TRIBUNALE
DI GENOVA: E’ LEGITTIMO RIFIUTARSI DI LAVORARE SE NON SI E’ IN CONDIZIONI DI
PIENA SICUREZZA
Riporto a seguire dalla rivista on-line PuntoSicuro
http://www.puntosicuro.it un interessante articolo dell’avvocato Lorenzo
Fantini relativo alla sentenza del Tribunale di Genova che il 23 marzo ha
disposto il reintegro per il macchinista della divisione Cargo delle Ferrovie
dello Stato, Silvio Lorenzoni, reo di essersi rifiutato di viaggiare assieme a
un secondo agente non in grado di guidare il treno.
Il giudice, che ha annullato in un sol colpo il suo
licenziamento, ha ritenuto pienamente legittimo il suo rifiuto essendo questo
motivato dalla necessità di tutelare un bene non negoziabile: la propria salute
e sicurezza.
Questa sentenza (se confermata nei successivi gradi di
giudizio) avrebbe un enorme valore giurisprudenziale affermando che:
1 un lavoratore si può legittimamente rifiutare di
prestare la proprio opera, se non è in condizioni di piena tutela della propria
e altrui salute e sicurezza;
2 un Tribunale ha il diritto di entrare nel merito e
censurare in Giudizio le misure di salute e sicurezza intraprese da una
azienda, se ritenute non idonee a garantire il livello di tutela imposto
dall’articolo 2087 del Codice Civile;
3 eventuali accordi concertativi tra sindacati e
aziende che riducano le tutele di salute e sicurezza non giustificano in nessun
modo le aziende a non adempiere integralmente agli obblighi previsti in tal
senso dalle fonti e dalla legislazione in merito.
Marco Spezia
ARTICOLO
2087 DEL CODICE CIVILE: L’AMPIEZZA DELL’OBBLIGO DI TUTELA DEI LAVORATORI
E’ legittimo il rifiuto della prestazione di lavoro in
condizioni di pericolo per la salute e sicurezza sul lavoro?
Alcune considerazioni con riferimento ad una recente
pronuncia del Tribunale del lavoro di Genova.
Una recente pronuncia di merito (Tribunale del Lavoro di
Genova, 23 Marzo 2015) permette una breve riflessione su un tema importante e
da sempre discusso, vale a dire in ordine alla ampiezza della ricaduta
applicativa della disposizione dell’articolo 2087 del Codice Civile la quale
impone all’imprenditore di “adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che,
sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del
lavoratore”.
Come noto tale norma viene generalmente considerata
impositiva al datore di lavoro di un generale obbligo di sicurezza nei
confronti dei propri prestatori di lavoro e costituisce il principale
riferimento in tema di tutela dell’integrità fisica e morale del prestatore di
lavoro.
Pur non potendo certo, in questa sede, approfondire il
tema, è opportuno comunque evidenziare che l’obbligo disciplinato dalla norma
codicistica (pacificamente ritenuto applicabile a qualunque organizzazione di
lavoro, pubblica e privata, indipendentemente dalla dimensione e complessità)
consiste nella adozione di ogni provvedimento idoneo a evitare che
dall’espletamento dell’attività lavorativa in azienda possa derivare, per cause
legate alla attività lavorativa, una lesione alla persona del lavoratore.
Dunque, come è possibile leggere in molte delle sentenze
che negli anni hanno fatto applicazione del principio appena richiamato, la
formulazione dell’articolo 2087 (grazie alla sua ampiezza e consequenziale
“dinamicità”) permette di qualificare l’articolo in questione come “norma di
chiusura” dell’ordinamento, capace di fornire ai principi costituzionali di cui
all’articolo 32 (diritto alla salute dei cittadini) e 41, secondo comma
(rispetto della sicurezza, libertà e dignità umana), della Costituzione la
possibilità di attagliarsi a ogni possibile situazione.
Tale orientamento è da considerarsi del tutto
consolidato, come emerge dalla Sentenza n. 14468 della Cassazione Civile,
Sezione Lavoro del 7 giugno 2013, ove è dato leggere che: “L’adempimento
dell’obbligo di tutela dell’integrità fisica del lavoratore imposto dall’
articolo 2087 del Codice Civile è un obbligo di prevenzione che impone al
datore di lavoro di adottare non solo le particolari misure tassativamente
imposte dalla legge in relazione allo specifico tipo d’attività esercitata e
quelle generiche dettate dalla comune prudenza, ma anche tutte le altre misure
che in concreto si rendano necessarie per proteggere il lavoratore dai rischi
connessi tanto all’impiego d’attrezzi e macchinari quanto all’ambiente di
lavoro”.
Nell’ambito di tale generale tematica si inserisce da
sempre una discussione molto accesa (per le sue ricadute in termini anche di
natura occupazionale e sindacale) in ambito ferroviario e relativa alla
circostanza che i treni siano condotti necessariamente da almeno due
macchinisti o anche solo da uno.
Dal punto di vista della salute e sicurezza sul lavoro
(l’unico che in questa sede si può affrontare), la questione da risolvere è se
una modalità organizzativa che preveda che i treni siano condotti da un solo
macchinista sia sufficiente a garantire un efficace soccorso al macchinista
stesso, in caso di suo malore, assicurando al contempo ai viaggiatori il
rispetto di elementari condizioni di sicurezza.
In ordine a tale
delicata tematica ricordo come, nella mia qualità di dirigente delle divisioni
competenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro presso il Ministero del
lavoro, ebbi modo di ricevere molte segnalazioni di natura sindacale che
sottolineavano la necessità di prevedere le più idonee misure di organizzazione
per affrontare la possibilità di un malore del macchinista e che di tali
segnalazioni, unitamente alle considerazioni delle Ferrovie dello Stato
(all’epoca unico esercente ferroviario), si ebbe modo di tener conto nella
stesura (di iniziativa del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti) del
Decreto Interministeriale n. 19 del 24 gennaio 2011, attuativo della previsione
dell’articolo 45, comma 3, del D.Lgs. 81/08.
Più nel dettaglio, nell’ambito della discussione tra
Amministrazioni e in sede di Conferenza Stato-Regioni venne più volte
ipotizzato l’inserimento nell’ambito del provvedimento di una previsione in
forza della quale venisse imposto al datore di lavoro di prevedere la presenza
necessariamente contemporanea di due macchinisti, quale unica modalità che
garantisca il più rapido ed efficace soccorso nell’eventualità di un malore del
conducente del treno.
In ultima istanza prevalse, però, la considerazione che
una tale previsione sarebbe stata una ingerenza nei riguardi del potere di
organizzazione del datore di lavoro, tenuto (in applicazione della citata
previsione di cui all’articolo 2087 del Codice Civile) comunque ad adottare le
migliori misure di prevenzione per garantire un soccorso pronto ed efficace in
caso di malore del macchinista.
Ed, infatti, il Decreto del 24 gennaio 2011,
espressamente applicabile (vedi articolo 2) al “personale di macchina e
viaggiante operante su materiale rotabile in esercizio e a vuoto”, dispone in
modo chiaro (senza specificare le “modalità” dell’adempimento di tale obbligo)
che i “gestori delle infrastrutture e le imprese ferroviarie, coordinandosi fra
loro e con i servizi pubblici di pronto soccorso, predispongono procedure
operative per attuare uno specifico piano di intervento che preveda per ciascun
punto della rete ferroviaria le modalità più efficaci al fine di garantire un
soccorso qualificato nei tempi più rapidi possibili anche per il trasporto
degli infortunati”.
Il medesimo decreto impone al datore di lavoro di
garantire la fornitura di complete dotazioni di primo soccorso (articolo 5) sul
treno e la formazione (articolo 6) del personale sulle procedure di soccorso,
sulle tecniche di primo soccorso e sui contenuti del pacchetto di medicazione,
in un corso di durata di 6 ore.
Infine, sempre il decreto del 2011 (articolo 7) ha
imposto alle aziende che svolgono attività in ambito ferroviario una precisa
tempistica (ormai ampiamente scaduta) per l’adozione di misure tecnologiche (ad
esempio interventi sulle reti, sistemi di comunicazione interni ai treni),
procedurali (ad esempio procedure di primo soccorso) e formative.
Pure a seguito
dell’adempimento da parte delle aziende che svolgono attività nel settore
ferroviario di tali disposizioni, permangono le segnalazioni di parte sindacale
in ordine alla inefficacia delle procedure attuate a garantire un tempestivo
soccorso al macchinista che abbia un malore e in diverse occasioni i giornali
hanno riportato notizie di indagini al riguardo da parte di alcune Procure
della Repubblica (Torino su tutte).
In particolare, in tali segnalazioni (che ho avuto modo
di leggere) si rimarca come in certe tratte ferroviarie o su certi treni i tempi
di un soccorso al macchinista “unico” sarebbero inaccettabilmente lunghi
esponendo a pericolo la salute di viaggiatori e del lavoratore e si chiede, di
conseguenza, che i macchinisti siano necessariamente due o che si adotti
comunque una modalità di organizzazione del personale che consenta una più
adeguata “copertura” delle situazioni in cui è necessario attivare le procedure
di primo soccorso.
In tale contesto
il Tribunale di Genova reintegra il lavoratore (macchinista) licenziato in
quanto per due volte si era rifiutato di svolgere la propria prestazione come
conducente “unico” del treno adducendo che essa si sarebbe altrimenti dovuta
svolgere in condizioni di mancata sicurezza per quanto concerne l’eventualità
di un proprio malore.
In particolare, il Giudice ha ritenuto che il rifiuto
della prestazione sia da ritenersi in tal caso giustificato ai sensi
dell’articolo 1460 del Codice Civile, a fronte di un rilevante inadempimento
datoriale relativo alla salute e sicurezza sul lavoro. Al riguardo, il
Tribunale sottolinea che: “Un’interpretazione estensiva del disposto
dell’articolo 2087 del Codice Civile si giustifica col rilievo costituzionale
del diritto alla salute ed anche coi principi di correttezza e buona fede, ex
articoli 1175 e 1375 del Codice Civile, cui deve ispirarsi lo svolgimento del
rapporto lavorativo (Sentenza della Cassazione Civile Sezione Lavoro n. 47291
del 22 marzo 2002)”.
Nel caso di specie, secondo il Giudice, “Tutti i
documenti confermano dunque (...) che l’assenza d’un secondo operatore
abilitato alla guida costringe il treno ad attendere i soccorsi nel luogo in
cui esso sia stato costretto a fermarsi dai malore del macchinista. E’ dunque
evidente che la nuova organizzazione ha prolungato i tempi d’intervento a
tutela della sicurezza del macchinista in modo rilevante e, soprattutto,
imprevedibile in ragione della diversità dei luoghi in cui l’emergenza può
verificarsi. Nel caso di grave malore, che richieda un intervento urgente
(nella discussione si è fatto riferimento all’infarto miocardico) un siffatto
prolungamento è destinato ad avere effetti certamente pregiudizievoli per la
salute del lavoratore”.
A fronte di una simile situazione, ad avviso del Giudice,
trova attuazione la giurisprudenza in forza della quale è configurabile una
responsabilità del datore di lavoro, se questi, “con comportamenti specifici e
anomali, da provarsi di volta in volta da parte del soggetto interessato,
determini un aggravamento del tasso di rischio e di pericolosità ricollegato
indefettibilmente alla natura dell’attività che il lavoratore è chiamato a
svolgere” (Sentenza della Cassazioen Civile Sezione Lavoro n. 11427 del 30
agosto 2000).
Nel caso in esame, prosegue la sentenza in commento, i
comportamenti “specifici e anomali” andrebbero “ricondotti all’arretramento
considerevole del livello di tutela del macchinista causato dall’applicazione
d’un modello organizzativo esteso a linee ferroviarie, quali la cosiddetta
Pontremolese e la La Spezia-Firenze, nelle quali la configurazione dei luoghi e
dei percorsi rende oltremodo difficoltoso ed intempestivo il suo soccorso”.
Pur trattandosi di
una decisione (per quanto autorevole) di primo grado, da verificare quindi
nelle successive fasi di giudizio, la sentenza appare oltremodo interessante in
quanto, in estrema sintesi:
1 riconosce, senza mezze misure, la
possibilità che il lavoratore rifiuti legittimamente la prestazione lavorativa,
se essa non si svolga in condizioni di piena salute e sicurezza;
2 entra nel merito (in modo
probabilmente discutibile) dell’organizzazione aziendale per affermare che le
scelte dell’azienda possono essere censurate in Giudizio qualora ritenute
inidonee a garantire il livello di tutela imposto dall’articolo 2087 del Codice
Civile;
3 ribadisce che in simili fattispecie
l’eventuale presenza (come nel caso di specie, nel quale esiste una
regolamentazione, per quanto formalmente contestata da molti macchinisti, di
natura sindacale che avalla le scelte aziendali che consentono la presenza di
un solo macchinista) di un accordo sindacale non può essere ostativa a una
pronuncia giudiziale, che deve fondarsi sui principi inderogabili in materia di
salute e sicurezza sul lavoro, non disponibili per le parti sociali;
4 sembra suggerire alle aziende che
gestiscono il trasporto ferroviario che le modalità di organizzazione del primo
soccorso debbono essere riviste, almeno in relazione ad alcune tratte
ferroviarie con particolari caratteristiche in termini di complessità e minore
efficienza tecnologica delle infrastrutture.
14
maggio 2015
Lorenzo
Fantini
Avvocato
giuslavorista, già dirigente (anni 2003-2013) delle divisioni salute e
sicurezza del Ministero del lavoro e delle politiche sociali
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