giovedì 27 aprile 2017

Pubblichiamo molto volentieri questa intervista a Flavia Intallura a cura di Patrizia Cammarata per Progetto Comunista*

Intervista a Flavia Intallura, “Mamma Africa” dei profughi nella provincia di Vicenza

“Occupiamoci della sofferenza dei rifugiati e dei richiedenti asilo”




Venerdì 3 febbraio i leader europei si sono incontrati a Malta per approvare le nuove disposizioni volte a chiudere la rotta dei migranti dalla Libia all’Italia. Nel memorandum triennale d’intesa firmato il 2 febbraio scorso dal Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni e dal premier libico Fayez al Sarraj si prevede di finanziare il governo di Tripoli e le agenzie umanitarie attive in Libia per la gestione dei migranti.  Nonostante i leader abbiano ripetuto il loro impegno per la tutela dei diritti dei migranti, con l’accordo raggiunto dall’Italia con la Libia, chi conosce la realtà libica, e ha ascoltato i racconti di chi ha attraversato la Libia per arrivare in Italia, sa bene che in questo modo centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini, già in fuga da guerra e persecuzioni, non saranno tutelati come vogliono farci credere ma, anzi, subiranno nuovi abusi e sofferenze.  È un accordo avente lo stesso obiettivo di quello siglato fra Unione Europea e Turchia, che ha consegnato al regime di Erdogan il respingimento di uomini, donne, bambini e anziani che fuggono dalla guerra in Siria. Il governo Gentiloni affida al governo fantoccio libico di Serraj il criminale lavoro di respingimento di chi cerca di uscire e fuggire da fame, guerre e disperazione.
Ed è proprio venerdì 3 febbraio che incontro, nella sede del sindacato Usb di Vicenza in via Zaguri, Flavia Intallura, addetta allo sportello migranti e segretaria dell’Associazione Senza Confini con sede a Schio (Vicenza). Flavia, invece, di questa disperazione si fa carico e, anzi, questa disperazione vuole organizzarla, darle una dignità e una prospettiva contro un sistema razzista e ingiusto.
Flavia, perché hai scelto di dedicarti alle tematiche dell’immigrazione?
“Io stessa provengo da un’esperienza di emigrazione, anche se non ai livelli tragici vissuti dalle persone di cui mi occupo. Anch’io, però, ho conosciuto il razzismo; l’ho provato su me stessa, quando ancora ero una bambina, essendo figlia di siciliani emigrati in Germania. Sono nata in Germania dove sono rimasta fino all’età di vent’anni. Mio padre era operaio, poi negli ultimi anni, siccome parlava correttamente quattro lingue, è diventato mediatore culturale. Ma io ricordo ancora l’emarginazione e la sofferenza di quando dovevo giocare da sola perché i bambini tedeschi mi escludevano dai loro giochi… Sento molta empatia con chi è immigrato. Forse anche per questo mi conquisto la loro fiducia e qualcuno di loro, qui a Vicenza, mi chiama “Mamma Africa”.

Quando è nata l’associazione “Senza Confini”?
“E’ nata lo scorso anno, nel 2016. Ci sono centinaia di sportelli, nel Veneto, che si occupano d’immigrazione, ma la nostra Associazione è l’unica, a quanto mi risulta, che si occupa specificatamente dei richiedenti asilo”.

E’ un’associazione del sindacato Usb (Unione sindacale di base)?
“No, l’associazione è indipendente ma la collaborazione con Usb Vicenza è molto importante. Non solo, il rappresentante legale regionale di Usb Federazione del Veneto, Germano Raniero, ci consente di avere uno sportello nella sede di Vicenza alcuni giorni la settimana. C’è, soprattutto, una fattiva collaborazione con il sindacato per quanto riguarda gli aspetti legali, la necessità di un avvocato, i rapporti con la Questura e la Prefettura e, soprattutto, l’organizzazione di manifestazioni, presidi, un aiuto per analizzare anche dal punto di vista della lotta di classe quello che succede, un aiuto per interloquire con i lavoratori italiani, iscritti e organizzati dal sindacato, e portare loro il punto di vista dei profughi, cercando di sottrarli al razzismo della Lega e di altre forze politiche. Noi cerchiamo di occuparci, come associazione, anche delle cose pratiche (vestiario, cibo, ecc.) ma il rapporto con il sindacato è importante perché è il sindacato che ci ricorda sempre che il nostro non è il ruolo della Caritas, che noi abbiamo il dovere di fare un intervento politico, di organizzare queste persone per dignità e diritti e non per lasciarli in una situazione di sudditanza e richiesta di carità”.

Parlando del razzismo, spesso i titoli di diversi fra i principali giornali locali associano profugo con smartphone…
“E’ veramente indegna la strumentalizzazione sugli smartphone usati dagli immigrati! Se uno ha un cellulare normale o usa un telefono, telefonare in Africa costa tantissimo! Solo con lo smartphone queste persone (che hanno degli amici, degli affetti, una famiglia, nostalgia di casa) possono stare in contatto con la loro famiglia e poter comunicare facendo sapere di essere ancora vivi, e al contempo ricevere notizie da casa!”

 I titoli dei giornali parlano di soggiorno gratuito in alberghi…
“Dobbiamo ricordare che la maggior parte dei richiedenti asilo per poter partire dal proprio Paese d’origine fa una raccolta di soldi fra i parenti e gli amici. Nel loro Paese soffrono la fame, non hanno prospettive, vedono morire familiari per mancanza di cibo o di una banale medicina! Dal Senegal, da altri Stati in Africa, attraversano il deserto per arrivare in Libia dove alcuni sono vittime di storie orrende (torture, amputazione delle orecchie, le donne sono violentate…). Una volta che riescono, attraversando il mare nelle condizioni che sappiamo, ad arrivare in Italia, sono consegnati a delle cooperative che, quasi sempre, hanno l’unico scopo di fare profitto sulla loro disperazione. Le cooperative guadagnano circa € 35,00 il giorno per ogni richiedente asilo. Sono anche 150 le persone “accolte” in alcune cooperative. Fai il conto del guadagno! E considera che nel Veneto circa l'ottanta per cento dei richiedenti asilo riceve un esito negativo alla richiesta. Appena ricevuta la risposta negativa, dopo il ricorso, queste persone, spesso ragazzi molto giovani, sono buttati fuori dalle cooperative: buttati fuori senza lavoro, senza sapere la lingua, perché quasi sempre non si è insegnato loro nulla. E così ragazzi spesso giovanissimi si trovano da un momento all’altro in strada, senza casa, senza cibo, senza amici. Chiaramente, in queste condizioni, in balia della criminalità.
La maggior parte delle cooperative è interessata solo al profitto, non a dare una prospettiva a queste persone”.

I  comitati che si oppongono all’arrivo dei profughi trovano sostegno anche sull’onda di queste false informazioni che mirano a mettere italiani contro immigrati (smartphone, alberghi “di lusso”, ecc.)…
“Certo, basti pensare alle dichiarazioni di Joe Formaggio, sindaco di Albettone, paese in provincia di Vicenza, che continua a rilasciare dichiarazioni che, purtroppo, hanno grande spazio sui giornali. Dichiarazioni come: “Gli immigrati sono sessualmente pericolosi”, “ Mia figlia mai con uno di colore”, “Hitler ha fatto anche cose giuste. I rom? Non servono alla società, rubano tutti”.
Come sai, contro i comitati razzisti abbiamo organizzato nei mesi scorsi un presidio che ha fatto molto scalpore. Si è trattato di un presidio indetto dal nostro sportello Usb Migranti, con Germano Raniero e con l’Associazione Senza Confini e altri gruppi antirazzisti della provincia.  Il giorno dopo i giornali, e vari spazi su facebook, sono stati costretti a non fare i soliti titoli razzisti ma ad aprire con la notizia: “La provincia di Vicenza è solidale” e “Costruiamo ponti, non barricate” riprendendo i due striscioni che hanno aperto il corteo di circa trecento persone. Penso sia importante farci vedere, organizzare la solidarietà.

La situazione delle donne?
“Le donne sono penalizzate il doppio degli uomini, come accade nella maggior parte degli ambiti della società! Intanto, quando arrivano in Italia - ho saputo proprio da alcune di loro - vengono subito intercettate, appena sbarcano a Lampedusa, ma succede anche qui nel Veneto, dalle cosiddette “Madames” che sono spesso loro connazionali immigrate senza scrupoli che all’arrivo di queste giovani ragazze, impaurite e sole, si fingono parenti, le accolgono e le portano in strada a prostituirsi. Le ragazze, che non conoscono la lingua, che non hanno denaro, che arrivano stremate da un viaggio da incubo, non hanno alternative, sono alla loro mercé e completamente sotto ricatto. Ma anche quando non sono intrappolate in questo tranello la loro sorte è drammatica. Sono spesso consegnate a delle cooperative che le rinchiudono in qualche struttura isolata”.

Ricordo che l’otto marzo dello scorso anno siete intervenuti in una situazione simile…
“Sì, è stata una storia in cui abbiamo avuto un ruolo positivo sia come associazione, sia come Usb. E’ successo che un privato ha acquistato una struttura in un paese isolato, in montagna, nella provincia di Vicenza. Si è rivolto poi a una cooperativa, offrendo la struttura, e la cooperativa ha portato undici ragazze, undici profughe. Il proprietario della struttura, con la scusa che la proprietà era sua, ha imposto la sua presenza giorno e notte e rimaneva lui con le ragazze in questa situazione d’isolamento mentre l’operatrice della cooperativa faceva visite saltuarie. Quest’uomo faceva continuamente delle avances alle ragazze ricattandole e, quando loro volevano tenere le distanze, minacciava che avrebbe usato la sua influenza affinché fosse loro negato il Permesso di soggiorno. Allora, come “Associazione Senza Confini”, con l’appoggio di Usb Vicenza, abbiamo iniziato a fare blitz in questa struttura e l’otto marzo scorso abbiamo chiamato gli organi d’informazione e abbiamo consegnato alle ragazze delle rose rosse come simbolo di rispetto e di lotta. Siamo stati pesantemente minacciati dal proprietario ma ci siamo guadagnati la fiducia delle ragazze. Alcune di loro, le più coraggiose, sono uscite dalla struttura e hanno raccontato la loro storia. La Prefettura è stata costretta a trasferirle in una situazione più dignitosa, sottraendole al ricatto e all’isolamento in cui erano costrette”.

Dall’inizio dell’anno si è parlato molto, soprattutto nel Veneto ma la vicenda ha avuto eco nazionale, della tragica vicenda di Sandrine Bakayoko…
Sandrine Bakayoko era una giovane donna di venticinque anni della Costa d’Avorio ed è morta il 2 gennaio scorso nel superaffollato centro di prima accoglienza (ex base militare) di Cona (che “ospitava” 1500 persone fra cui diversi minori), in provincia di Venezia. Sandrine era arrivata in Italia il 30 agosto 2016 ed era in attesa di avere una risposta alla sua richiesta d’asilo. Ha avuto un malore ed è stata trasportata in ospedale a Piove di Sacco in ambulanza, ma è morta durante il trasporto. Gli immigrati che erano nel Centro di Cona hanno subito accusato la cooperativa che gestiva il Centro, affermando che la ragazza era stata soccorsa tardi, che c’era stata negligenza e che l’ambulanza è arrivata solo otto ore dopo. La rivolta è scoppiata nel giro di poco all'interno del Centro di accoglienza: venticinque operatori - tra i quali due medici e un'infermiera - si sono barricati dentro gli uffici, intorno a loro i migranti bloccavano le uscite. La tragedia di Sandrine ha fatto emergere anche la situazione drammatica di molti minori che sono accolti in queste caserme sovraffollate, come quella di Cona, dove spesso manca anche il riscaldamento e dove le condizioni igieniche sono inesistenti. Anche in questo caso, come sportello migranti Usb, siamo intervenuti partecipando alla manifestazione contro il Centro di Cona che ha visto immigrati e lavoratori insieme per chiedere "verità e giustizia sociale per Sandrine Bakayoko". Abbiamo denunciato come le strutture di cosiddetta accoglienza, come quella di Cona, stanno sempre più diventando dei luoghi di privazione di diritti e dignità, nonché di sfruttamento non solo dei profughi ma anche dei lavoratori delle cooperative, come gli operatori sociali che lavorano spesso con contratti di sfruttamento”.

Il 27 gennaio scorso, a Venezia, si è consumata la tragedia di Pateh, un ragazzo di ventidue anni, proveniente dal Gambia, arrivato in Italia due anni fa: si è gettato nel Canal Grande, suicidandosi. Da quello che si è appreso, sembra che le persone presenti hanno trovato il tempo di filmarlo e il coraggio, non di gettarsi a salvarlo, ma di insultarlo con frasi razziste... Cosa pensi di questo fatto?
Credo, da quello che ho potuto conoscere di questo grave dramma, che i presenti che gridavano “Africa! Africa!” forse non volevano insultarlo ma, non conoscendo il suo nome, volevano in qualche modo attirare l’attenzione. Da quello che so c’è stata gente che gli ha tirato dei salvagente affinché lui si aggrappasse. Tuttavia, quello che mi ha colpito e mi ha fatto riflettere sul razzismo di cui è ormai impregnata la nostra società è il fatto che nessuno, proprio nessuno, fra il centinaio di persone che assisteva al suicidio,  si è gettato in mare per salvarlo. Credo che se ad annegare fosse stato un ragazzo bianco non si sarebbe fatto il minimo (cioè semplicemente lanciargli dei salvagente) ma qualcuno fra i presenti si sarebbe tuffato e avrebbe tentato di soccorrerlo. Penso questo anche perché ho saputo che sono state registrate frasi del tipo “se vuole morire, lascialo morire”. Ecco, questo è quello che trovo scandaloso, che nessuno, proprio nessuno si sia tuffato per salvarlo e le frasi tipo “lascialo morire” che vogliono dire “uno di meno…”.

Recentemente il sindaco di Vicenza, Achille Variati, del Pd, commentando una protesta dei rifugiati che si lamentavano per il freddo nella struttura Baronio di viale Trento a Vicenza, ha dichiarato: “I richiedenti asilo devono convincersi che questo non è il Paese dei balocchi. Le cooperative che gestiscono l’accoglienza devono dare i servizi minimi adeguati, ma queste persone non possono pensare di venire e pretendere alberghi a quattro stelle”.
“Al sindaco Variati abbiamo risposto con un comunicato. Abbiamo risposto che Variati esprime il bieco moralismo cattolico anni ’50, la stessa ipocrita carità delle Dame di S.Vincenzo. Abbiamo dichiarato che deve vergognarsi di quelle dichiarazioni. Noi sappiamo da dove vengono gli uomini e le donne di cui Variati parla e di cui Variati strumentalizza la giusta protesta, vengono da nazioni in guerra a bassa intensità, regimi corrotti spesso ‘amici’ dello Stato italiano, dove ci sono fame e povertà, da Paesi che potrebbero essere ricchissimi ma la cui ricchezza è quotidianamente rubata dall’imperialismo italiano, europeo e statunitense, dalle grandi multinazionali. Sono uomini e donne che hanno affrontato la tragedia della traversata del deserto e del mare. Noi, che ci consideriamo un Paese civile, al loro diritto alla vita, alle cure, a un’esistenza dignitosa contrapponiamo muri d’incomprensione, sdegno incivile, prigione preventiva… oppure il “devono accontentarsi”. Inoltre, poiché Variati fa la morale, la facciamo noi a lui e diciamo che pensiamo sia moralmente indegno chiedere i contributi dell’Unione europea per i richiedenti asilo se poi non si garantiscono ai migranti condizioni decenti di accoglienza. Il sindaco di Vicenza, nonché Presidente della Provincia Achille Variati, credo non tenga minimamente in considerazione l’angoscia di queste persone, dei mesi e mesi in cui sono parcheggiati in alcune stanze di qualche albergo (non certo di lusso!) isolato in montagna, dove nessuno insegna loro la lingua, dove non fanno nulla, isolati dalla comunità e lontani dal loro Paese e dalla loro famiglia. Chi si occupa della loro sofferenza? Della loro angoscia?”

La nostra intervista si conclude proprio nel momento in cui arriva Jibri, un giovane senegalese di ventun anni. Jibri è triste e mi racconta che qualche ora prima il suo smartphone è squillato e sua madre, dal Senegal, gli ha comunicato che suo fratello di sedici anni è morto. Era malato ma la medicina per guarirlo non c’era, o non era stato possibile averla perché troppo costosa. Non piange, Jibri, ma i suoi occhi sono un deserto di tristezza. Mi racconta di avere due diplomi al suo Paese, uno di sarto e uno di meccanico d’auto. Mi dice che è partito dal Senegal perché a casa non c’è futuro e si muore per banali malattie, perché le multinazionali che hanno depredato il loro Paese non assumono i nativi. Mi dice che è passato in autobus in Mali, in Burkina, in Niger, che è arrivato in Libia vicino al confine con la Tunisia. Che in Libia ha lavorato ma non è stato pagato. Voleva mandare i soldi a sua madre, ha chiesto i soldi del suo lavoro al padrone ma il padrone l’ha denunciato alla polizia perché era senza documenti ed è stato messo in prigione per sette mesi. Mi dice che quando è uscito da prigione è salito su un barcone ed è arrivato in Sicilia e poi, con un autobus, è arrivato a Vicenza. E’ stato alloggiato all’Hotel Adele, mangia alla Caritas. Ha lavorato per il Comune di Vicenza gratuitamente alcuni mesi come volontario. Mi mostra quest’attestato, a firma sindaco Achille Variati. “A cosa ti servirà?”, gli chiedo, “Non lo so”, risponde, “credo a nulla”. “Vorrei lavorare, oppure tornare a casa, da mia madre, ora che è morto mio fratello. Non so come fare”.
Quella sofferenza, di cui, durante l’intervista, continuava a parlarmi Flavia, la vedo nei suoi occhi e nelle sue parole. Ma è vero. Non hanno bisogno di carità, questi giovani coraggiosi e gentili, ma il loro bisogno è lo stesso di quello dei lavoratori della logistica, degli operai licenziati nelle fabbriche, dei terremotati abbandonati alla fame e al freddo. Abbiamo bisogno di organizzarci insieme.



(03/02/2017)

* Mensile del Partito d'Alternativa Comunista

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