mercoledì 3 giugno 2015

Expo, la Carta di Milano è fuffa

Articolo di Francesco Ruggeri



La “Carta di Milano” è fuffa. Così dicono intellettuali di sinistra milanesi e no a proposito di quella che viene presentata come l’eredità che EXPO lascia al mondo. La Carta, infatti, verrà consegnata a fine Expo, il 31 ottobre 2015, al segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-Moon e sarà il contributo italiano alle riflessioni che si terranno a novembre di quest’anno presso le stesse Nazioni Unite sui Millennium Goals, gli obiettivi di sviluppo che i 191 stati membri si sono impegnati a raggiungere entro il 2015 tra cui l’eliminazione della povertà e del problema della fame nel mondo, la diffusione mondiale dell’istruzione a livello primario, tutte cose che sono al centro dei pensieri di Renzi, Maroni e delle cosche mafiose che hanno gestito gli appalti di Expo. Questo documento è stato scritto durante gli appuntamenti di “Expo delle Idee”, cioè incontri tra esperti e cittadini in cui i partecipanti si sono divisi in vari “tavoli” tematici per approfondire tutti i temi di Expo, in particolare quello sullo sviluppo equo, sulla sostenibilità nel futuro, sulla cultura del cibo, sull’agricoltura per un futuro sostenibile e sulla città del futuro. Hanno poi contribuito anche personaggi come papa Francesco, l’ex presidente del Brasile Luiz Inacio Lula da Silva, il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-Moon, la politica birmana premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi, il celebre oncologo Umberto Veronesi e le solite organizzazioni concertative da Legambiente al Wwf alla Cgil.

“E’ una grande operazione mediatica, che si limita a dichiarazioni generiche senza andare alle cause e alle responsabilità della situazione attuale”.  I toni critici giungono da esponenti del mondo della cultura e della politica della sinistra  come Moni Ovadia, Alex Zanotelli, Vittorio Agnoletto, Franco Calamida, Emilio Molinari, Basilio Rizzo, Erica Rodari, Anita Sonego e molti altri. “La Carta di Milano scivolerà nella storia senza incidere alcunché, legittimando ancora il modello agroalimentare che ha prodotto insostenibilità, disastri ambientali e le terribili iniquità che vive il nostro mondo e che la stessa Carta denuncia ma ignorando lo strapotere politico delle multinazionali, che stanno dentro ad Expo e che sottoscrivono la Carta. Il presidente Sala ebbe a dire a suo tempo che in Expo dovevano coniugarsi il diavolo e l’acqua santa: pensiamo intendesse Coca Cola, Monsanto e l’agricoltura familiare e di villaggio, i Gas, il biologico ecc… Il risultato è che nella Carta si sentono il linguaggio, le difficoltà, le mediazioni e i contributi di tanti docenti, personalità e realtà associative che hanno cercato di migliorarla, ma purtroppo il loro onesto sforzo si è tradotto unicamente in un saccheggio del linguaggio dei movimenti dei contadini e di coloro che si battono per la difesa dell’acqua come bene comune e in favore delle energie alternative al petrolio.

Non una parola sui sussidi che la Commissione Europea regala alle multinazionali europee agroalimentari permettendo loro una concorrenza sleale verso i produttori locali; non una parola sugli accordi commerciali tra l’Europa e l’Africa (gli EPA) che distruggono l’agricoltura africana; né si parla del water e land grabbing; né degli OGM che espropriano dal controllo sui semi i contadini e che condizionano l’agricoltura e l’economia di grandi paesi come il Brasile e l’Argentina; né si accenna alle volontà di privatizzare tutta l’acqua potabile e di monetizzare l’intero patrimonio idrico mondiale, né si fanno i conti con i combustibili fossili e il fracking.

Nella «Carta» si parla di diritto al cibo equo, sano e sostenibile, si accenna persino alla sovranità alimentare, si ricorda che il cibo oggi disponibile sarebbe sufficiente a sfamare in modo corretto tutta la popolazione mondiale, si sprecano parole nate e vissute nella carne dei movimenti, ma poi? La responsabilità di tutto questo sarebbe solo dei singoli cittadini: dello spreco familiare (che è invece surplus di produzione) che andrebbe orientato verso i poveri e verso le opere caritatevoli, sta nella loro mancanza di educazione ad una corretta alimentazione, al risparmio di cibo e di acqua, ad una vita sana e sportiva. Le responsabilità pubbliche e private sono ignorate. Manca la concretizzazione del diritto umano all’acqua potabile come indicato dalla risoluzione dell’ONU del 2010 e mancano gli impegni per impedirne la privatizzazione. Mancano le misure da intraprendere contro l’iniquità di un mercato e delle sue leggi, che strangolano i contadini del sud ma anche del nord del mondo. Mancano riferimenti a bloccare gli OGM su cui oggi si gioca concretamente la sovranità alimentare. Mancano i vincoli altrettanto concreti all’uso dei diserbanti e dei pesticidi che inquinano ormai le acque di tutto il mondo e avvelenano il nostro cibo. Ne prenda atto Sala da buon cattolico: il diavolo scappa se l’acqua è veramente santa. Ma qui di acqua santa non c’è traccia, mentre i diavoli, sotto mentite spoglie, affollano la nostra vita quotidiana e i padiglioni di EXPO”.

Purtroppo, mai come in questo momento, le voci critiche, le rare energie contro il modello di sviluppo sono accerchiate tra gli atteggiamenti concertativi delle grandi associazioni, il macabro carnevale del riot e la pietà civica per i cocci di vetro infranti. Il pianeta ha fame, anche di conflitto.

 Dal sito : popoffquotidiano.it

domenica 31 maggio 2015

articolo di Tiziana Simonetti (ABC Economics) che prende in esame l’impatto economico a medio e lungo termine di EXPO 2015.

#EXPO2015: un sogno costato 14 miliardi

Dati generali Impatto economico nazionale

Un recente studio commissionato da Expo 2015 SpA a CERTeT – Università Bocconi valuta l’impatto dell’esposizione universale sull’economia italiana, stimando una ricaduta positiva sul Pil per circa € 70 Miliardi, cui corrisponde un incremento di valore aggiunto pari a circa € 29 Miliardi.
Tra le aree che beneficeranno maggiormente:
Infrastrutture: 74,5%
Costi di gestione evento: 3,8%
Partecipazione ad EXPO Milano 2015 dei Paesi: 1,9%
Attrattività turistica: 16,5%
Attrattività di investimenti diretti esteri: 3,3%.
Sempre secondo il sopracitato studio, EXPO Milano 2015 avrà rilevanti impatti sull’occupazione nazionale, oltre che lombarda, in particolare: (1) l’occupazione generata in modalità diretta, indiretta ed indotta sarà pari, nel decennio 2011-2020, a circa 61.000 persone occupate in media ogni anno e (2) il fabbisogno occupazionale avrà un picco nel triennio 2013-2015 e sarà variamente distribuito sia negli anni precedenti che in quelli successivi all’evento.
Si stima inoltre un gettito fiscale di 11,5 Miliardi per le attività in qualche modo legate all’EXPO, gettito ripartito tra imposte dirette (64%) e indirette (36%).

Gli effetti sull’economia italiana legati alla realizzazione di EXPO Milano 2015 sono stimati utilizzando un modello matematico che si avvale della metodologia delle “interdipendenze settoriali”. Tale metodologia (basata sulla struttura dell’economia italiana resa disponibile dall’ISTAT) descrive, disaggregata per settori, l’attività di produzione di beni e servizi che si realizza in un dato periodo nel sistema economico a seguito di un aumento della domanda per maggiori investimenti e spese.
Vedi grafico 1 sotto. Dati in miliardi di Euro. Fonte: Rapporto di Sostenibilità 2013. Basato sullo studio: L’indotto di Expo 2015, rapporto di ricerca per Camera di Commercio Milano.
Grafico 2. Fonte: Studio del CERTeT – Università Bocconi.

I costi delle infrastrutture

Gli investimenti infrastrutturali diretti che sono stati previsti per le opere funzionali alla realizzazione dell’Esposizione Universale sono pari a circa € 1,7 Miliardi relativi alla realizzazione dei padiglioni fieristici e alle opere di urbanizzazione e alle infrastrutture tecnologiche. Mentre più di €12 miliardi sono stati destinati per la realizzazione di opere connesse all’Esposizione Universale come interventi sulla rete metropolitana, stradale, ferroviaria.
I costi e il valore aggiunto della gestione evento

I costi complessivi di gestione dell’evento, escludendo ammortamenti e imposte, si prevede ammontino a circa € 1 Miliardo, e hanno un impatto sulla produzione di quasi € 2,4 Miliardi, generando oltre 1 Miliardo di valore aggiunto.

Le spese e gli investimento dei Paesi esteri ad Expo Milano 2015

Poi ci sono gli investimenti e le spese sostenute in Italia dai Paesi che partecipano all’Esposizione Universale. Le spese effettuate in Italia da parte di Stati e Istituzioni straniere sono di circa € 0,5 Miliardi, suddiviso in: € 0,2 Miliardi di investimenti per spese costruzione degli spazi espositivi e le strutture accessorie; € 0,1 Miliardi di investimenti per l’allestimento degli spazi espositivi; € 0,2 Miliardi di spese di gestione operativa degli spazi espositivi. L’impatto stimato sulla produzione attivata dagli investimenti complessivi dei Paesi partecipanti ad Expo’ è pari a € 1,3 Miliardi e a € 556 Milioni di valore aggiunto.

La spesa turistica

Un impatto significativo è dato dai visitatori attesi nei sei mesi di apertura dell’Esposizione Universale. Essendo stata stimata la presenza di circa 20 Milioni di visitatori.
 La spesa turistica indotta da Expo Milano 2015 risulta pari a € 3,5 Miliardi, di cui € 1,5 Miliardi per l’alloggio, € 1,2 Miliardi nella ristorazione e € 758 Milioni di altre spese; l’impatto sulla produzione è di € 9,4 miliardi.

Scopo dell’Esposizione e’ inoltre quello di aumentare l’attrattiva del Paese generando un flusso aggiuntivo di turisti che visitano il Paese e la città nei mesi di apertura dell’esposizione.

La spesa complessiva dei turisti “aggiuntivi” è stimata in € 212 Milioni e la produzione attivata a € 572 Milioni. Tra le eredità che gli eventi lasciano alle città ospitanti, oltre a un miglioramento delle infrastrutture vi è anche la possibilità di un’ottima reputazione nel saper organizzare eventi di dimensione internazionale, perciò L’Expo’ potrebbe essere un asset per la città di Milano nel valore del mercato congressuale. L’Impatto economico atteso per il maggior numero di partecipanti a congressi è di € 375 Milioni. La produzione attivata è di oltre € 1 Miliardo. L’insieme delle spese aggiuntive indotte dai visitatori previsti sia dall’attrattiva turistica che dall’attrattiva congressuale sono pari ad oltre € 4 Miliardi, che attivano una produzione aggiuntiva di € 11 Miliardi e danno origine a circa € 4,8 Miliardi di valore aggiunto.

L’attrattività per investimenti esteri

Come dimostrano studi realizzati in previsione di eventi simili, grazie all’incremento dell’attrattiva sopra descritta, è probabile, che si verifichi un aumento dei flussi di investimenti diretti esteri (IDE): i cosiddetti “greenfields” (indipendenti quindi da operazioni di acquisizione di imprese già esistenti). Sulla base degli andamenti dei “greenfields” avvenuti in Lombardia negli ultimi anni, si è stimato un potenziale aumento annuo indotto da Expo’ del 7%, pari a circa 183 Milioni, considerato anche questo per un massimo di 5 anni. L’impatto diretto complessivo legato al maggior flusso di investimenti greenfields è pari a € 914 Milioni, la produzione attivata è di € 2,5 Miliardi, il valore aggiunto è pari a circa un miliardo.

Fattori economici vs fattori politici

Roberto Perrotti docente alla Columbia University di New York e professore ordinario all’Università Bocconi nel suo libro “Perché L’Expo è un grande errore” da una sua valutazione. Né la corruzione né i ritardi sono il problema principale di Expo 2015. Il problema principale è che l’Expo non sarebbe dovuto accadere. La decisione di fare l’Expo è stata prima di tutto politica ed emotiva, tuttavia questa ubriacatura collettiva è stata supportata e legittimata da stime economiche azzardate, che ne hanno avallato i voli pindarici.  Le stime sono state accettate acriticamente dai mezzi di informazione, ripetute e tramandate poi in innumerevoli occasioni, sbandierate da politici e commentatori e queste stime hanno instillato il miraggio di centinaia di migliaia di posti di lavoro e di altri enormi benefici economici a costo zero”.

Perché i costi sono sovrastimati?

Perrotti continua: ” Il primo costo da considerare ovviamente è che i soldi non piovono dal cielo. Per investire 3,2 miliardi prima o poi bisogna alzare le tasse di circa 3,2 miliardi (questo non significa che l’Expo non possa essere finanziato in deficit, ma solo che prima o poi bisognerà ripagare il debito alzando le tasse). Ma alzare le tasse riduce la produzione e il Pil. Un esempio sono i flussi turistici. Si attendono 20 milioni di visitatori, di cui circa 15 milioni italiani. I loro consumi non sono tutti aggiuntivi. Nei due giorni che visiteranno l’Expo il visitatori ridurranno altri tipi di consumi: andare al ristorante nella propria città, oppure allo stadio o a un museo. Tutti questi consumi mancati dovrebbero essere conteggiati in riduzione dei consumi aggiuntivi.

Usi alternativi dei fondi: Se invece nel caso le stime possano mostrare ad esempio un aumento di produzione e Pil, varrebbe la pena intraprendere il progetto? Perrotti risponde: “Non necessariamente”. “Ci potrebbero essere altri progetti che generano un aumento ancora maggiore, e ad un costo inferiore”. “Per un politico e un amministratore è molto più appariscente ed appagante fare l’Expo. Ogni politico sogna di essere un grande statista. Ma non è di questo che hanno bisogno i cittadini. Soprattutto non se questi sogni di grandezza costano 14 miliardi di euro. Quando fallisce ogni argomento razionale, c’è sempre il suo valore simbolico. La grande opera serve per “creare un simbolo per il paese”, “un fulcro su cui catalizzare le energie di rinnovamento”, per “realizzare un sogno che vada al di là dell’ordinario”. “Se questa è la giustificazione, allora il costo dell’opera e i suoi benefici diventano secondari….ma non basta invocare l’“effetto sogno” per giustificare qualsiasi cosa… “Quando si rinuncia ad ogni considerazione razionale di costi e benefici per la collettività, il rischio è che, passata la sbornia retorica, i simboli e i sogni di ieri diventino delle zavorre, o addirittura degli incubi di oggi”.

http://abceconomics.com/2015/05/05/expo/


mercoledì 27 maggio 2015

dalla rivista on-line PuntoSicuro http://www.puntosicuro.it

TRIBUNALE DI GENOVA: E’ LEGITTIMO RIFIUTARSI DI LAVORARE SE NON SI E’ IN CONDIZIONI DI PIENA SICUREZZA

Riporto a seguire dalla rivista on-line PuntoSicuro http://www.puntosicuro.it un interessante articolo dell’avvocato Lorenzo Fantini relativo alla sentenza del Tribunale di Genova che il 23 marzo ha disposto il reintegro per il macchinista della divisione Cargo delle Ferrovie dello Stato, Silvio Lorenzoni, reo di essersi rifiutato di viaggiare assieme a un secondo agente non in grado di guidare il treno.

martedì 26 maggio 2015

La Marcia Mondiale contro la Monsanto organizzata da una donna

 23 maggio 2015 
Mobilitazione di migliaia di manifestanti  da Parigi à Los Angeles, da Ouagadougou a Rio.

In Italia piazze vuote, intanto la Monsanto finanzia l’Expo


di Patrizia Cammarata

Si è tenuta sabato 23 maggio la terza edizione della March Against Monsanto (Marcia contro  Monsanto). La Monsanto Company è un'azienda multinazionale di biotecnologie agrarie, con circa 18.000 dipendenti e un fatturato dichiarato nel 2007 di 8,5 miliardi di dollari, è produttore di mezzi tecnici per l'agricoltura, è nota nel settore della produzione di sementi transgeniche  e, da marzo , dopo l'acquisizione della Seminis Inc, è anche il maggior produttore mondiale di sementi convenzionali.
L'organizzatrice della marcia contro questo colosso è una donna: Tamil Canal Monroe, statunitense, madre di due bambine. Sono le sue figlie, ha spiegato, la motivazione che ha spinto Tamil ad organizzare, insieme a numerosi attivisti,  la manifestazione a livello mondiale, perché preoccupata per la salute delle generazioni future:“Credo che Monsanto sia una minaccia per la salute, la longevità e la fertilità della loro generazione. Non potevo starmene seduta con le mani in mano, aspettando che qualcun altro si decidesse a far qualcosa.”
I temi portanti della marcia del 23 maggio toccano soltanto la punta dell’iceberg  di un problema mondiale, nella battaglia contro la Monsanto non vi è in gioco soltanto la possibilità di scelta del consumatore, ma il futuro stesso delle generazioni future. La Monsanto  ha iniziato a spargere i suoi veleni nel mondo dagli inizi del ‘900  ed è tristemente famosa per essere una delle sigle che ha prodotto l’agente Orange, usato come arma chimica durante la guerra contro il Vietnam, i cui effetti tossici sono andati oltre i tempi del conflitto causando successivamente la nascita di tanti bambini con problematiche gravi. Ma la marcia punta il dito contro la Monsanto anche per quello che sta accadendo ogni giorno nel nostro pianeta attraverso l’uso congiunto degli OGM (organismi geneticamente modificati) e dei pesticidi, una catastrofe ambientale e una catastrofe per la vita di milioni di contadini poveri e di popolazioni. La scintilla che ha fatto scattare la manifestazione di quest’anno è stata l'approvazione in Usa del Monsanto Protection Act (Atto di protezione Monsanto, in cui si legalizza l’assenza di controlli su ogm), approvato dal presidente Barack Obama nonostante 250 mila persone abbiano firmato una petizione per chiedere di annullare la legge di protezione (una prova in più, se già non ce ne fossero a sufficienza, che le petizioni rivolte agli stessi carnefici o amici dei carnefici, servono a poco, se non a nulla).

 Una manifestazione mondiale

L’appello a manifestare contro la Monsanto è stato accolto da migliaia di persone, da Parigi à Los Angeles, dalla capitale del Burkina Faso, Ouagadougou,  a Rio de Janeiro in Brasile, così come cortei di protesta si sono svolti in Austria, Olanda, Regno Unito, Germania e Russia.
Il prodotto faro della Monsanto, l'erbicida Round Up, è stato recentemente classificato come «probabilmente cancerogeno» dall'agenzia per gli studi sul cancro dell'Organizzazione Mondiale della Sanità. Contro quest’erbicida continuamente commerciato senza riserve, ed in maniera generale contro OGM, pesticidi ed altri prodotti chimici, si sono mobilitati i manifestanti a Parigi, imitati in altre città francesi come Rennes, dove un cartello recitava «Voglia di un piccolo suicidio collettivo? Abbiate il riflesso Round Up». In Francia persone di tutte le età hanno chiesto l’obbligo di evidenziare nelle etichette di prodotti di provenienza estera i contenuti provenienti da OGM o ricavati da animali nutriti con OGM, e che i pesticidi responsabili della silenziosa ma inquietante morte delle api, denunciati da Greenpeace, siano messi al bando.
A Strasburgo i manifestanti hanno osservato un minuto di silenzio davanti al Parlamento Europeo, in « in omaggio alle vittime d’oggi e di domani avvelenate dai pesticidi ». In Svizzera si sono svolte manifestazioni a Bâle e a Morgues, dove Monsanto possiede la propria sede per l'Europa, proteste sono avvenute in Africa e in Medio Oriente, manifestanti hanno protestato sotto il sole della California, a Los Angeles, e in Burkina Faso, solo Paese dell'Africa occidentale ad aver sperimentato la cultura del cotone transgenico in campo aperto, i manifestanti d’Ouagadougou hanno richiesto alle autorità del proprio Paese «una moratoria di almeno dieci anni » per organizzare delle «ricerche indipendenti» sugli OGM.  A Rio de Janeiro i manifestanti hanno intonato canti in cui accusavano Monsanto di «bioterrorismo», mentre in Cile le proteste hanno chiesto la chiusura delle industrie Monsanto presenti nel Paese e la fine della produzione di cibi geneticamente modificati.

In Italia piazze vuote, la Monsanto finanzia l’Expo

Nessuna manifestazione degna di nota, invece, si è svolta in Italia. Un invito su facebook proponeva un appuntamento a Roma, in via Marsala, ma chi è arrivato ha trovato i poliziotti e nemmeno l'ombra di una manifestazione che non c'è stata perché ufficialmente non c'erano i permessi e le persone presenti erano troppo poco numerose per imporre una manifestazione non autorizzata. Questo, forse, significa che nessuna delle associazioni per la difesa dell’ambiente in Italia si è attivata per organizzare un pur minimo presidio nella capitale.
Eppure di motivi, anche in Italia,  ce ne sono in abbondanza per protestare su quest’argomento. Lo Iarc, l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, ha inserito il pesticida glifosato della Monsanto tra i potenziali cancerogeni e, mentre questo accadeva, il governo Pd del premier  Renzi si  è pronunciato per un piano per l’uso “sostenibile” dei prodotti chimici in agricoltura.
Inoltre la Commissione Europea ha preparato il terreno per il TTIP (Il Trattato transatlantico per il commercio e gli investimenti, accordo commerciale di libero scambio in corso di negoziato del 2013 tra L’Unione Europea e gli Stati Uniti d’America):. entro maggio saranno approvati nuovi prodotti OGM che gli Stati potrebbero non riuscire a vietare.
Molte associazioni che si battono ogni giorno contro la devastazione dell’ambiente e a favore dell’agricoltura biologica sono presenti con stand e materiale all’Expo di Milano, inaugurato il 1 maggio scorso, fra le proteste della piazza. Una vetrina internazionale finanziata da  Coca Cola, McDonald, Nestlé e Monsanto.
E’ necessario che chi si batte giornalmente per un mondo diverso, per preservare le future generazioni dalla catastrofe, rimanga dall’altra parte della barricata, cioè nelle piazze che in questi giorni hanno protestato contro le multinazionali della morte. E’ necessario che i comitati e le associazioni che si battono quotidianamente per la difesa dell’ambiente contribuiscano alla costruzione di un largo movimento di massa, un movimento che unisca chi si batte per la difesa dell’ambiente e contro l’ingordigia delle multinazionali, con chi si batte contro la privatizzazione della scuola pubblica, la difesa della sanità, per la difesa dei posti di lavoro,  come ha tentato di fare la parte migliore della protesta scesa in piazza il 1 maggio scorso a Milano.
E’ necessario denunciare che non si può sperare di “nutrire il pianeta”, e soprattutto nutrirlo in modo sano, partecipando alle vetrine internazionali pagate con il denaro sporco di sangue delle vittime di chi questo pianeta lo distrugge ogni giorno per il profitti di pochi capitalisti.
E’ necessario, per vincere,  oggi come sempre nella storia, scendere in piazza uniti.


                      Donne in Lotta No Austerity

                      


sabato 23 maggio 2015

andate all' EXPO mi raccomando........APRITE GLI OCCHI....


Schimidheiny sapeva di uccidere, giudicatelo!



Claudio Carrer 
 tratto dal sito www.areaonline 




Quando è chiamato a rendere conto davanti alla giustizia per i danni causati con la sua attività di industriale dell’amianto, Stephan Schmidheiny non si fa mai vedere: preferisce mandare avanti i suoi avvocati, perché lui si difende dai processi e non nei processi. Se n’è avuta conferma la settimana scorsa nelle prime udienze preliminari al Tribunale di Torino, che entro luglio stabilirà se Mister Eternit dovrà essere processato per omicidio volontario, così come chiede la Procura di Torino in relazione alla morte di 258 persone vittime dell’amianto disperso negli ambienti di lavoro e di vita dalle sue fabbriche tra la metà degli anni Settanta e la metà degli anni Ottanta, cioè quando lui era il massimo dirigente della multinazionale svizzero-belga.
 «Imputato Schmidheiny Stephan Ernst»: il giudice dell’udienza preliminare (gup) Federica Bompieri incomincia l’appello pronunciando il nome del miliardario svizzero, non ottiene risposta, prende atto della sua assenza e congeda l’interprete. «Anche per le prossime udienze», aggiunge. Schmidheiny non c’è e non ci sarà, ma la prima fase dell’ “Eternit bis” può incominciare. E come era stato il caso nel primo grande processo (conclusosi sei mesi or sono con la clamorosa sentenza della Corte di cassazione che ha annullato la condanna a 18 anni per intervenuta prescrizione del reato di disastro ambientale), la difesa del magnate svizzero chiede tempo, solleva eccezioni, contesta l’ammissibilità di soggetti costituitisi parte civile e si lascia andare in dichiarazioni clamorose.
Come quella secondo cui la celebrazione di un processo per omicidio volontario aggravato costituirebbe una «violazione dei diritti umani di Stephan Schmidheiny». Promovendo questa accusa, i pubblici ministeri Gianfranco Colace e Raffaele Guariniello avrebbero ignorato il principio (sancito dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo) del “ne bis in idem”, secondo cui nessuno può essere giudicato due volte per gli stessi fatti. «Fatti che sono gli stessi del processo precedente», sostengono gli avvocati Astolfo Di Amato e Carlo Alleva augurandosi che il gup dichiari l’accusa inammissibile a decida l’archiviazione del procedimento. «A noi sembra una forzatura. In Piemonte è in corso una caccia alle streghe suscettibile di essere strumentalizzata in chiave politica. Schmidheiny non è un assassino. In qualità di pioniere dell’abbandono dell’amianto, e grazie alla sua responsabile gestione industriale, ha preservato dai pericoli migliaia di persone», affermano i due principi del foro, ribadendo che Schmidheiny, «a dispetto della nuova azione penale», protrarrà il «programma umanitario in corso dal 2008 a favore delle effettive vittime della catastrofe dell’amianto», cioè i tentativi di sfoltire il numero di parti civili a colpi di indennizzi di poche decine di migliaia di euro per ogni morto.

Certo, gli avvocati di Schmidheiny, come tutti, fanno il mestiere per cui sono pagati (e anche molto) dal loro cliente, ma certe affermazioni non possono che suonare offensive all’orecchio dei malati e delle persone che piangono un familiare o un amico morto soffocato dalle polveri di amianto. Perché loro sono quelli che le “violazioni” le hanno subite e le subiscono per davvero, perché sono le donne e gli uomini di Casale Monferrato, la città martire già sede del più grande stabilimento Eternit, che ancora oggi a trent’anni dalla chiusura della fabbrica continua a contare un morto e una nuova diagnosi di mesotelioma alla settimana. Molti di loro hanno intrapreso la trasferta a Torino per assistere al primo atto di questo nuovo capitolo giudiziario della tragedia: «La nostra gente chiede solo giustizia. La decisione della Cassazione è stata un colpo allo stomaco, una batosta, molti di noi non credono più nella giustizia italiana, sono sfiduciati. Ma è giusto continuare a combattere», dice Bruno Pesce, coordinatore dell’Afeva, l’Associazione familiari e vittime dell’amianto e leader storico delle battaglie sindacali e civili in difesa della salute dei lavoratori e dei cittadini. Gli fa eco la carismatica presidente Romana Blasotti Pavesi, 86 anni, cinque familiari morti ammazzati dalla fibra killer: «Pretendiamo giustizia. I criminali vanno puniti e le vittime non devono essere dimenticate».
Sono 258 (ma il numero potrebbe crescere nel corso del processo) gli omicidi contestati da Guariniello e Colace. Omicidi volontari aggravati dai motivi abietti (la volontà del profitto) e dall’uso di un mezzo insidioso (l’amianto), le cui vittime sono ex dipendenti e comuni cittadini di Casale Monferrato (Alessandria), Cavagnolo (Torino), Rubiera (Reggio Emilia) e Bagnoli (Napoli), tutte città già sede di stabilimenti Eternit. Secondo i magistrati, Schmid­heiny era perfettamente a conoscenza dei tumori mortali provocati dall’amianto ma fece poco o nulla per modificare le «enormemente nocive condizioni di polverosità» nelle fabbriche, portando avanti una politica aziendale che provocò una «immane esposizione ad amianto di lavoratori e cittadini», si legge nel capo d’imputazione. «Per mero fine di lucro decise di continuare le attività» e anzi, come ampiamente accertato nell’ambito della prima indagine, si rese addirittura protagonista di una «sistematica e prolungata campagna di disinformazione» tesa a sminuire i rischi e a rassicurare così i lavoratori.
Un comportamento che configura il reato di omicidio volontario, nella forma del cosiddetto “dolo eventuale”, che è dato quando qualcuno prevede le conseguenze (in questo caso la morte) del proprio agire ma non fa nulla per prevenirle.
«È stata la Cassazione a dirci che nel processo precedente avremmo dovuto procedere per omicidio o per lesioni. Questo ci ha dato un’ulteriore spinta per andare nella direzione di un nuovo processo con un nuovo capo d’accusa», spiega Raffaele Guariniello al termine della prima udienza preliminare.
Il fatto che i giudici dell’Alta Corte abbiano indicato così esplicitamente quale fosse il tipo di reato da contestare (l’omicidio e non il disastro) e annullato la sentenza della Corte d’appello di Torino dovrebbe escludere il rischio del “ne bis in idem”, anche secondo gli avvocati delle vittime. E quello della prescrizione che dopo anni di indagini e di processi ha già mandato una volta tutto in fumo, a partire dai risarcimenti alle vittime? Spiega l’avvocato Sergio Bonetto: «Questo rischio è quasi pari a zero se reggerà l’accusa di omicidio volontario. Se invece venisse derubricata in omicidio colposo forse resterebbero nel processo solo i casi di decesso più recenti. In ogni caso, è molto improbabile che questo processo finisca nel nulla».
Toccherà al gup Federica Bompieri decidere al termine delle 14 udienze previste se rinviare a giudizio Stephan Schmidheiny davanti ad una Corte d’Assise (composta di due giudici di carriera e di sei giudici popolari) o se archiviare l’inchiesta. La decisione è attesa entro la prima metà di luglio.