Questa
malattia cronica, molto diffusa tra le donne (e spesso causa di infertilità),
viene individuata quasi sempre in ritardo. Ma prima si interviene, meglio può
essere controllata
Se chiedete
a un uomo cos’è l’endometriosi, le probabilità che lo sappia sono francamente
remote. Ma anche tra le donne (e sono loro a esserne colpite) la conoscenza di
questa malattia è piuttosto vaga. Magari ne soffrono, ma pensano che quei
forti dolori durante il ciclo mestruale siano in fondo inevitabili, passano da
un ginecologo all’altro senza individuare il problema e, dopo una via crucis
che dura, in media, dai 7 ai 10 anni, ottengono la diagnosi di endometriosi:
patologia in cui tessuti simili a quelli endometriali, che rivestono la parete
interna dell’utero, si trovano dove non dovrebbero essere, in luoghi anomali,
come ovaie, tube, vescica, perineo o altri organi del corpo. Da qui i dolori,
spesso lancinanti, più intensi durante il ciclo e i rapporti sessuali, che poi
diventano pelvici e quasi sempre cronicizzano. Accompagnati a volte da nausea e
vomito. Senza dimenticare che l’endometriosi compromette anche la fertilità e
può danneggiare gli organi che coinvolge.
Malattia dunque
molto diffusa (in Italia ne soffrono oltre 3 milioni di donne, vuol dire circa
una su 8), poco conosciuta e di conseguenza malcurata. Ma perché è così
arduo ottenere una diagnosi? "Ha scarsi sintomi e di difficile
comprensione, il dolore si sposta per esempio, per cui la paziente va da più
medici, almeno cinque secondo le stime, ma ognuno considera solo il proprio
campo di specializzazione e non azzecca la diagnosi vera" spiega Vito
Trojano, presidente dell’ Associazione ostetrici ginecologi ospedalieri
italiani. "Solo nel 2005 c’è stato un riconoscimento a livello europeo
dell’endometriosi come patologia sociale con costi sanitari importanti: oltre
30 miliardi di euro l’anno persi per congedi di malattia. Così si è
finalmente iniziato a creare una rete di centri e di servizi e un registro
della malattia, che prima non esisteva".
Non c’è
dubbio che l’endometriosi sia, per chi ne è colpita, una sorta di maledizione;
basta leggersi qualche testimonianza nei forum femminili: parlano di dolori continui,
terapie pesanti, ricoveri, interventi chirurgici, infertilità, recidive...
"Malattia bastarda" è la definizione più frequente. Prevenirla, in
sé, non è possibile. "È una malattia su base anatomica, con cause
probabilmente di tipo immunologico. Non esistono fattori di rischio conosciuti,
non è qualcosa che si eredita né viene innescata da interruttori ambientali,
come stili di vita o alimentazione" chiarisce Trojano.
Presa in
fase precoce, tuttavia, si può tenerla sotto controllo, rallentarne la
progressione ed evitarne le conseguenze più serie (come l’impossibilità di
avere figli). La diagnosi tempestiva è, appunto, fondamentale. "È più
semplice farla se c’è una cisti ovarica, che si vede con l’esame ecografico.
Quando invece la malattia è di tipo infiltrante, la sua forma più seria
perché i tessuti endometriosici si infiltrano all’interno degli organi
pelvici, la diagnosi è più complessa" dice Mario Malzoni, primario della
U.O. endoscopia ginecologica avanzata alla Clinica Villa dei Platani di
Avellino (centro specializzato nell’endometriosi).
Una volta
capito di che si tratta, ci sono varie possibilità di trattamento. "Per
placare i dolori, per esempio, si danno come primo step gli antinfiammatori non
steroidei, i Fans, che agiscono a livello locale. Per il dolore viscerale e
profondo, sono più indicati i farmaci oppioidi" precisa Sergio Pascale,
terapista del dolore alla Clinica di Avellino. "Il ricorso agli oppioidi
fino a poco tempo fa incontrava ancora resistenza, si temeva dessero
assuefazione, ma così non è, per contro hanno un effetto analgesico potente.
Oggi poi esiste un oppioide che unisce due principi attivi, ossicodone e
naxolone: è efficace e non ha quell’effetto collaterale costante, la stipsi,
che invece avevano gli altri oppioidi". Medicinali che, presi sotto
controllo medico, possono essere assunti per lunghi periodi senza pericoli
(sono cronodose, ossia vanno presi ogni 12 ore e non al bisogno).
Gli
analgesici, però, difficilmente bastano. Quasi sempre necessaria è la terapia
ormonale, farmaci progestinici a basso dosaggio dati in modo continuativo:
bloccano il ciclo e la produzione di estradiolo, l’ormone che fa crescere i
tessuti endometriosi (dentro e fuori dall’utero), e in questo modo permettono
di tenere a bada la malattia. L’effetto collaterale è che, durante la cura, la
donna non può restare incinta, quindi sono farmaci che vanno presi quando non
c’è il desiderio di avere un figlio.
Nessuna
pillola, tuttavia, risolve il problema alla radice. E quando il dolore si fa
incontrollabile e c’è il rischio di danni agli organi coinvolti, si ricorre
alla chirurgia, effettuata in laparoscopia e da un chirurgo pelvico dedicato
all’endometriosi (e nei centri di riferimento per la malattia:
www.centronazionaleendometriosi.com ). "La mano del chirurgo in questo
caso è più che mai fondamentale" avverte Malzoni. "L’intervento
deve eliminare ogni traccia di tessuto endometrioso rispettando l’anatomia
femminile e la fertilità, quindi non toccando utero e ovaie. Un’operazione
delicata e complessa che, se fatta come si deve, riduce di molto anche il
rischio di recidiva".
Nessun commento:
Posta un commento
Cara lettrice, caro lettore,
abbiamo deciso di porre alcuna restrizione ai commenti: chiunque può commentare come meglio ritiene, anche in forma anonima, i post di CUBlog. Tuttavia apprezziamo sia la buona educazione (anche nel dissenso più aspro) sia la vostra firma.
La Redazione di CUBlog