Claudio
Carrer
Quando è
chiamato a rendere conto davanti alla giustizia per i danni causati con la sua
attività di industriale dell’amianto, Stephan Schmidheiny non si fa mai vedere:
preferisce mandare avanti i suoi avvocati, perché lui si difende dai processi e
non nei processi. Se n’è avuta conferma la settimana scorsa nelle prime udienze
preliminari al Tribunale di Torino, che entro luglio stabilirà se Mister
Eternit dovrà essere processato per omicidio volontario, così come chiede la
Procura di Torino in relazione alla morte di 258 persone vittime dell’amianto
disperso negli ambienti di lavoro e di vita dalle sue fabbriche tra la metà
degli anni Settanta e la metà degli anni Ottanta, cioè quando lui era il
massimo dirigente della multinazionale svizzero-belga.
«Imputato Schmidheiny Stephan Ernst»: il
giudice dell’udienza preliminare (gup) Federica Bompieri incomincia l’appello
pronunciando il nome del miliardario svizzero, non ottiene risposta, prende
atto della sua assenza e congeda l’interprete. «Anche per le prossime udienze»,
aggiunge. Schmidheiny non c’è e non ci sarà, ma la prima fase dell’ “Eternit
bis” può incominciare. E come era stato il caso nel primo grande processo
(conclusosi sei mesi or sono con la clamorosa sentenza della Corte di
cassazione che ha annullato la condanna a 18 anni per intervenuta prescrizione
del reato di disastro ambientale), la difesa del magnate svizzero chiede tempo,
solleva eccezioni, contesta l’ammissibilità di soggetti costituitisi parte
civile e si lascia andare in dichiarazioni clamorose.
Come quella
secondo cui la celebrazione di un processo per omicidio volontario aggravato
costituirebbe una «violazione dei diritti umani di Stephan Schmidheiny».
Promovendo questa accusa, i pubblici ministeri Gianfranco Colace e Raffaele
Guariniello avrebbero ignorato il principio (sancito dalla Convenzione europea
dei diritti dell’uomo) del “ne bis in idem”, secondo cui nessuno può essere
giudicato due volte per gli stessi fatti. «Fatti che sono gli stessi del
processo precedente», sostengono gli avvocati Astolfo Di Amato e Carlo Alleva
augurandosi che il gup dichiari l’accusa inammissibile a decida l’archiviazione
del procedimento. «A noi sembra una forzatura. In Piemonte è in corso una
caccia alle streghe suscettibile di essere strumentalizzata in chiave politica.
Schmidheiny non è un assassino. In qualità di pioniere dell’abbandono
dell’amianto, e grazie alla sua responsabile gestione industriale, ha
preservato dai pericoli migliaia di persone», affermano i due principi del
foro, ribadendo che Schmidheiny, «a dispetto della nuova azione penale»,
protrarrà il «programma umanitario in corso dal 2008 a favore delle effettive
vittime della catastrofe dell’amianto», cioè i tentativi di sfoltire il numero
di parti civili a colpi di indennizzi di poche decine di migliaia di euro per
ogni morto.
Certo, gli
avvocati di Schmidheiny, come tutti, fanno il mestiere per cui sono pagati (e
anche molto) dal loro cliente, ma certe affermazioni non possono che suonare
offensive all’orecchio dei malati e delle persone che piangono un familiare o
un amico morto soffocato dalle polveri di amianto. Perché loro sono quelli che
le “violazioni” le hanno subite e le subiscono per davvero, perché sono le
donne e gli uomini di Casale Monferrato, la città martire già sede del più
grande stabilimento Eternit, che ancora oggi a trent’anni dalla chiusura della
fabbrica continua a contare un morto e una nuova diagnosi di mesotelioma alla
settimana. Molti di loro hanno intrapreso la trasferta a Torino per assistere
al primo atto di questo nuovo capitolo giudiziario della tragedia: «La nostra
gente chiede solo giustizia. La decisione della Cassazione è stata un colpo
allo stomaco, una batosta, molti di noi non credono più nella giustizia
italiana, sono sfiduciati. Ma è giusto continuare a combattere», dice Bruno
Pesce, coordinatore dell’Afeva, l’Associazione familiari e vittime dell’amianto
e leader storico delle battaglie sindacali e civili in difesa della salute dei
lavoratori e dei cittadini. Gli fa eco la carismatica presidente Romana
Blasotti Pavesi, 86 anni, cinque familiari morti ammazzati dalla fibra killer:
«Pretendiamo giustizia. I criminali vanno puniti e le vittime non devono essere
dimenticate».
Sono 258 (ma
il numero potrebbe crescere nel corso del processo) gli omicidi contestati da
Guariniello e Colace. Omicidi volontari aggravati dai motivi abietti (la
volontà del profitto) e dall’uso di un mezzo insidioso (l’amianto), le cui
vittime sono ex dipendenti e comuni cittadini di Casale Monferrato
(Alessandria), Cavagnolo (Torino), Rubiera (Reggio Emilia) e Bagnoli (Napoli),
tutte città già sede di stabilimenti Eternit. Secondo i magistrati,
Schmidheiny era perfettamente a conoscenza dei tumori mortali provocati
dall’amianto ma fece poco o nulla per modificare le «enormemente nocive
condizioni di polverosità» nelle fabbriche, portando avanti una politica
aziendale che provocò una «immane esposizione ad amianto di lavoratori e
cittadini», si legge nel capo d’imputazione. «Per mero fine di lucro decise di
continuare le attività» e anzi, come ampiamente accertato nell’ambito della
prima indagine, si rese addirittura protagonista di una «sistematica e
prolungata campagna di disinformazione» tesa a sminuire i rischi e a
rassicurare così i lavoratori.
Un
comportamento che configura il reato di omicidio volontario, nella forma del
cosiddetto “dolo eventuale”, che è dato quando qualcuno prevede le conseguenze
(in questo caso la morte) del proprio agire ma non fa nulla per prevenirle.
«È stata la
Cassazione a dirci che nel processo precedente avremmo dovuto procedere per
omicidio o per lesioni. Questo ci ha dato un’ulteriore spinta per andare nella
direzione di un nuovo processo con un nuovo capo d’accusa», spiega Raffaele
Guariniello al termine della prima udienza preliminare.
Il fatto che
i giudici dell’Alta Corte abbiano indicato così esplicitamente quale fosse il
tipo di reato da contestare (l’omicidio e non il disastro) e annullato la
sentenza della Corte d’appello di Torino dovrebbe escludere il rischio del “ne
bis in idem”, anche secondo gli avvocati delle vittime. E quello della
prescrizione che dopo anni di indagini e di processi ha già mandato una volta
tutto in fumo, a partire dai risarcimenti alle vittime? Spiega l’avvocato
Sergio Bonetto: «Questo rischio è quasi pari a zero se reggerà l’accusa di
omicidio volontario. Se invece venisse derubricata in omicidio colposo forse
resterebbero nel processo solo i casi di decesso più recenti. In ogni caso, è
molto improbabile che questo processo finisca nel nulla».
Toccherà al
gup Federica Bompieri decidere al termine delle 14 udienze previste se rinviare
a giudizio Stephan Schmidheiny davanti ad una Corte d’Assise (composta di due
giudici di carriera e di sei giudici popolari) o se archiviare l’inchiesta. La
decisione è attesa entro la prima metà di luglio.
allca-cub ammessa come parte civile nel processo per gli OMICIDI eternit
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