi e
universitari, cui vengono imposti progetti e lavori con il ricatto del voto
finale, della maturità, della promozione o del “fare curriculum”.
Con Expo
viene quindi esplicitato l’obiettivo delle politiche lavorative delle ultime
due decadi: da lavoratori a tempo indeterminato si è costretti ad accettare
qualsiasi forma di tempo determinato; politiche che hanno portato a una
crescente precarietà culminante, ora, nello sfruttamento tout court. Con Expo
continua l’economia della speranza rivolta al lavoro, per cui la condizione di
sognare un futuro prima o poi stabile parte già dal mondo della formazione e si
materializza nel tempo sempre più come un miraggio irraggiungibile, mentre si
alimenta il sistema di liberalizzazione del mercato del lavoro attraverso
l’impiego di agenzie interinali come Manpower, macchine di precarizzazione che
agiscono sui territori da tempo. Una speranza che, in fondo al percorso,
diviene ricatto e minaccia d’esclusione sociale, agito per rimpolpare un
esercito di riserva mai così numeroso.
SOCIAL?
Expo è al contempo,
quindi, l’emblema di una fabbrica di sogni e di immaginari, e una farsa. Le
promesse di un futuro migliore, la “pulizia” e l’eticità attraverso la
categoria del “biologico&tradizionale”, “buono, sano e giusto”, dice Expo
dopo aver fagocitato Slow Food e con esso l’operazione “Expo dei Popoli”.
Questo contenitore di oltre 40 ONG, associazioni e reti contadine vuole
cavalcare “l’occasione” del grande evento, ma attraverso le sue rappresentanze
non esprime una critica alla squallida speculazione sul vivente messa in campo
dal grande evento, giustificando e legittimando così tutte le logiche di cui
Expo si fa vetrina. Non ci si può dire contro, dichiararsi per la sostenibilità
ed essere complici di Expo 2015.
Non contento
di aver fagocitato senza particolari resistenze questa fetta di mondo
associativo e di società civile, che si dice attenta alle “compatibilità”, Expo
rilancia con il tentativo di creare una piattaforma sensibile alle questioni di
genere. In un primo momento il carattere “gay friendly” di Expo, con la volontà
di creare una gay street in via Sammartini e di presentare uno scenario attento
al mondo della diversità di genere, ha fatto ben sperare tutto quel giro di
locali e affini che speculano sulle identità, e tutti i sinceri democratici che
han creduto in un’apertura sociale del grande evento. Ma le carte in tavola si
sono scoperte velocemente: la denuncia del processo di ghettizzazione alla base
della creazione di luoghi “per gay” e il patrocinio di Expo ad un evento
omofobo nel gennaio 2015, hanno svelato la vera natura di Expo rispetto alle
questioni di genere e l’uso strumentale delle stesse. Tale natura viene
confermata anche dalla creazione di un portale “Women for Expo” che diffonde
una rappresentazione della donna come nutrice, cuoca e madre, parametri
funzionali alla conferma di immaginari che vedono la donna relegata ad un unico
ruolo e subalterna ai meccanismi di governo della società e dei territori.
IL
PARADIGMA
Milano è
diventata il laboratorio di un paradigma che vuole imporre un modello di
sviluppo e governance che trasforma irreversibilmente e in modo lesivo la
società e i territori. Vediamo la nostra città trasformata, modellata per farla
diventare una bomboniera da vetrina, facendo tabula rasa della memoria dei
quartieri popolari e del verde cittadino. Un modello che prevede l’accumulo di
ricchezza a favore di quei pochi che regolano il gioco del settore edilizio o
che gestiscono in generale le eccedenze di profitto; ci sottraggono territorio,
beni comuni, servizi, reddito per darli in pasto ai grandi squali dell’edilizia
o della finanza, mentre le aziende appaltanti intascano mazzette. Lo scenario
dell’Expo era allestito per far da copertura a queste operazioni e mettere in
moto un nuovo dispositivo predatorio.
Questa è la
crescita tanto decantata dalla Troika. Questo il tipo di progresso che si sta
promuovendo: un avanzare effimero che serve a rigenerare la finanziarizzazione
di beni e servizi e la sottomissione di regole e priorità alle esigenze del
mercato, applicate in tutti i settori, perfino nell’immaginario, per darsi
autogiustificazione. Il paradigma Expo vorrebbe continuare a costruire un mondo
che si è già dimostrato superato, protagonista della crisi iniziata nel 2007, e
che cerca di rialzarsi calpestando le sue stesse macerie.
L’ATTITUDINE
NOEXPO
Il rifiuto
di questo modello e il suo superamento nella propulsione di altre logiche sta
alla base dei nostri ragionamenti e porta la rete dell’Attitudine NoExpo a
individuare le seguenti priorità:
• Fermare
l’estrazione di risorse e lo smantellamento dei servizi e dello stato sociale
per promuovere la tutela del bene comune e del bene pubblico.
•
Riaffermare la sostenibilità della vita attraverso l’abbattimento della
precarietà, l’attenzione all’utilità del lavoro e alla sua retribuzione.
Combattere la precarietà come dato acquisito e destinare, ad esempio, le
risorse finanziarie dedicate a questi eventi ai settori lavorativi messi in
ginocchio dalle nuove legislazioni.
• Trovare
nella lotta ad Expo la possibilità di un fronte sociale comune, bloccando
immediatamente la logica del lavoro gratuito in favore di quella del reddito
garantito.
• Promuovere
la cura dell’educazione e della formazione che devono tornare a focalizzarsi
sullo scambio di saperi e non sulla compravendita di energie da impiegare nel
mercato seguendo bisogni determinati unicamente da logiche di consumo.
Ripartire dalla scuola, contestando con forza tutte le forme di
aziendalizzazione della formazione pubblica e i meccanismi di falsa
meritocrazia che sviliscono la qualità dell’insegnamento trasformato in una
competizione senza fine.
• Ripartire
dal sostegno ai piccoli agricoltori e al biologico per tutti e non solo per la
ricca élite che si può permettere Eataly.
• Ripensare
ad un rapporto equiparato tra le specie che popolano terre, acque, cielo, in
prospettiva del superamento della prevaricazione di una popolazione sull’altra
e della specie umana su tutte le altre.
• Affermare
immaginari che ribaltino quelli di una società machista, maschilista e
patriarcale, che svelino la ricchezza e la pluralità dei generi oltre il
binarismo della categorizzazione imposta.
• Tutelare
il diritto alla città, salvaguardando in primo luogo i parchi di Trenno e delle
Cave che potrebbero subire, a causa di Expo, trasformazioni strutturali che
porterebbero alla parziale distruzione di uno dei polmoni più importanti di
Milano e metterebbero a repentaglio la vivibilità della zona.
•
Riappropriarsi della città, della memoria dei sui luoghi, della ricchezza dei
suoi parchi, della possibilità di vivere liberamente il territorio urbano.
• Il
carattere estemporaneo di Expo rivela la necessità di una battaglia che non si
esaurisce né inizia con il primo maggio, il primo maggio viene assunto come
momento centrale di un percorso che si è articolato prima e si articolerà dopo
la chiusura del megaevento.
Questa è
l’Attitudine No Expo: un approccio a questo modello che sappia rispondere
tentacolo per tentacolo e crei iniziativa, azione, (ri)creazione oltre alla
mera contrapposizione.
COSA
VOGLIAMO
Il Primo
Maggio deve essere una giornata in cui le vertenze sollevate all’interno del
territorio milanese e in tutto il Paese trovino spazio di elaborazione,
espressione ed azione condivisa. Dalle politiche dell’abitare alla tutela dei
beni comuni; le lotte popolari territoriali e i blocchi sociali metropolitani
che resistono ai processi di saccheggio e precarizzazione; dall’analisi sul
debito e sullo SbloccaItalia al dibattito su lavoro, lavoro gratuito, Neet e
Garanzia giovani; dalle politiche sull’alimentazione al ragionamento sulle
metropoli e i processi di gentrification; dalla questione di genere a quella
animale
In questo
periodo contraddistinto da una liquidità sociale senza precedenti, Expo è
emblema “del nemico”, di tutte le lotte che ci accomunano. La nostra forza sta
nella capacità di riconoscerci soggettività, inseribili in una globalità che
modelleremo solo se sapremo metterci in discussione per tessere nuove reti di
espressione, di crescita e sviluppo di lotte, saperi, percorsi e pratiche.
Il
superamento di Expo è una scommessa, e in questi sei mesi vogliamo creare
un’agenda politica che ci permetta di intrecciare le lotte territoriali,
nazionali e internazionali e sviluppare quelle connessioni tangibili, che non
si esauriranno in una manciata d’ore nei giorni della “grande” inaugurazione, e
che sono condizione necessaria per dare gambe e respiro a una lunga stagione di
lotta
La sfida
lanciata da Renzi, quella di non rovinare la festa alla vetrina di Expo, è una
scommessa che raccogliamo e rilanciamo, e che ci chiama all’azione il Primo
Maggio. Ci andremo, ma con lo sguardo volto oltre la data.
LE
CINQUE GIORNATE DI MILANO (29APRILE-3MAGGIO)
Contro
l’inaugurazione di Expo2015 lanciamo una catena di appuntamenti, che per noi
inizia il giorno prima, 30 aprile, con l’attraversamento della città da parte
di un corteo studentesco di respiro nazionale che parlerà di lavoro gratuito,
di riappropriazione degli spazi giovanili, di apertura di nuovi fronti di
dibattito metropolitano a livello studentesco.
Seguirà il
Primo Maggio, erigendosi a simbolo di un modello di sviluppo lontano dal regime
dell’austerity e attento al benessere sociale della popolazione. Una giornata
di iniziativa ed azione, un Primo Maggio in grado di raccogliere la radicalità
festosa della Mayday milanese e di farne patrimonio per caratterizzare una
protesta determinata e incisiva, legittimata dal consenso di coloro che
subiscono giorno per giorno lo smantellamento dello stato sociale, capace di
comunicare ad ampi strati della popolazione. Il Primo Maggio deve essere lo
scenario della capacità di mobilitazione e della convinzione che senza
conflitto non c’è cambiamento, ma che non c’è conflitto senza consenso. Una giornata
in cui il conflitto si traduce anche in campeggio per garantire l’ospitalità a
chi viene da fuori. Il campeggio si aprirà il 30 aprile. Un tempo e un luogo in
cui riappropriarsi del verde della nostra città, perché l’alternativa ad Expo
per vivere i nostri parchi è possibile e non per forza passa per lo
sfruttamento e lo stravolgimento del territorio (vedi vie d’acqua). Un
campeggio che sarà animato da dibattiti, workshop e assemblee, proprio sui temi
che Expo ha deciso di usare come copertina per nascondere la sua vera natura
attraverso operazioni di green-washing e pink-washing.
Il 2 maggio,
abbiamo scelto di continuare la mobilitazione, non abbassando il livello del
conflitto, ma diffondendo in tutta la città, su più livelli e su più pratiche e
tematiche, l’opposizione diretta all’evento Expo. Nei quartieri e nei
territori, dal centro storico alla provincia, attraverso l’hinterland e le
periferie, mostreremo, in un’ampia varietà di azioni, quanto siamo contrari al
circo di Expo.
Il 3 maggio,
infine, costruiremo una grande assemblea conclusiva, capace di raccogliere il
portato delle tre giornate di cortei e azioni e mettere a valore le opinioni,
le proposte, le riflessioni e anche le critiche di tutti e in cui presenteremo
AlterExpo, non una fiera alternativa, ma sei mesi di azioni, iniziative,
alternative, percorsi, oltre il grande evento e contro il modello delle grandi
opere e dei megaeventi. Un momento che sappia rilanciare lo spirito,
l’attitudine dell’opposizione a Expo nei sei mesi che seguiranno, ma anche e
soprattutto oltre i sei mesi dell’esposizione.
Expo è un
modello di gestione del territorio, del lavoro, dell’istruzione, dei rapporti
sociali, del cibo e dell’acqua, che presto o tardi ci verrà imposto senza più
alcuna grande opera o grande evento a fare da paravento e giustificazione.
Noi
ci opponiamo a questo modello ora, il Primo Maggio, nei sei mesi di Expo e
oltre.
Expo
fa male, facciamo male a Expo. Il Primo Maggio comincia la nostra festa.
See you at the party!
LE COMPAGNE
E I COMPAGNI DELLA RETE ATTITUDINE NO EXPO
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