venerdì 8 aprile 2016

LANDINI E LA CAMUSSO SARANNO RICORDATI PER AVER DISTRUTTO LO STATUTO DEI LAVORATORI



La CGIL e la Fiom annunciano la partenza della raccolta di firme per poter presentare in parlamento, una proposta di legge per la definizione di una “Carta dei diritti universali del lavoro”.
Si tratta di un progetto ambizioso di ridefinizione di tutte le tutele e le norme che dovrebbero presiedere ai rapporti di lavoro. L’idea è quella di riscrivere una legge che sostituisca lo “Statuto dei diritti dei lavoratori” del 1970, ormai largamente svuotato dall’azione demolitrice di Monti-Fornero nel 2012 e di Renzi-Poletti nel 2015.
In pratica la Cgil sposa la tesi del superamento dello Statuto dei Lavoratori, la Legge300/70 frutto delle lotte dei lavoratori alla fine degli anni 60, e propone di sostituirlo con una Carta dei diritti universali del Lavoro, quindi non più dei lavoratori.
Sembra, ma non è, un operazione di ammodernamento e di lucidatura di quello che la destra e il centro sinistra ormai da tempo trattano come un arnese inservibile di cui è meglio fare a meno per liberarsi da quei “lacci e lacciuoli” che limitano l’orizzonte delle imprese e gli impediscono di rincorrere le alte mete del profitto senza limiti.

La Cgil nell’articolato non solo dà per definitivo il nuovo assetto del lavoro, considerando come ormai parte integrante tutte le forme, anche le più becere, di sfruttamento e di precarietà introdotte dai vari governi nell’ultimo decennio per aderire alle richiesta di confindustria e del capitale, ma formalizza il jobs act e l’accordo del 10 gennaio accettando e facendo proprio quel micidiale combinato fortemente voluto per stroncare ogni diritto ed ogni possibilità di utilizzare il conflitto per garantirne la sopravvivenza.
I contenuti del progetto di legge però meritano una valutazione più articolata.
Esso si compone di 97 articoli raggruppati in tre titoli. Il primo titolo riguarda le tutele fondamentali: il diritto ad un lavoro dignitoso, ad un compenso equo, alla sicurezza in azienda, il diritto al riposo e alla conciliazione con la vita familiare, alle pari opportunità, alla libertà di espressione e a non essere discriminati né controllati a distanza, ad ammalarsi, ad una adeguata e gratuita tutela processuale nelle controversie di lavoro, e (di questo si parla nel terzo titolo) del diritto alla reintegra in caso di licenziamento illegittimo individuale o collettivo.
Dunque si propone proprio la reintroduzione di gran parte dei diritti che le controriforme liberiste hanno cancellato, troppo spesso con il consenso, o almeno con la passività delle grandi organizzazioni sindacali.
Sorge dunque spontanea la domanda: come può essere pensabile che questa organizzazione sindacale, che non ha voluto  difendere quei diritti quando erano leggi dello Stato, possa riuscire a ripristinarli in una fase nella quale i rapporti di forza tra le classi, anche grazie alla cancellazione di quelle leggi, si sono pesantemente deteriorati a sfavore delle lavoratrici e dei lavoratori?
Per riconquistare questi diritti non basta certo una raccolta di firme.
C’è bisogno di una mobilitazione durissima, basata su una drastica svolta nella linea sindacale, nella politica contrattuale della Cgil, che invece si omologa sempre più a quella filopadronale di Cisl e Uil, come stanno a dimostrare i più recenti accordi contrattuali.
Inoltre, dietro la bella immagine delle premesse, ci sono cose molto meno edificanti.
Nella foga della sacrosanta preoccupazione di estendere gran parte dei diritti anche alle forme più precarie di rapporto di lavoro, si procede alla definitiva legittimazione da parte della Cgil di ogni tipo di precariato, dalla somministrazione agli stessi voucher, per cui la tanto proclamata centralità del rapporto di lavoro a tempo indeterminato resta una pura declamazione.
Con buona pace – a proposito di firme – dei 5 milioni di firme raccolti dalla stessa Cgil nel 2002 contro la famigerata legge 30.
E nel secondo titolo del progetto di legge si pensa di dare agli articoli 39 e 46 della Costituzione quella disciplina attuativa che manca dal 1948.
Ma la disciplina proposta si basa sulla legificazione delle norme sulla rappresentatività contenute nel “Testo unico” sottoscritto con la Confindustria nel gennaio 2014, cioè in un accordo il cui carattere corporativo e antidemocratico è noto alle lavoratrici e  lavoratori a noi vicini.

Questa proposta di legge perciò è un’iniziativa che non modifica l’ormai largamente consolidata subalternità della Cgil allo stato di cose presenti né sul piano della mobilitazione né su quello della linea generale.
Né sarà capace di porre un argine alla crisi politica e organizzativa latente che travaglia il principale sindacato italiano.
Tutto ciò la borghesia non l’ha realizzata nemmeno da sola, ma con il consenso attivo e subalterno delle O.S. alle sue dipendenze, dalla pratica stasi di ogni reale mobilitazione sindacale, salvo le coraggiose ma isolate iniziative di alcuni sindacati di base o di delegate/i legate alla sinistra della Cgil, anche se la Fiom dichiara incompatibile chi organizza lo sciopero.
Sono le iniziative di questo tipo che occorre incentivare. Possono essere gli unici argini all’ulteriore pesante arretramento che si prepara.

Il segretario della Fiom Landini e la Segretaria della CGIL Camusso saranno ricordati per aver distrutto lo statuto dei lavoratori duramente conquistato con anni di lotte.

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