La CGIL e la
Fiom annunciano la partenza della raccolta di firme per poter presentare in
parlamento, una proposta di legge per la definizione di una “Carta dei diritti universali del lavoro”.
Si tratta di
un progetto ambizioso di ridefinizione di tutte le tutele e le norme che
dovrebbero presiedere ai rapporti di lavoro. L’idea è quella di riscrivere una
legge che sostituisca lo “Statuto dei diritti dei
lavoratori” del 1970, ormai largamente svuotato dall’azione demolitrice
di Monti-Fornero nel 2012 e di Renzi-Poletti nel 2015.
In pratica
la Cgil sposa la tesi del superamento dello Statuto dei
Lavoratori, la Legge300/70 frutto delle lotte dei lavoratori alla fine degli
anni 60, e propone di sostituirlo con una Carta
dei diritti universali del Lavoro, quindi non
più dei lavoratori.
Sembra, ma
non è, un operazione di ammodernamento e di lucidatura di quello che la destra
e il centro sinistra ormai da tempo trattano come un arnese inservibile di cui
è meglio fare a meno per liberarsi da quei “lacci e lacciuoli” che limitano
l’orizzonte delle imprese e gli impediscono di rincorrere le alte mete del
profitto senza limiti.
La
Cgil nell’articolato non
solo dà per definitivo il nuovo assetto del lavoro, considerando come ormai
parte integrante tutte le forme, anche le più becere, di sfruttamento e di
precarietà introdotte dai vari governi nell’ultimo decennio per aderire alle
richiesta di confindustria e del capitale, ma formalizza
il jobs act e l’accordo del 10 gennaio accettando e facendo proprio quel
micidiale combinato fortemente voluto per stroncare ogni diritto ed ogni possibilità di utilizzare il conflitto per garantirne la
sopravvivenza.
I contenuti
del progetto di legge però meritano una valutazione più articolata.
Esso si
compone di 97 articoli raggruppati in tre titoli. Il primo titolo riguarda le
tutele fondamentali: il diritto ad un lavoro dignitoso, ad un compenso equo,
alla sicurezza in azienda, il diritto al riposo e alla conciliazione con la
vita familiare, alle pari opportunità, alla libertà di espressione e a non
essere discriminati né controllati a distanza, ad ammalarsi, ad una adeguata e
gratuita tutela processuale nelle controversie di lavoro, e (di questo si parla
nel terzo titolo) del diritto alla reintegra in caso di licenziamento
illegittimo individuale o collettivo.
Dunque si
propone proprio la reintroduzione di gran parte dei diritti che le
controriforme liberiste hanno cancellato, troppo spesso con il consenso, o
almeno con la passività delle grandi organizzazioni sindacali.
Sorge dunque
spontanea la domanda: come può essere pensabile che questa organizzazione
sindacale, che non ha voluto difendere
quei diritti quando erano leggi dello Stato, possa riuscire a ripristinarli in
una fase nella quale i rapporti di forza tra le classi, anche grazie alla
cancellazione di quelle leggi, si sono pesantemente deteriorati a sfavore delle
lavoratrici e dei lavoratori?
Per
riconquistare questi diritti non basta certo una raccolta di firme.
C’è bisogno
di una mobilitazione durissima, basata su una drastica svolta nella linea
sindacale, nella politica contrattuale della Cgil, che invece si omologa sempre
più a quella filopadronale di Cisl e Uil, come stanno a dimostrare i più
recenti accordi contrattuali.
Inoltre,
dietro la bella immagine delle premesse, ci sono cose molto meno edificanti.
Nella foga
della sacrosanta preoccupazione di estendere gran parte dei diritti anche alle
forme più precarie di rapporto di lavoro, si procede alla definitiva
legittimazione da parte della Cgil di ogni tipo di precariato, dalla
somministrazione agli stessi voucher, per cui la tanto proclamata centralità
del rapporto di lavoro a tempo indeterminato resta una pura declamazione.
Con buona
pace – a proposito di firme – dei 5 milioni di firme raccolti dalla stessa Cgil
nel 2002 contro la famigerata legge 30.
E nel
secondo titolo del progetto di legge si pensa di dare agli articoli 39 e 46
della Costituzione quella disciplina attuativa che manca dal 1948.
Ma la
disciplina proposta si basa sulla legificazione delle
norme sulla rappresentatività contenute nel “Testo unico” sottoscritto con la
Confindustria nel gennaio 2014, cioè in un
accordo il cui carattere corporativo e
antidemocratico è noto alle lavoratrici e lavoratori a noi vicini.
Questa
proposta di legge perciò è un’iniziativa che non modifica l’ormai largamente
consolidata subalternità della Cgil allo stato di cose presenti né sul piano
della mobilitazione né su quello della linea generale.
Né sarà
capace di porre un argine alla crisi politica e organizzativa latente che
travaglia il principale sindacato italiano.
Tutto
ciò la borghesia non l’ha realizzata nemmeno da sola, ma con il consenso attivo
e subalterno delle O.S. alle sue dipendenze, dalla pratica stasi di ogni reale
mobilitazione sindacale, salvo le coraggiose ma isolate iniziative di alcuni
sindacati di base o di delegate/i legate alla sinistra della Cgil, anche se la Fiom dichiara
incompatibile chi organizza lo sciopero.
Sono le
iniziative di questo tipo che occorre incentivare. Possono essere gli unici
argini all’ulteriore pesante arretramento che si prepara.
Il
segretario della Fiom Landini e la Segretaria della CGIL Camusso saranno
ricordati per aver distrutto lo statuto dei lavoratori duramente conquistato
con anni di lotte.
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