venerdì 27 novembre 2015

Da Epifani a Damiano, gli ex sindacalisti hanno detto sì al Jobs Act

La legge delega sul lavoro è passata alla Camera e così il governo Renzi potrà riscrivere l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. A dare il loro voto favorevole, molti politici venuti dal sindacato: dall'ex segretario della Cgil al ex Fiom ed ex responsabile lavoro dei Dem. E inoltre Bersani, Bellanova ed ex vendoliani come Boccadutri

DI LUCA SAPPINO ( L’ESPRESSO )

26 novembre 2014
Sindacalisti, operai, precari, ex comunisti. Nonostante le piazze convocate dalla Cgil, i cortei della Fiom e dei precari, molti rappresentanti dei lavoratori eletti alla Camera hanno votato a favore della legge delega sul lavoro, con cui si riforma l’art. 18.

Una delega molto generica che, approvata insieme al Nuovo centro destra di Maurizio Sacconi, dopo che sarà votata anche dal Senato, assegna al governo il compito di riformare il mercato del lavoro: non c’è il contratto unico ma un contratto che con un meccanismo di incentivi dovrebbe essere «prevalente», il contratto a tutele crescenti.

Per gli altri contratti, quelli più precari, è promessa una riorganizzazione, ma non ci sono dettagli. Il governo dovrà poi adeguare la normativa sul controllo a distanza e sul demansionamento. Ma soprattutto il governo dovrà riscrivere l’art 18 dello statuto dei lavoratori: lì resterà il diritto al reintegro solo per i licenziamenti nulli in quanto discriminatori, e per alcuni casi di licenziamento disciplinare, dichiarato illegittimo da un giudice.


CAMERA Come hanno votato i deputati

Non ci sarà diritto al reintegro in caso di licenziamento per ragioni economiche rivelatesi infondate, ad esempio, e il governo vorrebbe comunque, con un sistema di incentivi, evitare il più possibile proprio la via giudiziaria, convincendo il lavoratore ad accordarsi con il datore di lavoro. Di contro nelle intenzioni c’è un allargamento degli ammortizzatori sociali e della maternità, ma chi ha votato contro, come il dem Stefano Fassina, fa notare come «nella legge di stabilità per il 2015 le risorse per questi annunciati ammortizzatori sono meno di quelle previste nel 2014 per la sola della cassa in deroga».

Ma veniamo ai voti e ai nomi che più rappresentano, oltre le battute del premier, la rottura del Pd con il mondo sindacale e le contraddizioni di un rapporto profondissimo. Quello col passato più ingombrante è Guglielmo Epifani: per lui luce verde, favorevole. Vice di Sergio Cofferati ai tempi della battaglia dura in difesa dell’art. 18 è stato a sua volta segretario generale della Cgil dal 2002 al 2010. Il suo voto non poteva passare inosservato. E infatti a Epifani è dedicato l’attacco di un altro sindacalista eletto in parlamento, ma con Sel e proveniente dalla Fiom: Giorgio Airaudo. «Non posso non chiedere al mio ex segretario Epifani» ha detto Airaudo nella sua dichiarazione di voto, «se pensa di essersi sbagliato quando era sul palco con Sergio Cofferati e la Cgil, a difendere l’art. 18, o se si sta sbagliando adesso che vota per cancellarlo».

Dei big ha votato sì Pier Luigi Bersani, che pure nel suo programma elettorale, da candidato premier del centrosinistra, non aveva mai accennato a questa riforma. Rosy Bindi è invece uscita, così come Gianni Cuperlo (Giuseppe Civati invece ha votato contro). Enrico Letta come ormai consuetudine si è tenuto alla larga da Montecitorio e dal dibattito. Dei ministri hanno votato sì Paolo Gentiloni, Marianna Madia, Maria Elena Boschi e Andrea Orlando. Dario Franceschini era in missione, così come Angelino Alfano, Beatrice Lorenzin e Maurizio Lupi.

Ruolo di prima fila anche per Cesare Damiano, favorevole. Lui ha scalato la Cgil nazionale partendo dalla Fiom, come rappresentante degli impiegati e poi dei lavoratori delle officine di Mirafiori. Quando Cofferati riempiva il Circo Massimo, lui era responsabile Lavoro dei Democratici di Sinistra: in piazza assicurava, «gli obiettivi sui quali si mobilita il sindacato sono condivisi». Nel secondo governo Prodi, dal 2006 al 2008, è stato ministro del Lavoro. In questi giorni, da presidente della commissione lavoro della Camera, ha gestito la mediazione con il governo e con gli alleati della maggioranza. A lui sono andati i complimenti di Stefano Fassina «non formali», sì, ma più sul metodo, «per aver permesso al parlamento di fare il proprio lavoro, cosa non scontata», che sul merito: «Il testo del Senato è stato migliorato ma rimangono valutazioni negative su punti decisivi» ha detto Fassina prima di abbandonare l’aula, «il propagandato contratto unico non c'è e nemmeno il disboscamento dei contratti precari».

Anche la sottosegretaria Teresa Bellanova ha votato sì, e la sua carriera è cominciata ventenne nel sindacato dei braccianti: «Sono convinta che il testo approvato è l'esito di un lavoro importante e di un punto alto di mediazione» ha detto, «già soltanto sfoltire l'enorme fattispecie contrattuale e rendere poco interessante per l'impresa il lavoro precario mi sembrano elementi enormemente significativi».

Sempre dalla Cgil viene Luisella Albanella, alla sua prima legislatura, eletta con i voti dei lavoratori siciliani. Favorevole, anche se ovviamente si dice «preoccupata per la contrapposizione in atto tra il mio vecchio sindacato e il mio nuovo partito». Patrizia Maestri, prima donna segretaria della Cgil di Parma, ha cominciato come delegata Cgil della Upim-Rinascente, nel 1983, poi ha organizzato le donne del sindacato, dopo un po’ è arrivata in parlamento. Favorevole. Come Cinzia Maria Fontana, del resto, sindacalista di Crema. Prima di votare Fontana si è così rassicurata: «Fortunatamente la linea di Sacconi non è quella del Pd». Non lo è anche perché lei l’aveva detto: «se finisse per prevalere quella non la voterei». Dalla guida dello Spi-Gcil della Liguria al parlamento è finita anche Anna Giacobbe, favorevole anche lei.

Prima della mediazione sui licenziamenti discriminatori si era inalberata col premier: «La posizione di Renzi sui licenziamenti ingiustificati è sbagliata. La Cgil reagisce come ci si aspetta che faccia». Il romano Marco Miccoli, prima di esser segretario cittadino del Partito, con la segreteria di Bersani, operaio tipografico e grande organizzatore delle Feste dell’Unità, è stato nella segreteria nazionale della Cgil comunicazione. Favorevole anche lui, come tutti i bersaniani sulla linea del capogruppo Roberto Speranza.

Simile carrellata si potrebbe fare sul Senato, dove la legge dovrà ora tornare, ma dove è stata già votata una volta, quando, a detta dei democratici, «andava ancora migliorata». A far storcere il naso ai sindacalisti e operaisti fuori da Palazzo Madama, ad esempio, ci sono stati i voti di Valeria Fedeli e Mario Tronti, il teorico dell’operaismo. Fedeli, ex sindacalista della Cgil, finita nel polverone per aver partecipato all’ultima Leopolda di Matteo Renzi, ha votato sì preferendosi concentrare «sull’importanza che, nella delega, viene data al contratto a tempo indeterminato», quello a tutele crescenti.

Un ex sindacalista, eletto nel Pd, che non ha partecipato al voto della Camera è Giuseppe Zampulla, ex Fiom, uscito dall’aula con Stefano Fassina e Gianni Cuperlo. Lo stessa ha fatto Anna Maria Parente, ex Cisl, e Monica Gregori, deputata laziale del Partito Democratico, con 13 anni di militanza in Cgil. Gregori è stata però protagonista di un licenziamento, recentemente: già eletta in parlamento, in aspettativa, è stata messa alla porta con 17 colleghi, dipendenti di una casa di riposto della provincia romana. Forse ha influito. Con la minoranza bersaniana del Pd che aiuta Matteo Renzi, poi, il gioco è facile per gli ex sindacalisti eletti nel centrodestra. La forzista Renata Polverini, già segretaria generale dell’Ugl, prima di diventare governatrice della regione Lazio, ha abbandonato l’aula, con tutto il gruppo di Forza Italia, che, come tutte le opposizioni, ha preferito far votare da sola la maggioranza.

Sindacalista ma soprattutto operaio è Antonio Boccuzzi. Anche lui ha premuto il tasto verde, lo stesso di Fabrizio Cicchitto. Boccuzzi è in parlamento perché simbolo della tragedia dello stabilimento ThyssenKrupp di Torino. Superstite, fu candidato e eletto una prima e poi una seconda volta nel 2013. In azienda era il delegato sindacale della Uil. In parlamento aveva già votato la riforma di Elsa Fornero: «Per me votare quei provvedimenti è stata una sofferenza enorme», si è però giustificato. Hanno votato sì anche i volti della giovanile del partito, finiti in parlamento nel 2013: Fausto Raciti, Giuditta Pini, Valentina Paris.

Notevoli sono anche i voti degli ex Sel. Favorevole hanno votato Sergio Boccadutri, ex tesoriere dei vendoliani, Ileana Piazzano, Nazzareno Pilozzi e Gennaro Migliore, che appena uscito da Sel è stato il primo a prendere la tessera del Pd. Ai tempi di Rifondazione Comunista Migliore era un bertinottiano, capogruppo alla Camera dei deputati. Bertinotti, ex sindacalista, dedicò la sua elezione a presidente della Camera «agli operai e alle operaie». Favorevole anche Titti Di Salvo che oltre alla militanza politica nel partito di Nichi Vendola, è stata una massima dirigente sindacale, dalla base di Torino fino alla segreteria nazionale nel 2002, negli anni della grande opposizione al governo Berlusconi sull’art. 18. Ha invece votato contro alla delega del governo Claudio Fava, ex Ds, fuoriuscito da Sel ma non entrato nel Pd.

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