mercoledì 15 luglio 2015

Corriere della Sera MILANO : Amianto, Pirelli

Pirelli:

 11 condanne per omicidio colposo aggravato

Pene tra i tre e i sette anni. Tra i condannati anche Guido Veronesi, fratello dell’oncologo Umberto. Ventiquattro gli operai morti o ammalati per tumore


Si è concluso con 11 condanne a pene tra i 3 e i 7 anni e 8 mesi di reclusione il processo a carico di altrettanti ex dirigenti della Pirelli imputati in relazione a 24 casi di operai morti o che si sono ammalati di forme tumorali a causa dell’amianto, dopo avere lavorato negli stabilimenti milanesi della Pirelli. Gli imputati rispondono a vario titolo di cooperazione in omicidio colposo aggravato e in lesioni gravissime. Sono stati tutti membri del consiglio di amministrazione della Pirelli tra il 1979 e il 1989. La sentenza è stata emessa dai giudici della sesta sezione penale, che hanno sostanzialmente accolto la ricostruzione del pm Maurizio Ascione secondo la quale gli operai sono morti a causa dell’inalazione di fibre di amianto nelle fabbriche di via Ripamonti e viale Sarca. Il pm aveva chiesto la condanna a pene fino a 8 anni di carcere per 8 ex dirigenti e l’assoluzione per altri tre.

Mesotelioma pleurico
Il collegio ha condannato tutti gli imputati anche al risarcimento delle parti civili in solido con il responsabile civile Pirelli Tyre spa, disponendo una provvisionale di anticipo sulla quantificazione da stabilire in sede civile di 520mila euro. Secondo il capo di imputazione formulato dal pm Giulio Benedetti inizialmente titolare del fascicolo, gli imputati «per imprudenza, negligenza, imperizia e in violazione della normativa sulla sicurezza del lavoro, in particolare il dpr 303/56», avrebbero causato «la morte per mesotelioma pleurico o lesioni gravissime ai propri dipendenti per mesoteliomi e asbestosi pleuriche». Secondo una consulenza svolta dall’Asl che ha evitato un’iniziale richiesta di archiviazione, infatti, gli operai che poi si sono ammalati rimanevano «esposti per tutta la giornata lavorativa e senza l’adozione di adeguati sistemi di aspirazione o protezione individuale alle fibre di amianto aerodisperse durante l’attività lavorativa svolta». E questo perché gli imputati avrebbero omesso di installare sistemi di aspirazione e raccoglimento polveri per proteggerli, quando allora l’amianto era «presente in varie forme nel talco, negli scambiatori di calore, nelle postazioni di lavoro, nei locali di servizio (centrale termica e per la produzione del vapore, nei sotto servizi (centraline e rete di distribuzione sotterranee dove correvano anche le derivazioni elettriche), nei coibenti con presenza di amianto in percentuali variabili quali le corte, le trecce, le coperte e le guarnizioni», oltre a essere «utilizzato come isolante termico e coibente per le tubazioni, nonché per la produzione di pneumatico». Quando Benedetti ha cambiato ufficio, il fascicolo è stato ereditato da Ascione che ha mantenuto sostanzialmente l’impostazione accusatoria del suo predecessore, ancorandola però alla più recente letteratura scientifica sulla correlazione tra esposizione ad amianto e tempi di sviluppo della malattia.

Nessuna accidentalità
In sede di udienza preliminare erano state archiviate tutte le imputazioni relative alla violazione delle norme di sicurezza sul lavoro, essendo il reato ormai prescritto, ma il processo ha preso il via davanti al giudice Raffaele Martorelli per i capi d’accusa più gravi. Nella sua requisitoria, il pm aveva sottolineato che dal processo è emerso un «quadro di profondo radicamento nel tempo e nello spazio di una situazione di pericolo che, in quanto tale, non poteva presentare carattere di accidentalità ed essere gestita nell’opera minuta e quotidiana di direttori di stabilimento pro tempore». Secondo Ascione, la presenza della sostanza pericolosa «avrebbe reso necessario un intervento strutturale e strategico in quanto la scelta di politica dell’impresa non poteva fare capo a chi si trovava a gestire il quotidiano». «Che vi fosse consapevolezza sulla questione amianto - ha aggiunto il pm - lo abbiamo potuto apprendere grandemente da una serie enorme di dati su come venivano gestiti quegli stabilimenti. La Pirelli, in quanto datore di lavoro, avrebbe dovuto adottare e pretendere che venissero adottate le misure per prevenire il rischio di pregiudizio per la salute del lavoratore».

Le provvisionali
Mercoledì 15 luglio, dunque, la condanna più alta è stata inflitta a Luciano Isola, consigliere dal 1980 al 1986, condannato a 7 anni e 8 mesi, quella più lieve ai tre ex componenti del consiglio di amministrazione per i quali Ascione aveva chiesto l’assoluzione, ovvero Gabriele Battaglioli, Carlo Pedone e Roberto Picco. Condannato a 4 anni e 8 mesi di carcere Ludovico Grandi, amministratore delegato del gruppo fino al 1984; a 6 anni e 8 mesi Giorgio Sierra, ex amministratore delegato Pirelli ed ex presidente dell’Associazione italiana per la ricerca sul cancro, e a Guido Veronesi, fratello dell’oncologo Umberto. Nel dettaglio, è stata disposta una provvisionale immediatamente esecutiva di 300 mila euro per l’Inail, di 100mila euro per ciascuno dei due eredi di un ex operaio deceduto e di 20mila euro ciascuna per Medicina democratica e Associazione italiana esposti all’amianto. I familiari delle altre vittime avevano già ritirato la costituzione di parte civile dopo aver raggiunto con Pirelli un accordo economico per un risarcimento stragiudiziale. Nelle settimane passate, altri processi a Milano su morti per amianto (Enel Turbigo e Franco Tosi) si erano conclusi con l’assoluzione di tutti gli imputati. Le motivazioni saranno depositate entro 90 giorni.
Gli avvocati: «Faremo appello»
«Prendiamo atto con rammarico dell’odierna sentenza di primo grado e aspettiamo di leggere le motivazioni non appena saranno depositate. Sulla base delle evidenze scientifiche a oggi disponibili emerse nel corso della fase dibattimentale del processo, siamo certi della correttezza dell’operato dei nostri assistiti per i fatti contestati risalenti a oltre 25 anni fa, e presenteremo impugnazione in appello». Lo dichiarano gli avvocati difensori di Pirelli e degli ex dirigenti Pirelli condannati dal tribunale, in forza all’azienda negli anni Ottanta.



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