Viene in
mente il primo accordo alla Chrysler tra Marchionne e il sindacato dell'auto,
quello firmato in un giorno e poi bocciato dai lavoratori. In ventiquattr'ore
di incontri la Federchimica e i sindacati chimici di CGILCISLUIL hanno firmato
il rinnovo del contratto nazionale di lavoro. L'accordo è avvenuto mentre il
presidente della Confindustria rendeva noti cinque punti pregiudiziali degli
industriali per la "riforma" dei contratti.
La
Confindustria chiede l'impegno dei sindacati a garantire l'applicazione del Jobsact,
ci sono stati accordi aziendali che lo mettevano in discussione, e a estendere
la contrattazione aziendale senza però farla diventare territoriale. Il testo
firmato risponde pienamente a queste due condizioni. Il secondo livello di
contrattazione sarà solo aziendale, verrà sottoposto al controllo delle
strutture nazionali e dovrà "garantire il rispetto dei termini e delle
procedure delle norme di legge". In questo modo si risponde anche al terzo
dei punti confindustriali, la centralità del contratto nazionale.
Questa
rivendicazione parrebbe contraddittoria con lo sviluppo della contrattazione
aziendale, di cui gli industriali hanno fatto una bandiera. Ma non è così. Ciò
che si fa in azienda deve servire a migliorare produttività e competitività del
lavoro, deve rendere variabili, anche verso il basso, i salari e aumentare
l'orario di lavoro, soprattutto senza pagare troppo gli straordinari. La
contrattazione aziendale che viene esaltata dai banchieri e dalla Troika
dell'austerità non è la libertà di contrattazione ma il suo esatto contrario.
Ci vuole un controllo rigido dall'alto su di essa, che eviti il conflitto di
lavoro ed esalti la complicità sindacale. Del resto ci sono già accordi
interconfederali e leggi che danno alle imprese il diritto a derogare in
azienda alle regole dei contratti nazionali. In soldoni la contrattazione
aziendale deve servire a peggiorare salario e condizioni di lavoro e questo
deve avvenire sotto il controllo centralizzato del contratto nazionale. Che
diventa così una sorta di istituzione poliziesca, che ha il compito di
presiedere allo smantellamento di ciò che resta dei diritti.
Per questo
la Confindustria afferma che il rinnovo dei contratti nazionali debba avvenire
anche senza aumenti salariali. Il contratto dei chimici realizza questo suo
obiettivo. Come recita il quarto punto, le imprese chiedono che gli eventuali
aumenti dei contratti possano essere eliminati se i prezzi aumentano meno del
previsto. Una sorta di scala mobile alla rovescia che è stata rigorosamente realizzata
nel contratto chimico. Gli industriali pretendevano la restituzione di 79 euro
di aumenti dei contratti passati, perché l'inflazione era stata sopravvaluta.
Sono stati generosi, si sono accontentati di scontare 15 euro dal rinnovo
contrattuale, assorbendo negli aumenti l'ultima tranche del contratto
precedente. Così, contrariamente a quanto annunciato da CGILCISLUIL, nelle
buste paga dei lavoratori chimici dovrebbero entrare, a partire dal 2017, 85 e
non 100 euro lordi scaglionati. Scrivo dovrebbero perché in realtà nemmeno gli
85 euro sono sicuri. Infatti il nuovo accordo prevede che nel giugno di ogni
anno aziende e sindacati si incontrino per verificare come è andata davvero
l'inflazione. Se fosse minore del previsto, dovrebbe essere tagliato il salario
corrispondente dagli aumenti previsti per l'anno successivo. Immagino che gli
sfacciati dirigenti dei sindacati chimici spieghino che questa clausola può
giocare anche a favore dei lavoratori, nel caso di aumento repentino dei
prezzi. Peccato che tutte le previsioni economiche escludano questa
prospettiva, mentre ritengono probabile quella opposta. Se questa clausola
avesse comportato la possibilità di una crescita dei salari superiore a quanto
concordato, gli industriali non l'avrebbero mai proposta. Ma non si tratta solo
di misere e aleatorie quantità salariali in un settore che sta facendo
rilevanti profitti. Con questo accordo viene cancellato il concetto stesso di
aumento retributivo nel contratto nazionale. I soldi dei contratti nazionali possono
solo essere quelli di una scala mobile povera e aleatoria. Per questo si
cancellano anche gli scatti di anzianità nel Tfr e un po' alla volta tutte le
voci retributive nazionali.
Il salario
fisso nazionale deve essere sostituito da quello flessibile aziendale, se i
profitti vanno bene forse lo prendi, se vanno male sicuramente no. Salta così
la funzione di eguaglianza sociale dei contratti, quella che ha fatto crescere
per decenni le paghe, i diritti e la dignità del lavoro. I contratti nazionali
diventano la cornice burocratica ed autoritaria dove aziende e sindacati
amministrano il corporativismo aziendale. Il peggio del modello sindacale
americano e di quello tedesco mescolati assieme.
Il quinto
punto è un po' la ciliegina sulla torta. La Confindustria reclama più welfare
aziendale e i sindacati confederali non sono certo insensibili a questo grido
di dolore. Così il contratto si conclude con il rilancio dei fondi pensione, di
quelli sanitari, degli organismi bilaterali e di tutto quello che serve alle
burocrazie padronali e sindacali per giustificarsi reciprocamente.
Ci sono
infine piccole angherie che però servono a far capire ai lavoratori l'aria che
tira. L'accordo definisce ulteriori irrigidimenti delle già stringenti
procedure per mettersi in malattia e l'aumento dei giorni di sospensione e
delle ore di multa in caso di infrazioni.
Il nuovo
contratto dei chimici è la controriforma della contrattazione chiesta dagli
industriali. E siccome quel contratto è sempre il più alto nell'industria, c'è
solo da rabbrividire pensando a cosa si prepara per metalmeccanici e tessili.
Se dovessimo
definire con una battuta questo accordo, sarebbe semplice affermare che questo
è il Jobsact contrattualizzato. I proclami di CGIL e UIL contro il governo e la
Confindustria, la CISL non ha nemmeno alzato la voce, hanno avuto la stessa
efficacia di quelli della sinistra PD contro Renzi. Che ha ben giocato il ruolo
del poliziotto cattivo minacciando la legge, mentre Squinzi faceva quello buono
offrendo il contratto che serviva ad entrambi.
La
complicità e lo stato di inettitudine confusionale, la paura che governano i
gruppi dirigenti di CGILCISLUIL hanno fatto il resto. Così quelli che una volta
erano i sindacati più forti d'Europa hanno battuto il record di velocità nella
resa, con una vertenza durata appena 24 ore. Per un mondo del lavoro che
subisce una terribile regressione nelle proprie condizioni i grandi sindacati
confederali oggi sono parte del problema e non delle soluzioni.
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