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lunedì 29 ottobre 2018

A proposito dell'elezione di Bolsonaro...

Di Fabiana Stefanoni  (Esecutivo nazionale PdAC)

Qualcuno, anche a sinistra, vede nella vittoria elettorale di Bolsonaro, rappresentante dell’estrema destra brasiliana, il segno evidente di una sorta di tendenza mistica dell’attuale fase storica a un’inesorabile "deriva reazionaria": un concetto idealistico che nulla ha a che spartire con il marxismo e che ricorda più che altro le "tappe" dell'evoluzione dello Spirito di hegeliana memoria.
Altri vedono in questa elezione la conferma della necessità di ripensare le categorie stesse del marxismo. Se gli operai votano in massa personaggi come Bolsonaro, Salvini e Trump forse c'è qualcosa che non funziona nel concetto stesso di “alternativa di classe”: non sarebbe meglio – ci spiegano questi teorici del “postmoderno” - pensare a qualche strategia che prescinda dalla classe operaia?
Altri ancora, infine, interpretano questa elezione come la conseguenza inevitabile di un presunto "golpe" in atto da tempo: golpe che, non si capisce perché, avrebbe bisogno ancora di utilizzare gli strumenti elettorali per dispiegarsi al meglio…
La verità, come spesso accade, è meno fantasiosa e più semplice: chi non la vuole vedere è chi si rifiuta di riconoscere le gravissime responsabilità dei partiti che oggi sono egemoni nel movimento operaio. Le masse proletarie e povere hanno votato in massa Bolsonaro perché stremate da una crisi del capitalismo che ai loro occhi ha visto complici Lula e Dilma nelle politiche di rapina dell'imperialismo: all'ombra dei governi del PT (“Partito dei Lavoratori”) i rappresentanti delle ricche multinazionali non hanno forse fatto i migliori affari della storia in Brasile, mentre milioni di operai morivano di fame nelle favelas? Le masse proletarie e povere hanno votato in massa Bolsonaro perché subiscono quotidianamente la violenza del sistema capitalistico, ma non credono in quello che la sinistra riformista e stalinista di tutto il mondo ha citato a modello come il "socialismo del XXI secolo", cioè i regimi borghesi bonapartisti di Chavez e Maduro: del resto chi riporrebbe fiducia in un “socialismo” che costringe alla fuga dal Venezuela ogni giorno decine di migliaia di disperati che muoiono di fame?
Non è vero che la situazione sociale e politica in America Latina è "reazionaria": è una situazione di crisi economica e sociale profonda e, per questo, come già scriveva Trotsky in relazione all'Europa dell'inizio degli anni Trenta (Germania pre-hitleriana inclusa), è una situazione pre-rivoluzionaria (lo dimostrano le enormi mobilitazioni di questi ultimi mesi in Nicaragua, Argentina, Costa Rica, Honduras, Paraguay e nello stesso Brasile). Ma, dialetticamente, sono proprio le situazioni pre-rivoluzionarie quelle che inducono settori della borghesia a ricorre, spesso loro malgrado, a personaggi come Bolsonaro. Quando le tensioni sociali si inaspriscono, quando la lotta di classe rischia di mettere in discussione i profitti delle multinazionali, la borghesia non esita a fare accordi persino con i nostalgici delle dittature.
Se volete trovare dei colpevoli per spiegare l'elezione a presidente di Bolsonaro in uno dei Paesi in cui le lotte sono state (e ancora sono) tra le più dure e radicali del mondo, non guardate in cielo per cercare mistiche tendenze "reazionarie". Guardate in basso: i responsabili sono Lula, Dilma, Chavez e Maduro, che hanno infangato la lotta anticapitalista e antimperialista – e la stessa parola socialismo - con politiche di collaborazione di classe e di vile subordinazione all'imperialismo.
Da domani le lotte riprenderanno in Brasile, più forti che mai. Ma questa lezione ci dice con chiarezza che le lotte non bastano: bisogna costruire la direzione rivoluzionaria che non le tradirà e che le farà vincere. 

giovedì 5 ottobre 2017

Un altro autunno di occasioni perdute? Intervista a Fabiana Stefanoni sulla situazione sindacale e sullo sciopero generale



Ringraziamo la compagna Fabiana Stefanoni con cui collaboriamo nel Fronte di Lotta No Austerity e la redazione web del PdAC per la pubblicazione di questa intervista che, ci teniamo a evidenziarlo, condividiamo totalmente!

La redazione di CUBlog


A cura della redazione web
 
La situazione sociale in Italia non accenna a migliorare: eppure Cgil, Cisl e Uil non rilanciano azioni di lotta e, anzi, appoggiano il governo persino nei suoi tentativi di ridimensionare ulteriormente il diritto di sciopero nei trasporti. Al contempo, il sindacalismo conflittuale e “di base” ha, anche quest’anno, deciso di organizzare due date separate di sciopero generale. Alcuni sindacati sciopereranno il 27 ottobre (Cub, Si.Cobas, Slai Cobas, Usi-Ait) mentre altri il 10 novembre (Usb, Confederazione Cobas, Unicobas). Ne parliamo con Fabiana Stefanoni, responsabile sindacale di Alternativa Comunista.

 
Anche questo autunno il sindacalismo di base si presenterà diviso in occasione dello sciopero generale. Un film già visto che si ripete, non credi?

Purtroppo sì. Esattamente un anno fa, all’indomani del tragico omicidio di Abdel Salam durante un picchetto di sciopero, avevamo criticato la decisione dei dirigenti dei sindacati conflittuali di dividere il fronte di classe proclamando due date di sciopero generale separate e contrapposte, una il 21 ottobre e una il 4 novembre: quest’anno il film sembra ripetersi più o meno identico. Eppure nulla è più urgente della costruzione di un grande sciopero unitario e di massa al fine di respingere al mittente gli attacchi del governo e dei padroni: il governo prepara l’ennesima finanziaria lacrime e sangue e, soprattutto, minaccia di ridimensionare ulteriormente il diritto di sciopero, già fortemente limitato nei cosiddetti “servizi essenziali”, dalla scuola alla sanità ai trasporti.


Secondo te perché i dirigenti di Cgil, Cisl e Uil non vogliono proclamare uno sciopero generale? 

I dirigenti di Cgil, Cisl e Uil hanno i loro “buoni motivi” burocratici per non proclamare uno sciopero generale, in particolare dopo la firma dell’Accordo della Vergogna (1) e l’intesa del 2016 con Confindustria sulla cogestione delle crisi aziendali. La burocrazia di questi grandi apparati sindacali mira solo a garantirsi una buona convivenza col governo e coi padroni, rinunciando ormai persino a mimare il conflitto sociale… e per fortuna in qualche caso i lavoratori cominciano a capirlo, come dimostra ad esempio lo straordinario risultato del referendum in Alitalia (2).
Eppure la situazione sociale economica in Italia, al di là della propaganda governativa che si inventa grandi miglioramenti, resta disastrosa: il tasso di disoccupazione è tra i più alti d’Europa (superiore all’11%, oltre il 35% quella giovanile!), i salari e gli stipendi non servono nemmeno a sopravvivere, i lavoratori sono indebitati fino all’osso e la privatizzazione dei servizi pubblici aumenta drasticamente le loro spese. Contemporaneamente, mentre la sanità e l’istruzione sono devastate dai tagli, il governo regala decine di miliardi alle banche e, sotto forma di incentivi e ammortizzatori, alla grande industria. Per i capitalisti, così come per i politici corrotti che li rappresentano, saltano sempre fuori carote d’oro, mentre ai proletari vengono riservate solo bastonate.


Le statistiche parlano, infatti, di un calo di fiducia nei sindacati. Cosa pensi delle affermazioni di Di Maio del M5S?

Di Maio, come tutto il M5S, dopo essersi presentato come forza “antisistema” di opposizione, si appresta a governare per conto della borghesia, come già stanno facendo nelle giunte che controllano, a partire da Roma. Approfitta della giusta e comprensibilissima sfiducia dei lavoratori nei confronti di apparati burocratici chiusi nella difesa dei loro interessi di bottega per attaccare indistintamente i diritti sindacali. Non solo: mentre critica i sindacati, annuncia una “manovra shock” per favorire le imprese, cioè “l’abbassamento del costo del lavoro”. E’ quello che hanno fatto tutti i governi fino ad oggi, da Prodi a Berlusconi, da Monti a Renzi a Gentiloni: abbassare il costo del lavoro significa colpire i salari degli operai. Del resto, non è l’unico aspetto con cui il M5S si presenta in continuità con gli altri partiti borghesi: razzismo, maschilismo, corruzione (come dimostrano le vicende in cui è coinvolta la sindaca Raggi). Ultimamente il M5S ha calato completamente la maschera: auspichiamo che gli attivisti sindacali e gli operai che hanno riposto fiducia in questo movimento-partito ne comprendano finalmente la natura borghese e reazionaria.


Ma torniamo al tema dello sciopero generale. Se è chiaro, come dici, che le burocrazie di Cgil, Cisl e Uil non hanno interesse ad alzare il livello dello scontro di classe, come spieghi invece la decisione del sindacalismo “di base” di rinunciare all’occasione di proclamare uno sciopero generale unitario? 

Tanto è forte l’esigenza dei lavoratori e delle lavoratrici di organizzare a una forte risposta di lotta e di classe all’attacco del governo e dei padroni quanto sono deboli le argomentazioni portate dai dirigenti dei sindacati conflittuali per giustificare questa scelta masochistica. La direzione di Usb ha accampato scuse risibili (una riunione internazionale alcuni giorni dopo…) per non convergere sulla data del 27 ottobre, al contempo i dirigenti dei sindacati che hanno proclamato lo sciopero il 27 ottobre hanno fatto di tutto evitare una data comune con Usb. Tra gli argomenti usati da qualcuno c’è un ragionamento solo apparentemente corretto: affermano che, firmando il famigerato accordo della vergogna, i dirigenti di Usb e della Confederazione Cobas hanno tradito la lotta. E’ innegabile: la firma di quell’accordo è stata un fatto gravissimo, che ha indebolito la capacità di resistenza di tutta la classe lavoratrice. Ma ritenere che questo possa giustificare l’idea di scioperi separati e contrapposti è un’assurdità.


Come si deve costruire, a tuo avviso, uno sciopero generale? 

Possiamo prendere ad esempio quello che fanno i sindacati di base di altri Paesi. Vediamo quello che succede in questi giorni in Francia o in Catalogna ad esempio. Le lavoratrici e i lavoratori francesi stanno preparando in questi giorni la terza giornata di sciopero unitario contro il governo Macron e contro la riforma del lavoro (due giornate di sciopero sono già state organizzate a settembre). In Catalogna i sindacati di base e conflittuali hanno promosso, il 3 ottobre, una grande giornata di sciopero generale unitario contro la repressione del governo centrale e della guardia civile, a sostegno delle masse popolari catalane. L’appello a proclamare lo sciopero generale è stato lanciato a tutti i sindacati, per quanto complici o opportunisti siano giudicati i loro dirigenti. Ed è giusto che sia così: lo sciopero generale deve presentarsi, per sua stessa natura, come lo sciopero di tutti i lavoratori e di tutte le lavoratrici contro il nemico di classe (sciopero generale, appunto). Solidaires (il più grande sindacato di base francese) ha scioperato con la Cgt francese (l’equivalente della nostra Cgil, per intenderci), ovviamente su piattaforme diverse, ma pur sempre lo stesso giorno: lo scopo era organizzare un’azione incisiva e di massa, per respingere la riforma del lavoro. In Catalogna, i grandi sindacati burocratici (Comisiones obreras e Ugt) si sono invece sfilati, per loro decisione e non per esclusione altrui, dallo sciopero generale (proclamato invece dai sindacati di base presenti in Catalogna, dalla Cgt ai Co.Bas): lo sciopero è riuscito lo stesso, con adesioni pari all’80% nelle principali fabbriche e centinaia di migliaia di lavoratori in piazza.
Quello che sembrano non capire i dirigenti sindacali di casa nostra (mi riferisco ora al sindacalismo “di base”) è che non si deve confondere la costruzione del proprio sindacato – che spesso, per essere coerente e di lotta, deve passare per rotture e profonde differenziazioni – con le azioni di sciopero e di lotta: nella costruzione di queste ultime bisogna sempre sforzarsi di cercare la massima unità d’azione. Occorre sempre dimostrare ai lavoratori degli altri sindacati di essere disposti a lottare al loro fianco contro i padroni e il governo, indipendentemente dalle sigle e dalle bandiere: è anzi questo il miglior modo per smascherare la politica opportunista dei loro dirigenti e sottrarli alla loro influenza. Questo è tanto più valido in relazione alla costruzione di uno “sciopero generale” degno di questo nome.


Hai descritto scenari, quello catalano e quello francese, che appaiono molto differenti da quello cui assistiamo qui in Italia…

In realtà in Italia assistiamo a uno scenario contradditorio. Da un lato i sindacati conflittuali stanno proclamando scioperi unitari e incisivi nelle fabbriche e nelle vertenze di categoria: dai trasporti (pensiamo al riuscito sciopero del 2 ottobre nel comparto aereo e aeroportuale) all’industria, dalle telecomunicazioni al telemarketing. Dall’altro lato, quando si tratta di unificare tutte queste vertenze in una grande azione unitaria di sciopero generale… si spezzettano le date. C’è una palese contraddizione, che a mio avviso si può spiegare solo con una grande distanza dei dirigenti delle confederazioni sindacali non solo dai lavoratori e alle lavoratrici nei luoghi di lavoro (che capiscono istintivamente la necessità di lottare e scioperare uniti per sconfiggere il nemico di classe), ma anche spesso dai loro stessi attivisti.
Al di là del fatto scontato che le dinamiche della lotta di classe sono imprevedibili, è evidente che i risultati nell’immediato sono molto negativi. Prima di tutto, si perde l’occasione di convogliare il malcontento sociale in una grande azione di sciopero generale: ne approfitteranno non solo il governo e i padroni, ma anche le varie organizzazioni populiste e fasciste (pensiamo solo alla recente gravissima aggressione di un picchetto di sciopero alla Sda di Carpiano). In secondo luogo, si rischia di svuotare di significato lo stesso concetto di “sciopero generale”: i lavoratori e gli stessi attivisti del sindacalismo conflittuale lo percepiranno come un momento distinto dallo scontro di classe in cui sono impegnati quotidianamente, quasi fosse un mero momento propagandistico del proprio sindacato, anziché – come dovrebbe essere - la più forte e incisiva azione di lotta nello scontro politico con governo e padronato.
Concludo dicendo che, da questa ennesima triste storia, possiamo forse trarre un insegnamento: è necessario e urgente costruire dal basso, col protagonismo diretto e decisionale dei lavoratori e degli attivisti sindacali che lottano, un ampio fronte unico delle lotte, che possa imporre ai dirigenti sindacali quell’azione incisiva e unitaria che serve urgentemente alla classe lavoratrice per vincere. E’ quello che, ad esempio, stiamo cercando di fare impegnandoci nel rafforzamento del Fronte di Lotta No Austerity.
 

(1) Si veda questa intervista: http://www.alternativacomunista.it/content/view/2219/78/
(2) Per i dettagli su questa lotta straordinaria rimandiamo a questo articolo di M. Bavassano: http://www.alternativacomunista.it/content/view/2449/1/

venerdì 30 giugno 2017

Intervista a Fabiana Stefanoni dopo la seconda conferenza nazionale del FLNA

Fronte di Lotta No Austerity: l'untità che vincerà

Fabiana Stefanoni (Gruppo operativo nazionale FLNA)

a cura della redazione web
Intervistiamo Fabiana Stefanoni, membro del Gruppo operativo nazionale del Fronte di Lotta No Austerity, in merito alla Seconda Conferenza Nazionale, conclusasi a Firenze il 17 e 18 giugno con una partecipata assemblea cui hanno preso parte delegazioni da tutta Italia e ospiti internazionali.
Partiamo dalla fine: la Seconda Conferenza Nazionale del Fronte di Lotta No Austerity si è conclusa in un clima di grande entusiasmo tra i partecipanti. Sì, proprio così: siamo da tempo impegnati in questo difficile progetto di unificazione delle lotte e possiamo dire di essere entusiasti dei risultati che stiamo ottenendo. Sappiamo che c’è ancora tanta strada da fare ma abbiamo visto che la nostra determinazione nel ricercare l’unità di classe viene ricompensata. Non mi dilungo sui dettagli e invito tutti a leggere il report e a vedere le foto sul sito www.frontedilottanoausterity.org: lì sono condensati questi due giorni straordinari di intenso dibattito. Si è trattato di un indubbio passo in avanti nel rafforzamento di quell’unità di classe che è indispensabile per respingere gli attacchi dei padroni e del governo. Attacchi che non accennano a scemare: basta solo pensare all’ennesimo decreto “salva banche” di questi giorni, con altre decine di miliardi regalati ai banchieri. Un decreto che avrà come conseguenze ulteriori tagli, privatizzazioni, tasse per i lavoratori e le lavoratrici. L’operaio che non ha soldi per saldare i debiti subisce pignoramenti, mentre i ricchi banchieri ricevono miliardi in regalo dallo Stato: non c’è migliore dimostrazione dell’assurdità del sistema capitalistico. Ma pensiamo anche al recente vergognoso decreto razzista Minniti-Orlando, che priva gli immigrati persino del diritto di difendersi davanti ad un giudice; o alle ulteriori restrizioni al diritto di sciopero, invocate da Delrio dopo lo sciopero del 16 giugno e poi subito praticate con precettazioni. Ecco, tutto questo rende urgente la costruzione di un ampio fronte di lotta e di resistenza.
Quali sono i principali motivi che ti inducono a fare un bilancio positivo della Conferenza?Anzitutto, direi, il fatto che a Firenze si sono incontrati – con la volontà di proseguire la collaborazione e un progetto comune – i rappresentanti delle principali lotte in corso in Italia. C’erano i protagonisti del riuscito sciopero del 16 giugno: i lavoratori di Alitalia, delle ferrovie, della logistica. C’erano anche esponenti delle principali vertenze di questi ultimi mesi: dalla Tim ai movimenti a difesa del territorio (come i No Triv) alle donne che si battono contro la violenza maschilista. Si tratta di settori che hanno animato scioperi, picchetti, presidi e anche manifestazioni di massa (pensiamo alle oceaniche manifestazioni dei movimenti delle donne). Settori che hanno subito negli ultimi anni un drastico peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro e che si sono trovati spesso in duro scontro non solo con i padroni e con il governo, ma anche con le burocrazie sindacali: basta solo pensare ai già citati recenti attacchi al diritto di sciopero all’indomani, sostenuti – persino anticipati nei comunicati stampa! – dai dirigenti di Cgil, Cisl e Uil: o al vergognoso rifiuto da parte della burocrazia Cgil di proclamare lo sciopero dell’8 marzo richiesto dal movimento di donne Non una di meno.
Chi lotta e resiste contro padroni, governo e burocrazie ha trovato nel Fronte di Lotta No Austerity uno strumento importante per intraprendere un percorso di unificazione, cioè per rafforzare quell’unità di classe che è indispensabile per respingere gli attacchi del nemico di classe.
Ci sono stati e ci sono anche altri tentativi di creare dei coordinamenti tra sindacati che però hanno fallito. Qual è il punto di forza del Fronte di Lotta No Austerity?Penso che la forza del Fronte di Lotta No Austerity stia nel fatto che si configura come un processo di unificazione dal basso, col protagonismo diretto delle lavoratrici e dei lavoratori che costruiscono le lotte e le azioni di resistenza nei luoghi di lavoro. Lo dimostra la stessa composizione attuale del Gruppo operativo nazionale (che sono poi i compagni che hanno tenuto le relazioni alla Conferenza): uno dei ferrovieri che hanno animato una stagione di scioperi e azioni di resistenza nell’ambito dei trasporti, oltre che promosso coordinamenti di lotta tra lavoratori dei trasporti di differenti sigle; un operaio del gruppo FCA (Sevel) che è stato tra i protagonisti di importanti esperienze di coordinamento tra delegati sindacali combattivi del gruppo Fiat (esperienze che hanno messo in difficoltà non solo l’azienda ma anche la burocrazia sindacale della Fiom); un operaio della Pirelli da sempre in prima linea nel tentativo di rafforzare la solidarietà di classe tra lavoratori Pirelli, Bridgestone e altre fabbriche del settore (e che ci ha raccontato di un recente sciopero molto partecipato proclamato dagli operai della sua fabbrica senza attendere coperture sindacali); una lavoratrice del pubblico impiego, impegnata nella difesa dei diritti delle donne contro la violenza maschilista; infine io, che sono un’insegnante, orgogliosa di aver sempre promosso coordinamenti e azioni di lotta unitarie contro i tentativi di smantellare la scuola pubblica.
Altre esperienze di coordinamento hanno fallito probabilmente perché si fondavano su accordi a tavolino tra dirigenti, trasformandosi in terreno di competizione per le manovre di questo o quel dirigente a discapito dell’unità. Nel Fronte di Lotta No Austerity prevale il protagonismo diretto della base, dei lavoratori e delle lavoratrici che resistono e costruiscono le lotte nei loro luoghi di lavoro. Questa a mio avviso è una solida garanzia per il futuro.
Il primo giorno, nelle tue conclusioni, hai criticato fortemente le burocrazie sindacali, a partire da quella della Cgil. Ho iniziato attaccando la Camusso e la burocrazia Cgil per la sua ipocrisia: ha chiamato a manifestare a Roma a “difesa delle democrazia” quando ha fatto di tutto in questi anni per ridurre la democrazia sindacale, a partire dalla firma dell’Accordo vergogna sulla rappresentanza. Per capire quale sia il ruolo delle burocrazie di Cgil, Cisl e Uil basta ricordare le loro recenti dichiarazioni in merito alla lotta in Alitalia e, più in generale, agli scioperi dei trasporti: la Furlan (segretaria generale della Cisl, non a caso recentemente elogiata dal premier Gentiloni) dopo la vittoria del no al referendum ha accusato la Cub in Alitalia di “populismo sindacale” (sic!) e, insieme con la Camusso, ha prestato fianco al governo nel tentativo di screditare gli scioperi dei trasporti e aprire la strada a una nuova stretta. Altro che “difesa della democrazia”: per la Camusso, la Furlan e compagnia difendere la democrazia significa difendere gli interessi del governo e dei padroni!
Però, sempre nelle conclusioni, hai criticato anche i dirigenti del sindacalismo di base.Sì, è vero: anche nel sindacalismo conflittuale e “di base”, purtroppo, assistiamo spesso a logiche autoreferenziali, settarie, autoproclamatorie. E, talvolta, si passa sopra al principio fondamentale della democrazia interna: alcuni dirigenti sindacali concepiscono il sindacato quasi come fosse una proprietà personale, riproducendo logiche burocratiche simili a quelle dei grandi apparati. Ci si dimentica che il sindacato (soprattutto se vuole essere “di base”) dovrebbe essere uno strumento nelle mani dei lavoratori e delle lavoratrici, sempre sottoposto al loro controllo. Alcuni dirigenti del sindacalismo di base, invece, spesso si dimenticano proprio della base, ignorando i più elementari principi della democrazia sindacale. Da segnalare il fatto che, nonostante i nostri ripetuti inviti, i principali dirigenti del sindacalismo conflittuale hanno preferito disertare questo appuntamento. Un grave errore, a mio avviso: a Firenze c’era proprio quella base a cui bisogna tornare a dar voce.
Quali sono stati secondo te i momenti più importanti della Conferenza?Tutta gli interventi sono stati importanti. E’ stato per me particolarmente emozionante sentire una testimonianza diretta della lotta in Alitalia: una lotta emblematica, che è riuscita con la determinazione, la coerenza e la tenacia ad infliggere duri colpi a un triplice nemico: azienda, governo e burocrazie sindacali; una lotta anche che ha saputo costruire collegamenti importanti con altri settori, non solo dei trasporti.
Mi hanno emozionata molto anche gli interventi delle delegazioni straniere e il dibattito contro il maschilismo delle Donne in Lotta. Hanno partecipato alla Conferenza come ospiti, in rappresentanza della Rete Sindacale Internazionale di Solidarietà e di Lotta, rappresentanti dei Co.Bas di Spagna e della Csp Conlutas del Brasile (tra cui una compagna delle MML, Mulheres em luta). I compagni dei Co.Bas ci hanno raccontato delle esperienze unitarie che stanno promuovendo in Spagna, rilanciando anche a noi la proposta di una giornata di mobilitazione europea di tutte le forze del sindacalismo di base e combattivo. Herbert Claros, della Csp Conlutas del Brasile, ci ha parlato delle straordinarie mobilitazioni in Brasile, a poche settimane dal più grande sciopero generale della storia di quel Paese (28 aprile) e dalla grande manifestazione di Brasilia (24 maggio): ora sono in corso i preparativi per un nuovo grande sciopero il 30 giugno. Una testimonianza, quella della Csp Conlutas, particolarmente importante, perché i compagni ci hanno raccontato come anche loro abbiano iniziato come piccolo nucleo di avanguardie sindacali che si è poi convertito in quello che oggi è il più grande sindacato di base del mondo, in grado di costringere i grandi apparati burocratici brasiliani a proclamare scioperi le cui direzioni fanno di tutto per evitare (come nel caso dello sciopero del 28 aprile e dello stesso sciopero del 30 giugno).
Marcela Azevedo del MML, con l’emozionante racconto sulle lotte delle donne in America Latina, è invece intervenuta nel momento della Conferenza gestito e organizzato dalle Donne in Lotta. Un momento centrale, dove le compagne non hanno portato solo un contributo teorico alla discussione sulla lotta contro il maschilismo, ma anche la loro esperienza personale: dai racconti delle donne è emerso in modo palpabile come il problema del maschilismo e della violenza sessista siano parte della vita quotidiana di tutte le donne, nei luoghi di lavoro, in casa e anche nei sindacati. Penso che dopo questo dibattito nessuno sia rimasto come era prima: ogni attivista è tornato a casa con una consapevolezza nuova. Vale la pena ricordare, inoltre, che noi donne abbiamo dato vita ad alcune delle mobilitazioni e iniziative di sciopero  – dal 26 novembre e 8 marzo – tra le più partecipate degli ultimi anni.
Non posso poi non citare il concerto di Alessio Lega, che ci ha allietati il sabato sera con canzoni di lotta e di resistenza. Quella lotta e quella resistenza che vogliamo portare nelle piazze!
Cosa vuoi dire, per concludere, agli attivisti sindacali e di movimento che guardano il Fronte di Lotta No Austerity dall’esterno?Di non esitare e unirsi a questo progetto. Diciamo loro di ignorare chi cerca di denigrare o svalutare questa esperienza: sono solo tentativi di chi vuole difendere rendite di posizione o piccoli orticelli a scapito degli interessi delle lotte.
Il Fronte di Lotta No Austerity ha comunque un punto di forza: rappresenta un’esigenza reale e urgente della nostra classe, quella dell’unità di azione. Se ci uniamo siamo forti contro i padroni, se facciamo prevalere l’autoreferenzialità finiremo per essere schiacciati. Le porte di No Austerity sono spalancate per tutti coloro che credono nell’unità e nella lotta di classe.



Tratto dal sito del Pdac

lunedì 28 novembre 2016

Intervista a Ivan Maddaluni a cura di Fabiana Stefanoni per PROGETTO COMUNISTA*

Ferrovieri e lavoratori dei trasporti: scioperi in corso!
La lotta contro le privatizzazioni e contro gli attacchi al diritto di sciopero




Intervista a Ivan Maddaluni, a cura di Fabiana Stefanoni


Intervistiamo in questo numero di Progetto Comunista Ivan Maddaluni, ferroviere, attivista della Cub Trasporti e militante del Fronte di Lotta No Austerity.


Ivan, tu sei un ferroviere, per questo rappresenti una delle categorie di lavoratori più colpite dagli attacchi padronali e governativi. Come sono oggi le condizioni di vita e di lavoro dei ferrovieri in Italia e, più in generale, quelle dei lavoratori dei trasporti?

Come ferrovieri veniamo da due CCNL (Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro; NdR) consecutivi fortemente al ribasso, con i quali Cgil, Cisl, Uil, Ugl e anche Orsa, nell'ultimo contratto, hanno concesso alla azienda l'aumento da 36 ore settimanali a 38, la riduzione degli intervalli tra turno e turno, l'aumento pesante del fuori residenza e dei ritmi lavorativi, lo spacchettamento dell'azienda, la privatizzazione e l'esternalizzazione di servizi e lavorazioni, l'appesantimento del clima repressivo, che ha portato anche a licenziamenti di ferrovieri impegnati in battaglie per la sicurezza. A tutto ciò si aggiunge che la categoria è stata tra le più colpite dalla legge Fornero con un aumento per alcune figure professionali di 9 anni dell'età pensionabile, oltre l'età media di vita di queste categorie.
Se estendiamo lo sguardo ad altre categorie dei trasporti la situazione è ancora più drammatica; in Alitalia la privatizzazione ha causato una mattanza di migliaia di posti di lavoro, spesso falciando sistematicamente le realtà più combattive, come successo negli Aeroporti Romani, dove i compagni della Cub Trasporti sono lasciati a casa, persino dopo aver vinto la causa per essere stati ingiustamente licenziati.
Nel TPL (Trasporto Pubblico Locale) invece la privatizzazione selvaggia degli ultimi anni ha cancellato diritti e tutele dei lavoratori, che hanno perso diverse centinaia di euro sugli stipendi, nonostante l'aumento dei ritmi lavorativi e parchi mezzi vetusti e poco sicuri.
Peggio ancora la realtà degli appalti: una giungla senza regole dove lo sfruttamento regna sovrano e dove, con il nuovo codice degli appalti, sono state anche cancellate le clausole sociali, che garantivano la riassunzione dei lavoratori in caso di cambio di appalto.
Di fronte a tutto ciò però i lavoratori non sono stati inermi e in molti settori sono iniziate lotte dure e determinate; come ferrovieri ad esempio siamo al 14° sciopero nazionale unitario di tutti i sindacati di base presenti, una mobilitazione che ha fermato, almeno per ora, ulteriori peggioramenti già prospettati da azienda e sindacati collusi.


Tra gli ostacoli che incontrate quotidianamente, quando rivendicate i vostri diritti, ci sono anche le leggi antisciopero, che sono particolarmente dure nel vostro settore (e si inaspriscono sempre più). Puoi parlarcene?

La legge 146 che regolamenta lo sciopero nei cosiddetti servizi essenziali, dicitura molto labile usata da Renzi persino per fermare le mobilitazioni dei lavoratori del Colosseo, è particolarmente restrittiva nei trasporti, dove per dichiarare sciopero sono obbligatori 20 giorni di preavviso (10 di avviso e 10 per proclamazione), non si può inoltre scioperare se vi sono altri scioperi già proclamati (spesso strumentalmente) nel settore per stesso ambito territoriale nell'arco di 10 giorni, né in corrispondenza di festività o eventi (per Expo siamo stati precettati due volte). Inoltre la legge non consente scioperi per più di 24 ore consecutive.
Il mancato rispetto delle regole comporta non solo multe micidiali per le OOSS (le organizzazioni sindacali; NdR) ma anche sanzioni pesanti per i lavoratori che possono rischiare anche il licenziamento; si tratta in effetti di una regolamentazione degli scioperi fra le più restrittive del mondo, eppure Renzi e sindacati concertativi vogliono ulteriormente appesantirla! Un attacco al diritto di dissenso che dobbiamo respingere compatti e decisi.


Il sindacato di cui fai parte, la Cub Trasporti, è tra quelli che più di tutti si è attivato nella costruzione di scioperi e iniziative unitarie del sindacalismo di base e conflittuale. Ci racconti come sono andate le ultime iniziative di sciopero e di coordinamento nel settore dei trasporti?

Gli scioperi hanno riscontrato una partecipazione maggioritaria della categoria. Va detto che sono stati scioperi costruiti dal basso nelle assemblee dei lavoratori che hanno elaborato una piattaforma di rivendicazioni contrattuali alternativa a quella concordata da azienda e sigle complici respingendo, ad oggi, il percorso verso il baratro che si prospettava. Una mobilitazione unitaria di tutto il sindacalismo di base in FS (l'azienda delle Ferrovie dello Stato, in via di totale privatizzazione; NdR), che i lavoratori hanno dettato e imposto dalla base.


Come ferrovieri della Cub Trasporti avete sempre prestato la massima attenzione alle lotte dei ferrovieri di altri Paesi (come la Francia e il Belgio, ad esempio). A ottobre a Firenze avete organizzato, insieme con altre realtà della Cub, un convegno internazionale di due giorni sul sindacalismo di base. Quali pensi siano i principali pregi e i principali limiti del sindacalismo conflittuale in Italia? Pensi sia importante la solidarietà internazionale?

La speculazione capitalista è organizzata a livello internazionale e globale, per questo dobbiamo lavorare in rete per fronteggiarla, del resto le dinamiche di privatizzazione che colpiscono il settore trasporti, i servizi essenziali, i beni comuni, sono le stesse in tutto il mondo. Inoltre, anche nei trasporti sono ormai attive multinazionali che speculano sul costo del lavoro e che è possibile fronteggiare solo organizzandoci a livello internazionale; si tratta però al momento soprattutto di una rete informativa e solidale, che deve lavorare ancora molto per costituire lotte internazionali unitarie.
Del resto, e qui vengo ai limiti del sindacalismo di base italiano, oggi l'unità dei lavoratori langue anche da noi ed è osteggiata non solo dalle manovre gattopardesche e interessate dei sindacati confederali maggioritari ma anche dalla tendenza egemonica e autoreferenziale che attraversa, seppur con accenti diversi, tutto il sindacalismo di base.
La due giorni di Firenze servirà per ribadire il nostro percorso di lotta e questi concetti, anche dentro la Cub.


Tu e altri ferrovieri della Cub siete in prima linea nella costruzione del Fronte di Lotta No Austerity, che in queste settimane ha promosso una campagna per uno sciopero generale unitario. Quali pensi dovranno essere le priorità del Fronte di Lotta nella prossima fase?

Il Fronte di Lotta No Austerity ha dimostrato efficacia nella ricerca dell'unità delle lotte e dei lavoratori a prescindere dalla appartenenza di sigla, uno strumento prezioso che a nostro avviso ha ancora molto da dare alle lotte di questo Paese.
Penso che una battaglia urgente e unificante sia proprio quella per la difesa del diritto di sciopero, su questa sicuramente ci concentreremo nei prossimi mesi.


Infine, una domanda più personale. Cosa significa per te l'attività sindacale? Pensi sia uno strumento per costruire un mondo migliore?

L'attività sindacale è in verità uno strumento di difesa contro lo sfruttamento dei padroni, se la intendiamo in senso più politico certamente l'obiettivo deve essere quello di un mondo giusto, estraneo allo sfruttamento capitalista; un riscatto delle masse popolari che può avvenire solo riconquistando la coscienza di lotta di chi è sfruttato ed emarginato, lottando contro razzismo, maschilismo ed egoismo individualista, riscoprendo la volontà e il coraggio della mobilitazione, come esigenza di classe.
Una lotta che per essere vittoriosa deve trovare unità e solidarietà sia sindacale che politica, delle forze antisistemiche e marxiste di questo Paese; per questo continueremo a lavorare.


*Mensile del Partito d'Alternativa Comunista



(13/10/2016)

domenica 16 ottobre 2016

Il quadro sindacale e gli scioperi d'autunno - Grandi e piccole complicità che frenano la lotta di classe




di Fabiana Stefanoni*

"Si possono spiegare quotidianamente le idee più semplici alle masse contadine e arretrate senza provare il minimo senso di stanchezza: in questo caso si tratta di far progredire strati ancora freschi. Ma che fatica dover spiegare le idee fondamentali a gente col cervello appiattito dalle falsità burocratiche!". Potrà sembrare fuori luogo iniziare un articolo sull'attuale quadro sindacale in Italia con questa citazione di Trotsky, scritta in un contesto molto differente e riferita all'atteggiamento della burocrazia staliniana. Eppure pensiamo che queste parole conservino una straordinaria attualità. Anche oggi riscontriamo una resistenza quasi perversa - controrivoluzionaria, direbbe Trotsky - alle esigenze evidenti (e quasi banali) dello scontro di una classe contro un'altra classe: la necessità della costruzione di un ampio fronte unico di resistenza e di lotta.
Con una crisi economica che nulla ha da invidiare a quella di altri Stati europei, l'Italia rimane uno dei Paesi con il livello di lotte più basso. Non che le azioni di resistenza e gli scioperi manchino: sono però frammentati e divisi e stentano a tradursi in un'azione di massa di ampie dimensioni (come è invece avvenuto ad esempio recentemente in Francia con le mobilitazioni contro la Loi Travail).
Il fenomeno è sicuramente frutto di una combinazione di fattori, che non qui è possibile indagare nel dettaglio. Ma pensiamo che ci siano due elementi, in particolare, che contribuiscono a spiegare l'arretratezza del livello di scontro di classe nel nostro Paese: da un lato, il ruolo di controllo sulla classe che ancora riescono a esercitare i grandi apparati sindacali burocratici (Cgil, Cisl e Uil); dall'altro, la debolezza del sindacalismo conflittuale e "di base", sempre più prigioniero di atteggiamenti autoreferenziali e settari. Ne è un esempio la decisione da parte delle sigle del sindacalismo conflittuale di proclamare due giornate di sciopero generale separate - e di fatto in competizione - a distanza di pochi giorni.


I grandi apparati burocratici sempre più proni al capitale 

Per comprendere quale sia il ruolo che si apprestano a svolgere i grandi apparati burocratici di Cgil, Cisl e Uil nella prossima fase basta segnalare che il 1° settembre hanno stilato, nella foresteria di Confindustria, un documento comune con le associazioni degli imprenditori, presentato al governo come proposta condivisa di gestione delle crisi industriali. Un'intesa che, secondo la Camusso, apre "finalmente" una stagione diversa, perché dimostra "che le parti sociali sono in grado di fare accordi e proposte, rivendicando un'interlocuzione col governo". 
Se non fosse tragico, un accordo di questo tipo parrebbe quasi una barzelletta. E' come se i capponi presentassero al cuoco, insieme ai commensali, una ricetta per essere meglio cucinati al pranzo di Natale. Al cuoco - in questo caso il governo - tocca solo decidere i dettagli: potrà valutare se cuocerli a fuoco lento oppure no, ma la sorte dei poveri capponi è scontata.
Fuor di metafora, è evidente che ormai anche mimare il conflitto è diventato qualcosa di sconveniente per i dirigenti di Cgil, Cisl e Uil. Per conservare i privilegi acquisiti e preservare gli interessi della burocrazia, preso atto che non esistono più spazi di riformismo e che i padroni non intendono mollare nemmeno poche briciole, hanno accettato di abbandonare qualsiasi velleità di opposizione per dedicarsi esclusivamente al ruolo che da sempre riesce loro meglio: quello di pompieri del conflitto di classe.
La decisione dell'apparato Fiom, Landini in testa, di acconsentire all'accordo della vergogna (1) contribuisce a spiegare perché, in questo autunno di feroci attacchi padronali, sul sito del sindacato dei metalmeccanici della Cgil la parola sciopero non compaia quasi mai, se non per citare miseri sciopericchi di un'ora (come quello proclamato dopo l'omicidio dell'operaio a Piacenza) o per richiamare all'ordine gli operai dell'Fca (ex Fiat) che hanno deciso di scioperare contro Marchionne (2). Rispettare l'accordo della vergogna ha delle implicazioni ben precise: significa rinunciare all'azione conflittuale per relegare lo sciopero a un'innocua azione rituale. Un accordo, va precisato, alla fine accettato anche dalla sinistra interna ("Il sindacato è un'altra cosa") che ha presentato propri candidati alle elezioni rsu, deponendo le armi e rinunciando a creare una vera opposizione in Cgil. 


Al di fuori dei grandi apparati: cosa non funziona

Il fatto che stenti a decollare un'azione conflittuale di massa richiede una riflessione anche sul sindacalismo alternativo, riferendoci con questa espressione alle tante sigle del sindacalismo "di base" (utilizziamo non a caso le virgolette perché, come vedremo tra un po', spesso la base in questi sindacati conta molto poco).
Nate su stimolo di importanti e radicali conflitti nei luoghi di lavoro, le sigle sindacali alternative non godono certo di buona salute. Il fatto stesso che esistano innumerevoli sigle sindacali "di base", anziché essere indice di vivacità delle lotte, è spesso, al contrario, sintomo della progressiva affermazione di logiche e deviazioni burocratiche che producono infinite scissioni ai vertici. 
Non vogliamo, in questo articolo, fare di tutta l'erba un fascio, né negare il fatto che il sindacalismo di base vede impegnati migliaia di onesti e combattivi attivisti nel tentativo di costruire un'alternativa sindacale ai grandi apparati burocratici. Tuttavia pensiamo che esista un fenomenogeneralizzato - e per questo non citeremo nessuna sigla in particolare - che proviamo a spiegare così: l'assenza di attenzione alla democrazia operaia e alle sue esigenze, in un contesto di riflusso della lotta di classe, ha trasformato le strutture dirigenti di tanta parte del sindacalismo alternativo in strumenti di conservazione di logiche di appartenenza e di apparato, con scarsissima effettiva partecipazione della base alle decisioni politiche. 
Uno degli aspetti più drammatici della degenerazione del sindacalismo alternativo è la capitolazione di alcuni settori all'accordo vergogna sulla rappresentanza: ciò significa, nel settore privato, svolgere di fatto il medesimo ruolo di Cgil, Cisl e Uil (con l'aggravante che il confronto è perso in partenza in ragione di evidenti rapporti di forza). Alcuni sindacati "di base" hanno deciso di firmare questo accordo liberticida senza nemmeno convocare un congresso straordinario, approvandolo in una riunione ordinaria di apparato. E' una scelta gravissima che avrà delle conseguenze pesanti sulla futura evoluzione di queste organizzazioni, che, se non rivedranno questa decisione, probabilmente saranno destinati a convertirsi in "piccole Cgil". 
Ma la firma dell'accordo della vergogna non è l'unico limite che riscontriamo nel sindacalismo alternativo. Sono molte, e purtroppo spesso tollerate senza battaglia interna, le storture burocratiche: liderismo estremo, con autoproclamati capi che gestiscono il sindacato come fosse un'impresa di famiglia, promuovendo dirigenti e funzionari sulla base della fedeltà; espulsioni sommarie di operai e attivisti cui non viene nemmeno lasciato il diritto di difesa (e che magari vengono a sapere dal padrone, nel corso di una lotta o di uno sciopero, di non essere più "riconosciuti" dal proprio sindacato...); atteggiamenti maschilisti (e persino aggressioni) all'interno del sindacato, di cui ci si rifiuta persino di parlare perché "non sono questioni sindacali"; mancata solidarietà ad attivisti che subiscono violenze padronali; legittimazione di aggressioni fisiche ai danni di lavoratori di altri sindacati; congressi farseschi, convocati una tantum, in cui non esiste il diritto di presentare posizioni alternative a quelle dei dirigenti in carica o in cui gli statuti vengono cambiati da un giorno all'altro senza coinvolgere la base nella discussione; nomina dall'alto dei dirigenti e dei delegati con esclusione intenzionale di tutte le voci critiche; congressi organizzati senza nessun rispetto delle norme statutarie; delegittimazioni (con tanto di diffide o minacce) di realtà sindacali di fabbrica o territoriali che organizzano lotte "non approvate dai vertici"; e così via. 
Il quadro complessivo che ne esce è quello di un universo di piccole sigle in perenne competizione tra di loro, in cui la base - quella vera - conta veramente poco e, per questo, trionfano le logiche autoreferenziali dei leader. Ne consegue l'incapacità, che a tratti assume dei tratti patologici, di mettere in campo azioni unitarie di classe, nonché di comprendere una verità banale della lotta di classe: è necessario assicurare alla classe lavoratrice la possibilità di un fronte unico nella lotta contro il capitale, malgrado le divisioni. Più si accentuano le deviazioni burocratiche nelle organizzazioni sindacali "di base", più gli apparati si rinchiudono su sé stessi e attaccano le altre sigle finendo così per lasciare i lavoratori in balia degli attacchi feroci di padroni e governo: uno stato di guerra di tutti contro tutti in cui alla fine nessuno sopravvive.


Gli scioperi generali in programma per l'autunno

Quest'autunno si caratterizza, dal punto di vista sindacale, per due fatti degni di nota: il silenzio assordante da parte dei grandi apparati burocratici (Cgil e Fiom incluse) sulla necessità di uno sciopero generale e l'ennesima prova di divisione da parte del sindacalismo "di base". Dopo molti mesi dall'ultimo sciopero generale, le sigle del sindacalismo alternativo hanno infatti deciso di dividersi ancora una volta e proclamare due date di sciopero generale a distanza di due settimane: una il 21 ottobre (Usb, Usi, Si.Cobas e altri: il 22 ottobre è prevista a Roma una manifestazione contro Renzi) e una il 4 novembre (Cub, Usi-Ait, Sgb). 
Non accusiamo nessuna di queste sigle di avere la "principale" responsabilità in questa divisione, se non altro per risparmiarci il solito coro penoso di autodifese e accuse reciproche. Ci limitiamo a constatare quello che sta avvenendo in questi giorni nei luoghi di lavoro: attivisti sindacali che si trovano in difficoltà davanti agli operai del loro sindacato che chiedono straniti perché dovrebbero scioperare un giorno e non l'altro; lavoratori che fanno confusione tra le sigle e non capiscono più, esattamente, a quale sindacato sono iscritti e a quale sciopero dovrebbero aderire; operai che fanno collette di soldi per poter scioperare due giorni non volendo apparire come crumiri davanti ai colleghi che scioperano nell'altra data; persino, purtroppo, lavoratori delusi che rinunciano a scioperare...
Intendiamoci: la proliferazione di date di sciopero generale sarebbe ottima cosa se derivasse da una fase di ascesa della lotta di classe. Ma oggi sappiamo che le cose non stanno così. Sono purtroppo ancora poche le realtà operaie in sciopero e in lotta prolungati. La verità è molto più triste: le sigle del sindacalismo conflittuale, per ragioni di miopia settaria e in contrasto con la volontà unitaria della loro base, hanno deciso di anteporre gli interessi di sigla e di perdere un'importante occasione di rilanciare un'azione di sciopero e di lotta incisiva contro il governo e contro le loro politiche.
Le compagne e i compagni di Alternativa comunista saranno in piazza al fianco dei lavoratori e della lavoratrici in sciopero sia il 21/22 ottobre sia il 4 novembre. Al contempo, critichiamo con forza la scelta di aver frammentato le iniziative di sciopero e di lotta e, per questo, sosteniamo la campagna del Fronte di Lotta No Austerity - una delle poche esperienze unitarie e organizzate democraticamente in controtendenza col quadro fin qui descritto - per la costruzione di un vero e unitario sciopero generale:
http://www.frontedilottanoausterity.org/index.php?mod=none_News_bkp&action=viewnews&news=top_1474929349
Uniti si vince, si gridava una volta in piazza: uno slogan che pensiamo conservi oggi tutta la sua validità.
Note
(1) Per ricapitolare gli aspetti peggiori di questo accordo rimando a questa mia intervista:
http://www.alternativacomunista.it/content/view/2219/78/
(2) Ricordiamo che la direzione della Fiom ha deciso di sanzionare i propri delegati di fabbrica in Fca (Ex Fiat) per aver partecipato alla costruzione di un coordinamento tra i delegati di diverse fabbriche Fca del centro-sud e per aver proclamato gli scioperi dello straordinario comandato nelle loro fabbriche.

* Fabiana Stefanoni è dirigente del Partito d'Alternativa Comunista e attivista della CUB e del Fronte di Lotta No Austerity.

domenica 11 settembre 2016

Intervista a Diego Bossi a cura di Fabiana Stefanoni per PROGETTO COMUNISTA*

Quali prospettive per il sindacato di classe e di lotta?
La crisi del sindacalismo di base in Italia e lo sviluppo del Fronte di lotta No Austerity


Intervista a cura di Fabiana Stefanoni


Intervistiamo Diego Bossi, operaio Pirelli, membro del coordinamento nazionale del Fronte di Lotta No Austerity.



1) Diego, tu da anni sei un attivista del sindacalismo di base in Pirelli, precisamente della Cub. Sei anche ideatore e redattore di CUBlog http://cub-log.blogspot.it/, che ha sempre dato voce a tutte le lotte,  privilegiando l'unità di classe alla specifica collocazione sindacale. Quali credi siano i principali limiti del sindacalismo di base in Italia?

Prima di tutto vorrei ringraziarvi per questa intervista, il vostro è tra i partiti più vicini ai lavoratori nelle fabbriche e più attento alle questioni sindacali che mi sia capitato di incontrare nei miei vent’anni da operaio e attivista, con le compagne e i compagni del Pdac vanto una preziosa e proficua collaborazione che ha dato e sicuramente continuerà a dare ottimi risultati.
Veniamo ora, ahimè, ai limiti del sindacalismo di base in Italia. Sulla base della mia esperienza personale, in prima battuta il sindacalismo di base dà una connotazione conflittuale che si differenzia nettamente dalla concertazione a perdere tipica dei confederali.  Quello che manca è una visione di classe che realmente si traduca dai proclami alle azioni. L’immagine che ci si presenta davanti oggi è pietosa: un insieme di compartimenti stagni e non comunicanti tra loro, governati da anziani che non lasciano il trono, dove conduzioni familiari e clientelari basate su introiti economici  ed espansione di fette di mercato (lavoratori!) hanno bloccato qualsiasi tentativo di ricambio generazionale e di genuina democrazia della base. Una galassia di piccoli centri di potere concorrenti fra loro: dividono i lavoratori, anziché unirli. La moltitudine di sigle può essere un valore aggiunto solo nell’ambito di una comune prospettiva di classe. Oggi, in Italia, il sindacalismo di base è ancora molto distante da questa prospettiva.


2) Recentemente su CUBlog sono apparsi molti articoli critici di attivisti della Cub che non condividono alcune scelte degli attuali dirigenti sindacali. Tu cosa pensi di queste vicende interne al sindacato?

Per CUBlog, dare voce al dissenso verso settarismi e burocrazie antidemocratiche è una missione naturale, e naturale è la sua adesione al Fronte di Lotta No Austerity.
Le ultime vicende che hanno riguardato la Cub negli ultimi mesi segnano uno dei punti più bassi che abbia mai toccato il sindacalismo di base in Italia. Passiamo dall’imposizione di delegati estranei alla categoria al congresso della Cub Trasporti, all’esclusione, nella fase preparatoria dell’assemblea nazionale, dell’Unione inquilini, organizzazione tra le fondatrici della Cub, che in polemica non ha inviato delegati all’assemblea stessa. Per un resoconto impeccabile vi rimando a questo bellissimo articolo di Pippo Gurrieri pubblicato su Sicilia Libertaria che potrete trovare a questo link: http://cub-log.blogspot.it/2016/07/dove-sta-andando-la-cub-postiamo-e.html. Su tutto, basti pensare che quello che si vanta di essere il più grande sindacato di base italiano ha cambiato il proprio statuto nello stesso modo in cui io ho cambiato maglietta questa mattina: all’improvviso e senza dire un cazzo a nessuno. Di più: ha soffocato ogni possibile discussione mettendo ai voti le modifiche statutarie al primo giorno dell’assemblea nazionale. Non è solo una questione democratica. Dovremo fare i conti con un impatto psicologico devastante che ha gettato nel baratro la già esigua fiducia nei sindacati. Tutto il percorso congressuale è culminato ai primi di luglio nell’assemblea nazionale, dove è scoppiata una pentola a pressione che rimaneva chiusa da anni, così sono saltati fuori allo scoperto tutti: i burocrati, gli autoritari, i maiali orwelliani, i ricattati, i sudditi, senza farci mancare liste di proscrizione enunciate dal pulpito nel silenzio complice della presidenza. Ma è saltata fuori anche tanta indignazione, mettendo in risalto un’ampia parte sana del nostro sindacato. CUBlog sarà il megafono di chiunque abbia a cuore la democrazia partecipativa della base e l’autonomia dalle ingerenze del potere centrale.

3) Al di là della Cub, l'accordo della vergogna ha segnato uno spartiacque importante. Come hai vissuto la capitolazione all'accordo da parte di numerosi settori del sindacalismo conflittuale? Pensi sia servita la campagna di No Austerity?

Con il testo unico sulla rappresentanza siglato da Cgil, Cisl e Uil con Confindustria, i padroni hanno ottenuto il risultato di cacciare fuori dalle rsu i sindacati conflittuali. Dobbiamo spiegare ai lavoratori cos’è in realtà l’accordo della vergogna: un patto di non belligeranza coi padroni e di fedeltà assoluta dei delegati alle proprie segreterie, in cambio della concessione padronale di agibilità sindacali e dei fiumi di soldi provenienti dagli enti bilaterali. I padroni hanno capito che l’investimento più proficuo sarebbe stato comprarsi i sindacati. E l’hanno fatto.
Francamente mi sarei aspettato che la cortina di ferro dividesse i firmatari da tutti gli altri; purtroppo così non è stato. La mia personale opinione è che quel testo sia irricevibile per chiunque voglia realmente rappresentare i lavoratori; firmarlo, significa cessare di essere un sindacato, anteponendo interessi di bottega alla lotta di classe, unica via possibile per contrastare l’avanzata dispotica del capitale.
In quel periodo buio che è succeduto alla firma dell’accordo, si respirava un’aria di smarrimento e una propensione – diciamolo! – alla capitolazione. Credo che non solo la campagna di No Austerity sia servita, ma sia stata determinante, dando forza e voce a quanti si stavano opponendo a quello scempio.

4) Tu sei tra i principali volti noti del Fronte di Lotta No Austerity, che ha recentemente svolto la sua prima conferenza nazionale per delegati. Fai parte del coordinamento nazionale e, soprattutto, ne rappresenti l'anima operaia. Credi che il Fronte di Lotta No Austerity abbia la possibilità di diventare un punto di riferimento importante per la costruzione di un ampio e radicato fronte unitario di lotta?

Il Fronte di Lotta No Austerity è frutto di un lavoro straordinario di sinergie tra le migliori anime del sindacalismo italiano. Abbiamo fatto tanta strada e il nostro percorso è ancora lungo e non privo di ostacoli. Nella conferenza nazionale di Firenze ci siamo dati regole e princìpi; a settembre, a Modena, si riunirà il coordinamento nazionale col compito di dare attuazione al regolamento approvato.
Ci sono due immagini del Fronte di Lotta No Austerity, entrambe legittime ma diametralmente opposte. La prima raffigura No Austerity come somma aritmetica di una moltitudine di addendi  rappresentati dalle varie sigle del sindacalismo conflittuale, un grande padiglione, per intenderci; dove chi vuole entrare si porta con sé il proprio bagaglio sindacale, fatto di esperienze, tradizioni, conoscenze e lotte, aspettandosi di contribuire a dare forma e volto al nostro Fronte di Lotta.
La seconda – quella che preferisco – le persone le raffigura in uscita dal padiglione e il loro bagaglio è quel modo di essere e di concepire la politica e il sindacato così ben definito dalla nostra Carta dei princìpi. Persone che escono dal Padiglione No Austerity, entrano nei loro sindacati e si annidano in essi come un cancro positivo, un embrione di democrazia operaia e di unità di classe che cresce e si espande fungendo da anticorpo per burocrazie, settarismi, autoritarismi e discriminazioni.
Se questa seconda immagine prevarrà, se il Fronte di Lotta No Austerity saprà considerarsi come elemento indipendente e se saprà concentrarsi sui suoi obiettivi e sulla genetica che lo costituisce, anziché sulle tante provenienze che lo compongono, credo fermamente che diventerà un riferimento imprescindibile su cui convergeranno le lotte in Italia.

5) Quali secondo te dovranno essere le priorità del Fronte di Lotta No Austerity in questo autunno?

Due Priorità: prodigarsi per la costruzione di uno sciopero generale nazionale unitario di tutto il sindacalismo conflittuale e riportare in auge, rinnovandola, la campagna contro l’accordo di rappresentanza, che rischia di diventare legge per mano di un decreto governativo.

6) Per concludere, una domanda più generale. Come operaio che conosce direttamente la condizione di vita e di lavoro della sua classe, pensi ci sia una via d'uscita nel capitalismo?

Ho passato una lunga fase della mia vita in cui avrei risposto di sì, per molti anni ho creduto che lottare all’interno di questo sistema per migliorarlo fosse l’unica strada percorribile. Non ho mai chinato la testa sui libri sacri del comunismo, né ho avuto mai dimestichezza e familiarità con gli ambienti accademici e dottrinali. Sono un operaio e un semplice militante attivista, lo dico dando tutta la solennità possibile a questa espressione, perché credo non esista posizione e condizione più alta e importante della semplice passione di migliorare il mondo e la società. Oggi, quello che so e che sono lo devo ad anni di lotta ed esperienza e a compagni eccezionali che con pazienza hanno colmato molte mie lacune, formando in me consapevolezza e coscienza di classe. Rispondo quindi alla vostra domanda: no. Non esiste giustizia in un sistema ingiusto. Il capitalismo si sorregge sullo sfruttamento dei popoli per arricchire i padroni.
Se potessi fare un appello a tutti lavoratori, sarebbe questo: attenti che il capitalismo è più pericoloso proprio nei momenti in cui vi sembra più docile e attraente, non saranno i proclami leghisti che vi scaglieranno contro altri lavoratori e sfruttati migranti distogliendo la vostra attenzione dal vostro nemico di classe, non saranno le crociate grilline contro il sistema a cui sono funzionali tenendovi all’interno dello stesso, non sarà niente e nessuno a liberarvi dalla vostra condizione di sfruttati. L’unica possibilità che avete è scriverla voi, la vostra storia. E non leggerla scritta da altri.
Ora che mi ci fate pensare qualcosa sul comunismo l’ho letta. Fa più o meno così: Proletari di tutto il mondo, unitevi!


*Mensile del Partito d'Alternativa Comunista


(17/08/2016)

domenica 19 giugno 2016

PRIMA CONFERENZA NAZIONALE DEL FRONTE DI LOTTA NO AUSTERITY: GLI INTERVENTI DEI RELATORI

Pubblichiamo a seguire i video degli interventi dei relatori durante la giornata aperta al pubblico della conferenza nazionale del Fronte di lotta No Austerity.



APERTURA LAVORI (CHIARA PANNULLO)









IL PERCORSO FONDATIVO (IVAN MADDALUNI)







LA CARTA DEI PRINCIPI (DIEGO BOSSI)








LE CONCLUSIONI DOPO IL DIBATTITO (FABIANA STEFANONI)






IL MASCHILISMO E DONNE IN LOTTA (CONNY FASCIANA)