Sino a pochi
giorni fa la Volkswagen sembrava la quintessenza della potenza economica
tedesca. Primo produttore di automobili al mondo, 200 miliardi di fatturato,
un’infinita gamma di prodotti. Ora è imprevedibile capire le ricadute dello scoppio dello scandalo delle emissioni per l’azienda e la Germania nel suo complesso, un paese dove un posto di lavoro su sette dipende a vario titolo dal settore dell’auto.
un’infinita gamma di prodotti. Ora è imprevedibile capire le ricadute dello scoppio dello scandalo delle emissioni per l’azienda e la Germania nel suo complesso, un paese dove un posto di lavoro su sette dipende a vario titolo dal settore dell’auto.
Come
è emerso lo scandalo
Come spesso
succede per i grandi scandali, quello delle emissioni è emerso casualmente. Un
piccolo laboratorio indipendente (l’ICCT) aveva condotto dei test su vetture
diesel da cui risultavano valori delle emissioni inquinanti sino a 35 volte
superiori a quanto dichiarato dalla VW. Queste forti divergenze sono state
portate a conoscenza dell’EPA (l’agenzia statunitense per l’ambiente) che ha
chiesto spiegazioni. La casa all’inizio ha negato sostenendo che le discrepanze
erano dovute a problemi del software, ma alla fine ha dovuto ammettere la
verità: il software delle automobili è in grado di capire quando il mezzo sta
subendo un test (ossia si trova sui rulli con il freno a mano tirato) e di
limitare di conseguenza le emissioni. In strada, il marchingegno si spegne,
facendo impennare spaventosamente i livelli di inquinanti. Il trucco serviva
per vendere più automobili diesel dichiarando prestazioni fantascientifiche
anche come impatto ambientale. Il software è in dotazione a circa 500.000
vetture vendute in America dal 2009 e 11 milioni in tutto il mondo.
Creare un
software che è in grado di falsare i test è decisamente un imbroglio clamoroso,
ma non è certo un caso isolato. Per esempio, per circa un decennio GM ha
nascosto un problema al sistema di iniezione di molti suoi modelli ed è stata
costretta a richiamare 2,6 milioni di auto dopo che erano già morte oltre 120
persone. La Toyota ha pagato una multa di 1,2 miliardi di dollari quando è
emerso che un difetto di fabbricazione aveva ucciso almeno 5 persone. Per
quanto riguarda le emissioni, le case automobilistiche usano diversi
stratagemmi per ridurre i consumi durante le prove: pneumatici speciali,
macchine più leggere, prove ad alta quota, ecc., il che spiega come mai auto
diesel e ibride vengano pubblicizzate con consumi ed emissioni bassissimi che
mai avranno nelle condizioni reali.
Il
vino dell’oste
Ci si
potrebbe domandare: ma le autorità pubbliche non controllano la veridicità di
queste affermazioni? C’è un noto detto che dice che è inutile chiedere all’oste
se il vino è buono per ragioni sin troppo ovvie a tutti, a tutti salvo agli
enti pubblici che dovrebbero certificare quanto inquinano le automobili.
Infatti, sia negli Stati Uniti che in Europa, le agenzie governative non hanno
fondi a sufficienza per testare le auto, quindi prendono semplicemente per
buone le dichiarazioni delle aziende o si servono di organizzazioni commerciali
che competono per avere commesse dalle case automobilistiche di cui testano i
prodotti. Almeno la EPA americana ogni tanto fa test a campione, in Europa
nemmeno quello. La scelta della VW, che appare per certi versi ingenua, si
comprende nel quadro di una legislazione talmente in mano alle lobby automobilistiche
che i produttori non faticano nemmeno troppo per produrre dati realistici.
D’altronde è emerso che l’Unione Europea era a conoscenza da anni di queste
pratiche e non ha mai aperto bocca.
Tutto ciò
non è certo confinato al mondo dell’auto. Da decenni la deregulation è la
colonna sonora della ritirata dello stato dall’economia. Che si parli di
agricoltura o di banche, le aziende fanno da sé, con le conseguenze che
conosciamo bene. Per fare solo un esempio, a partire dal ’96 la regolamentazione
bancaria ha previsto forme crescenti di auto-rappresentazione dei rischi delle
banche, così le banche hanno fabbricato bilanci volti a massimizzare i profitti
e non certo a descrivere la realtà. Nel 2008 abbiamo scoperto con quali
conseguenze.
Che succederà
ora? L’unico che ha poco da preoccuparsi è l’ex CEO della Volkswagen,
“cacciato” con una buonuscita di quasi 30 milioni. Le agenzie governative hanno
dichiarato che faranno controlli più severi, le stesse chiacchiere sulle
“riforme della finanza” che abbiamo sentito dopo il crollo dei mutui subprime.
Dal canto suo l’EPA minaccia multe miliardarie e sono possibili azioni di
rivalsa dei consumatori. Anche qui nulla di nuovo. Le banche sono state multate
per decine di miliardi dopo questo o quello scandalo senza che nulla di
sostanziale cambiasse nel loro business. Nella diversa reazione sulle due
sponde dell’Atlantico vi è anche, ovviamente, lo spettro nemmeno troppo velato
di una guerra commerciale. Non è un caso che lo scandalo sia scoppiato in
America. Questo non dipende da una migliore tecnologia dell’EPA, abbiamo già
detto che in realtà le istituzioni europee sapevano da anni, ma dal fatto che
la tecnologia diesel è del tutto secondaria negli Stati Uniti mentre
l’industria europea ci ha scommesso molto, tanto che ormai oltre metà delle
nuove auto vendute nell’Ue è diesel, rispetto al 10% circa dei primi anni ‘90.
Ci sono in ballo decine di miliardi di euro l’anno, lo scontro sarà senza
esclusione di colpi.
E
ora?
Il
contraccolpo dello scandalo sarà pesante ed è chiaro che l’azienda lo
scaricherà sui lavoratori tedeschi e degli altri paesi europei. È anche chiaro
che le classiche ricette keynesiane non funzionano. Mano pubblica? Il governo
della Bassa Sassonia ha già una quota del 20% in Volkswagen. Maggior peso dei
sindacati? L’IG Metall è già parte della direzione aziendale e il suo ex
Presidente, capo del Consiglio di Sorveglianza, è una figura chiave
dell’azienda. Le ricette classiche dei dirigenti riformisti non servono a
niente. Il capitalismo “sociale” tedesco non è meno antisociale e meno nemico
dell’ambiente di altre varianti di capitalismo. La proprietà pubblica e i
sindacati nella stanza dei bottoni senza il controllo dei lavoratori
sull’economia sono inutili. Ci vogliono investimenti in fonti rinnovabili, un
piano integrato europeo dei trasporti, ma di nuovo, si tratta di chiacchiere se
i lavoratori non controllano le leve decisive del processo produttivo.
Articolo
dal sito rivoluzione.red
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