martedì 31 marzo 2015

DAL SITO CORTOCIRCUITO

LA CGIL E LE OPPORTUNITÀ DEL TTIP..WHAT ELSE?
“Il ricorso al sistema degli ammortizzatori sociali e l’opera di mediazione dei sindacati confederali, che hanno consolidato la propria immagine di ‘riferimento essenziale’ per la maggior parte dei contesti occupazionali, si sono ribaditi efficaci strumenti di difesa della coesione sociale”                                                                                                           (RELAZIONE sulla politica dell’informazione per la sicurezza, Presidenza del Consiglio dei Ministri, 2014)

La storia della CGIL è un lungo ed ininterrotto filo rosso. Di vergogna, si intende. Dal mancato ingresso di Baldesi, uno dei dirigenti dell’allora CGL, nel governo diretto da Benito Mussolini all’indomani della Marcia su Roma, eventualità sventata dal veto delle destre, alla costante funzione di pompiere sociale svolta nei momenti di maggiore tensione politica. Nel 1993, poi, con la firma dei protocolli sulle relazioni sindacali, divenuti comunemente noti come “concertazione”, il sindacato confederale ha smesso di essere rappresentate di una parte della società, i lavoratori ovviamente, per diventare espressione della comunità tutta, il paese, giungendo così alla straordinaria contraddizione di essere garante degli interessi di classe invece di, almeno parzialmente, combatterli.

Detto altrimenti, non servirebbero certo stralci delle relazioni commissionate dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri per comprendere lo storico ruolo svolto dalla principale confederazione sindacale italiana. Questi, al massimo, sono l’ennesima conferma di quanto abbiamo spesso sottolineato sulle pagine virtuali di questo sito. Allo stesso modo, le iniziative messe in campo della CGIL non dovrebbero mai costituire una sorpresa. Sono la costante dimostrazione dell’instabile equilibrio nel quale si trova un’organizzazione che mentre proclama a parola il benessere e gli interesse di lavoratori e pensionati, persegue nei fatti una funzione di costante mediazione al ribasso con i rappresentanti del capitale.
Ciò detto, vi sono situazioni nelle quali la miseria politica, intellettuale, ed umana della CGIL non può passare inosservata. Un plastico esempio è fornito dall’incontro programmato per lunedì 16 marzo alle ore 15,00 a Firenze nella sede regionale della CGIL in via Pier Capponi 7. Il titolo dell’iniziativa potrebbe bastare a rendere bene l’idea di cosa stiamo parlando: “What Else? TTIP: Mercato Unico Europa-Usa Opportunità e Rischi”. Ovviamente chi è entrato in contatto con la campagna di contro-informazione messa in campo dai tanti comitati locali nati contro l’approvazione del Trattato, conosce benissimo chi sono i destinatari delle opportunità (multinazionali ed il grande capitale in genere) e dei rischi (lavoratori e strati meno abbienti della società) contenuti nel TTIP. Forse però anche un rapido sguardo a coloro che parteciperanno all’iniziativa è sufficiente a comprenderne i caratteri generali. Si va dal “padrone di casa” Alessio Gramolati, segretario generale CGIL Toscana, al Console generale degli Stati Uniti a Firenze, Abigail Rupp, fino a giungere al Prof. Mario Deaglio, noto soprattutto per essere marito di una certa Elsa Fornero.

 Questa è la CGIL.
 Il sindacato, però, è un’altra cosa.

ARTICOLO TRATTO DAL SITO :
http://www.inventati.org/cortocircuito/2015/03/16/la-cgil-e-le-opportunita-del-ttip-what-else/

lunedì 30 marzo 2015

Pirelli, un altro pezzo di industria se ne va




Dopo l'acquisizione dell’azienda da parte di ChemChina, quello che appare sempre più insopportabile è il sordo silenzio del governo su questa come su tante altre vicende simili
Guardando alle cose con il distacco del tempo appare evidente quanto il ruolo di Cuccia e della sua Mediobanca sia stato nefasto per il sistema industriale italiano.
Da una parte la stessa banca interveniva soltanto nel caso delle grandi strutture, lasciando a se stessa invece la media e piccola impresa, dall’altra essa stava esclusivamente attenta a mantenere la presa del potere delle grandi famiglie sulle aziende, trascurando invece di sostenere queste ultime nei loro processi di sviluppo e di innovazione. Così la famiglia Pirelli era riuscita a mantenere il controllo sul gruppo omonimo possedendo la proprietà soltanto dello 0,7% del capitale complessivo.
Questo avveniva attraverso la creazione di società a cascata –le famose scatole cinesi; ironia della sorte, adesso a comprare l’azienda è proprio una società del Paese di Mezzo-, i famigerati patti di sindacato, infine il sostegno finanziario delle banche “di sistema”.
Ed è ancora con l’appoggio di Mediobanca che la Pirelli intraprende maldestramente nel 1991 l’operazione che sarà all’origine dei guai del gruppo, il tentativo di assalto alla tedesca Continental. L’operazione costò molti soldi che la società tra l’altro non aveva di suo e l’acquisizione fallì a suo tempo miseramente. Un altro guaio che essa lascerà in eredità al gruppo è costituita dalle dimissioni di Leopoldo Pirelli, che aveva avviato l’operazione e la sua sostituzione nel 1992 con il genero, Marco Tronchetti Provera.
Oggi il mondo di Mediobanca non esiste più e le imprese della galassia sono ridotte a ben povera cosa; la Fiat è scappata all’estero, in attesa che qualcuno se ne impadronisca, l’Olivetti ha chiuso i battenti, la Pirelli, sempre più ridimensionata nel tempo, passa ai cinesi. Di altre imprese del famigerato capitalismo di relazione, come quella della famiglia Orlando, non si sente più parlare.

Nel frattempo Mediobanca, assediata anche dalla concorrenza, mentre potrebbe diventare anch’essa preda di qualche finanziere asiatico, è diventata una banca come le altre ed essa è ridotta a fare una pubblicità oscena in televisione per attirare l’attenzione di qualche casalinga, lodando le pretese virtù di “Che Banca”. La cugina Assicurazioni Generali, “compagna di merende” nelle varie operazioni, si è ritirata nel fortino assicurativo e di patti di sindacato non vuole più sentire parlare.
E torniamo a Tronchetti Provera. Messo in sella dalla crisi Continental è subito costretto a coprire il buco tedesco vendendo i primi gioielli di famiglia, le attività diversificate. Poi giustamente egli vuole sbagliare di suo ed ecco l’avventura di Telecom Italia, sempre con il sostegno di Mediobanca; da tale storia la Pirelli esce di nuovo con le ossa rotte e nel contempo caricando l’azienda telefonica di debiti tali che essa non se ne è ancora liberata. Inoltre, la Pirelli è costretta nel 2005 a vendere l’intero settore dei cavi. Seguirà l’avventura di Pirelli Re, poi Prelios, operante nel settore immobiliare; anche tale business procurerà altri guai al grande manager milanese e soprattutto alla sua impresa.
Per un po’ egli è riuscito comunque a mantenere il controllo del gruppo grazie ancora al sostegno delle banche di sistema, ma poi non ce la ha fatta più e ha dovuto ricorrere prima ai russi ed ora ai cinesi.
Mancavano in effetti, ormai, le risorse finanziarie per stare al passo in un settore in cui sarebbero necessari importanti investimenti.
Comunque il nostro manager esce sempre abbastanza bene dalle varie vicende, almeno a livello di finanze personali. Tra stock option ordinarie e straordinarie, dividendi più o meno opportuni, adeguate remunerazioni del suo brillante lavoro di capo del gruppo, egli riesce a portare a casa nel tempo quasi altrettanti soldi del più illustre Marchionne.
Mentre va sottolineato con curiosità il fatto che egli manterrà la carica di amministratore delegato ancora per diversi anni anche con la nuova gestione, per quanto riguarda il merito dell’operazione di acquisizione dell’azienda da parte dei cinesi di ChemChina, essa, vista la situazione di partenza, ci appare alla fine sotto una luce positiva.

Non vogliamo entrare nelle complesse articolazioni tecniche della cessione, né nei suoi possibili sbocchi finanziari alternativi nel prossimo futuro. I cinesi, nelle acquisizioni che sino ad oggi hanno fatto in Europa e nel nostro paese, sembrano comportarsi in maniera accettabile; essi tendono a diventare un azionista di lungo periodo e a sviluppare i business di cui si impadroniscono, approfittando in particolare del possibile inserimento delle imprese acquisite nel grande mercato del loro paese. Ed anche il comportamento sulle questioni sindacali non sembra essere fra i peggiori. Più in generale, l’operazione sembra avere una connotazione fortemente industriale.
Quello che appare sempre più insopportabile è invece intanto il sordo silenzio del governo su questa come su tante altre vicende simili e la quasi totale assenza di ogni strategia di gestione delle operazioni industriali di rilievo, mentre con tali acquisizioni noi diventiamo sempre più marginali come paese e la nostra manifattura continua a perdere quote di mercato nel mondo. Colpisce inoltre, anche, la totale assenza dell’imprenditoria italiana, che, di fronte alla messa sul mercato di tante società nazionali, non riesce a manifestare quasi mai alcun interesse a partecipare alla contesa, neanche insieme a qualche partner estero, segno anche questo di un paese non più in grado di reagire in alcun modo alla vendita pezzo a pezzo del suo apparato economico.
Attendiamo con impazienza la prossima cessione. Sarà Telecom Italia, la Saipem, la Fincantieri? I forzieri dei cinesi sono inesauribili e sino ad oggi abbiamo solo visto gli spiccioli. E’, per altro verso, in atto una grande ristrutturazione degli assetti economici e finanziari mondiali, che vede il paese asiatico come principale protagonista e l’Europa come uno spettatore distaccato.

 ARTICOLO DI VINCENZO COMITO
TRATTO  DAL SITO  www.sbilanciamoci.info

domenica 29 marzo 2015

Disastro Pirelli, le colpe dei padroni e un governo assente.

Intervento di Vincenzo Comito

La liquidazione del sistema della grande impresa
Per molti decenni dopo la fine della seconda guerra mondiale la Fiat, l’Olivetti, la Pirelli, hanno costituito, nel bene e nel male, la punta avanzata del grande capitalismo italiano, sia a livello produttivo, che tecnologico, organizzativo, finanziario, che anche, infine, a quello in senso generale di tipo culturale. Vale la pena ricordare come tali gruppi, in particolare Fiat e Pirelli, siano anche state al cuore delle grande lotte operaie della fine degli anni sessanta e di quelle del decennio successivo.
Ma dobbiamo ormai constatare come la Olivetti abbia cessato da molto tempo di esistere, la Fiat sia sostanzialmente scappata verso altri lidi e forse sarà prima o poi assorbita dalla General Motors, mentre la Pirelli, dopo vicende molto tormentate durate diversi decenni, sia appena stata venduta ai cinesi.
Le storie ricordate appaiono essere il simbolo più evidente della ormai sostanziale liquidazione del sistema della grande impresa italiana. Oltre alle aziende che hanno chiuso i battenti, non appare necessario fare per i nostri lettori l’elenco, ampiamente noto, delle società cedute al capitale estero negli ultimi anni, elenco che appare molto lungo ed aperto ancora certamente a nuovi brillanti capitoli; non sarà certo il nostro amabile governo a porre degli ostacoli al fenomeno.
In tale fallimento epocale è difficile dire se le colpe maggiori stiano a livello del sistema imprenditoriale nazionale, di quello finanziario o di quello politico.

Le colpe dei padroni
A livello di sistema imprenditoriale, ricordiamo che nella storia d’Italia, come in quella europea, come ci ricordano alcuni storici, si sono verificati più volte dei “tradimenti della borghesia”. Il caso del crollo del sistema industriale del nostro paese, che in pochi anni, tra l’altro, ha perso il 25% della sua consistenza quantitativa, insieme ad una fuga quasi generalizzata dalle proprie responsabilità, oggi è uno di quelli.
Guardiamo soltanto ad alcuni aspetti relativi ai mali della nostra classe padronale. L’”accumulazione primitiva” del capitale nel nostro paese nel dopoguerra è stata fatta per una parte consistente attraverso la speculazione fondiaria ed immobiliare; si acquistava del terreno agricolo, si pagava qualcosa a qualche politico, si otteneva così facilmente la trasformazione in terreni edificabili ed il gioco era fatto. Comunque poi larga parte dei profitti, come mostrano i dati soprattutto in alcuni periodi, andavano in impieghi finanziari, o venivano spediti clandestinamente all’estero; restava relativamente poco per impieghi produttivi in patria. Molte imprese non sono state capaci così di reggere la concorrenza internazionale, rifugiandosi per sopravvivere in mercati protetti o praticando la collusione con i loro concorrenti. Di fronte ad altre imprese in vendita, poi, quasi mai hanno avuto il coraggio o la volontà di farsi avanti per rilevarle.
Un caso di scuola dei disastri della nostra classe imprenditoriale è stato quello di Marco Tronchetti Provera. Diventato grande capitalista per meriti solo matrimoniali, avendo a suo tempo sposato la figlia del padrone, si è trovato a prendere le redini del gruppo in una situazione difficile, quando il vecchio Lepoldo Pirelli aveva maldestramente, con il sostegno altrettanto maldestro di Mediobanca, cercato invano di acquisire la tedesca Continental.
Così il nuovo boss è stato costretto, per far quadrare i conti dell’operazione, a cedere una prima fetta dell’impero. Poi egli ha voluto perdere in proprio, inserendosi nell’operazione Telecom ed in quella del settore immobiliare attraverso la Prelios. Ne è uscito con le ossa rotte in entrambi i casi, contribuendo anche a mettere in gravi difficoltà la Telecom, riempiendola di debiti. E’ stato così progressivamente costretto a vendere tutti i gioielli di famiglia.
Purtroppo il grande manager esce ora ancora in piedi dall’operazione con i cinesi, perché ha ottenuto di restare amministratore delegato per qualche anno; siamo sicuri che da tale posizione egli difenderà gli interessi nazionali… quelle delle banche
A livello di sistema finanziario, vogliamo, tra l’altro, ricordare il ruolo nefasto avuto per diversi decenni dal gruppo Mediobanca, con il suo celebrato capo Cuccia, che governava sostanzialmente il mondo bancario; tale istituto ha operato per decenni, con i suoi grandi mezzi, non per aiutare a sviluppare e a modernizzare le nostre grandi imprese, ma soltanto per puntellare la presa delle grandi famiglie su di esse. Così è potuto succedere che la famiglia Pirelli, ad un certo punto, riuscisse a controllare il gruppo omonimo essendo proprietaria soltanto dello 0,7% del totale del suo capitale.
Più di recente le grandi banche, Intesa San Paolo e Unicredit, hanno investito 230 milioni di euro nella finanziaria che controlla la Pirelli, la Camfin, per permettere ancora una volta a Tronchetti Provera di tenere le redini dell’azienda con solo il 4% circa del capitale totale. E intanto mancano i soldi per finanziare le imprese piccole e medie meritevoli.
E quelle del governo
A livello di intervento pubblico, infine, i successivi governi hanno del tutto trascurato di intervenire con delle strategie lungimiranti di sostegno al settore industriale; in compenso mentre hanno rifiutato a suo tempo di sostenere i processi di sviluppo di Olivetti nel settore tecnologico, sono invece prontamente intervenuti per salvare le fabbriche di panettoni in difficoltà; essi hanno regalato per molti anni alla Fiat enormi quantità di denaro pubblico, non esigendo nulla in cambio, neanche quando il gruppo ha deciso di cambiare paese.
A partire poi dagli anni novanta si è articolato un massiccio programma di privatizzazioni che ha portato delle nostre grandi imprese che investivano, facevano ricerca, accrescevano l’occupazione, a ridurre del tutto tali attività e a contribuire così ad impoverire il paese.
Esso si rifiuta oggi di articolare una qualsiasi strategia di risposta alla fuga all’estero del controllo delle nostre imprese. C’è alla base un oltranzismo ideologico neoliberista. Ma mentre, ad esempio, in Gran Bretagna, toccata dallo stesso virus, ad un ingresso massiccio dei capitali stranieri nelle imprese locali corrisponde un altrettanto massiccio livello di investimenti delle imprese locali all’estero, da noi non c’è assolutamente alcuna reciprocità.
L’operazione in atto
Qualche cenno all’operazione di cessione in se. Il destino dell’impresa Pirelli, in mancanza anche di un intervento pubblico di qualche rilievo, era segnato da tempo; essa opera infatti in un mercato sempre più competitivo e globalizzato, detenendo relativamente deboli quote di mercato e senza risorse finanziarie per avviare una politica di sviluppo aggressivo. Senza entrare nel merito dei complessi dettagli tecnici dell’operazione, va sottolineato che quella dell’impresa che si è fatta avanti per acquisire l’azienda milanese, la ChemChina, potrebbe alla fine risultare una scelta positiva. I cinesi si distinguono normalmente, tra gli investitori esteri, per essere dei padroni abbastanza responsabili e comunque essi potrebbero essere in grado di rilanciare anche fortemente le attività del gruppo inserendolo in particolare nel vastissimo mercato cinese, come è avvenuto in altri casi del genere.
Da un altro punto di vista, si tratta del più grande investimento cinese nel nostro paese. C’è da credere che nella nostra attuale situazione tale primato sarà presto facilmente battuto.
Resta l’amaro in bocca per questo continuo stillicidio di attività il cui controllo esce fuori dal perimetro nazionale ed ubbidisce a logiche che prima o poi potrebbero venire in conflitto con gli interessi del paese e dei lavoratori.


sabato 28 marzo 2015

Endomarch 28 marzo2015, Roma

VOLANTINO DELL’ASSOCIAZIONE VITA INDIPENDENTE ONLUS

No a vetrine sulla pelle dei disabili
Siamo cittadine e cittadini disabili che, nonostante le disabilità, vogliono condurre ciascuna e ciascuno una vita con un grado di libertà comparabile con quello delle altre persone. Quindi, possiamo dire che per noi la Costi-tuzione italiana, soprattutto nei suoi articoli 2 e 3, è essenziale, anche se tutt'altro che sufficiente.
Per questo fondamentale motivo, riteniamo di dover stare sulla stessa barca di tutte e tutti coloro che lottano per la difesa della Costituzione e l'affermazione e l’ampliamento dei diritti di ogni essere umano e contro la logica distruttiva.
La disabilità è un punto centrale dell’attacco allo stato sociale. Gli attac-chi alle condizioni di vita dei disabili hanno sempre fatto da apripista allo smantellamento di diritti e tutele per settori sempre più ampi della società intera.
Non vogliamo che la società e coloro che detengono il potere ai vari livel-li continuino a ignorarci. Rivendichiamo il nostro essere parte integrante della società e il nostro diritto alla pari dignità ed eguaglianza.
L’indicatore del benessere di una società è dato non dal tenore di vita di piccole minoranze (altrimenti, ad esempio, l’India sarebbe uno dei paesi più benestanti del pianeta) ma è dato dal rispetto dei diritti della parte di popolazione che incontra maggiori difficoltà.
In Toscana, patria del renzismo, stanno prendendo decisioni il cui effetto concreto è rendere più breve la vita di chi ha gravi disabilità. Questo agire attivamente per far sì che altri vivano il meno possibile è una forma di o-micidio. Di fronte a ciò, è da ritenere che la legittima difesa sia senza dubbio un diritto, ma anche un dovere. Prima di tutto, dovere di chi è vit-tima di questo odio verso la vita, che vuol comunque fiorire nonostante talune difficoltà. Ma dovere anche per tutte le persone intelligenti.
I dittatori che causarono il disastro immane della seconda guerra mon-diale fecero poi una brutta fine. Anziché fare gli intelligentoni o affidarvisi, è importante sforzarci di coltivare l’intelligenza.
Quel periodo terribile per l'Europa e per il mondo intero iniziò proprio ammazzando i disabili perché costavano troppo. Sia chiarissimo: oggi i metodi sono molto più raffinati e meno cruenti, però alla fine sono sempre i disabili a morire per primi. Ci vogliono portare a morte precoce rinchiuden-doci negli istituti, negandoci servizi essenziali alla libertà e dignità di ciascuna e ciascuno di noi e umiliandoci con un po' di elemosina.
Riflettiamo tutti bene perché oggi a noi, domani a molti.
Associazione Vita Indipendente ONLUS <avitoscana@avitoscana.org> 055/256053 www.avitoscana.org

DOCUMENTO DI DENUNCIA
La democrazia che non c’è
La Questura ha impedito ad un piccolo gruppo di disabili gravi – 4/5 persone in carrozzina – di esprimere il proprio pensiero e di condividerlo con la cittadinanza in piazza Signoria mediante il volantino che alleghiamo.
Cinque persone in carrozzina non costituiscono un problema di sicurezza o di ordine pubblico. Se si arriva a bloccare un piccolo gruppo di disabili, significa che le istituzioni della Repubblica non sono mai state così deboli e che la democrazia per cui tanti partigiani diedero la vita è già fortemente deteriorata.Chiediamo agli organi di informazione di pubblicare integralmente il testo del volantino e di dare la più ampia diffusione alla notizia.

Associazione Vita Indipendente ONLUS via Pisana, 36b Scandicci www.avitoscana.org - tel. 055256053

Campagna contro la repressione nei luoghi di lavoro

Le realtà che aderiscono al coordinamento No Austerity
fanno appello a sostenere una

CAMPAGNA CONTRO LA REPRESSIONE
NEI LUOGHI DI LAVORO

 FERMIAMO LA REPRESSIONE,
RIVENDICHIAMO TUTELE E DIRITTI

La repressione che colpisce chi combatte contro le ingiustizie del sistema socio-economico si configura oggi come un'azione punitiva sistematica, particolarmente cruenta sui posti di lavoro, dove vengono colpite le avanguardie di lotta tramite ricatti, provvedimenti disciplinari e licenziamenti politici.
Il sistema padronale vuole convincere le persone che il lavoro sia un privilegio, reprimendo i diritti e colpendo ogni libero dissenso con la forza, pretendendo più flessibilità e sottomissione sia tramite l'apparato normativo, sia per mezzo di contratti di lavoro cinici e brutali, concordati con dirigenti sindacali troppo spesso complici dei padroni (in questo contesto si spiega l'accordo vergogna del 10 Gennaio tra Cgil-Cisl-Uil e Confindustria).
Le riforme del lavoro varate dal Governo Renzi, tutte volte a scaricare il peso della crisi sulle spalle dei lavoratori, aggravano ulteriormente la situazione, riducendo le tutele e generando nuova precarietà.
Le prime vittime della repressione nei luoghi di lavoro sono gli immigrati, le donne e gli attivisti sindacali combattivi. Gli immigrati, a causa delle leggi razziste, sono costretti a subire condizioni di lavoro disumane (si pensi alla diffusione del caporalato nel sistema delle cooperative) e attacchi xenofobi. Le donne quotidianamente si scontrano con atteggiamenti maschilisti che, sotto il ricatto del licenziamento, sempre più spesso si configurano come molestie e violenze. Gli attivisti sindacali combattivi, soprattutto con l'applicazione dei nuovi accordi sulla rappresentanza, perdono le tutele sindacali nei luoghi di lavoro e sono i più esposti alla rappresaglia padronale.

PERTANTO IL COORDINAMENTO NAZIONALE NO-AUSTERITY FA APPELLO
A TUTTI GLI ATTIVISTI, ALLE ORGANIZZAZIONI SINDACALI, POLITICHE,
ALLE ASSOCIAZIONI A IMPEGNARSI PER:

* Sostenere attivamente e unitariamente i lavoratori e gli attivisti colpiti da provvedimenti repressivi, tanto dalle aziende come dallo Stato (ad esempio il caso degli arresti dei militanti No-Tav), anche attraverso il sostegno alle casse di resistenza a favore delle vittime della repressione. 
* Lottare per il ripristino di un sistema normativo che consenta ai lavoratori di difendersi dalle vessazioni e dai soprusi aziendali, tutelandoli dai licenziamenti indiscriminati e strumentali e garantendone il reintegro del posto di lavoro. Abolizione del Jobs Act e della controriforma Fornero dell'art. 18!
* Esigere la cancellazione dai contratti di lavoro delle clausole di fedeltà aziendale e quelle che impediscono il libero dissenso e la libertà di espressione dei lavoratori.
* Combattere la precarietà generalizzata e vergognosa di questo Paese, perseguendo la necessità di lavoro stabile e sicuro per tutti. Assunzione a tempo indeterminato di tutti i precari!
* Perseguire l'abbassamento generalizzato del monte ore nei contratti di lavoro, la limitazione del lavoro straordinario e l'abbassamento generalizzato dell'età pensionabile quali strumenti primari per favorire la piena occupazione nel paese. Lavorare meno lavorare tutti!
* Mobilitarsi per una reale democrazia nei posti di lavoro e contro l'Accordo Vergogna sulla Rappresentanza, voluto dai sindacati concertativi e dai padroni, che attacca le libertà di espressione e dissenso e limita il diritto di sciopero.
* Supportare unitariamente le lotte per il lavoro, contro il cinismo, l'arrivismo e le speculazioni dei padroni, impegnandosi per garantire sicurezza e dignità del lavoro; diffondere nei territori la solidarietà e la mobilitazione.
* Esigere la cancellare le leggi antisciopero nel pubblico impiego e nei cosiddetti servizi essenziali (dai trasporti alla sanità), che impediscono ai lavoratori e alle lavoratrici di esercitare realmente il diritto di sciopero, obbligandoli a subire passivamente le misure di privatizzazione e di austerity imposte dal governo. No ai nuovi decreti su scuola e pubblico impiego che inaspriscono il sistema disciplinare interno, potenziano il ruolo dei dirigenti e introducono divisioni tra i lavoratori funzionali a renderli più ricattabili e licenziabili!
* Contrastare attivamente, nei luoghi di lavoro e nella società, ogni forma di razzismo e maschilismo, mezzi utilizzati dai padroni per creare divisioni funzionali a indebolire le lotte.

Potete leggere qui la lista delle realtà sindacali e di lotta
che promuovono la campagna

http://www.coordinamentonoausterity.org/index.php?mod=none_News_bkp&action=viewnews&news=top_1425755231

Vi chiediamo di mandare la vostra adesione individuale
(indicando città, eventuale lavoro, eventuale sindacato o organizzazione di appartenenza) scrivendo a

info@coordinamentonoausterity.org

oppure cliccando qui:
http://www.coordinamentonoausterity.org/firmaappellonorepressionelavoratori/

 E' particolarmente importante mandare adesioni di realtà collettive (sindacati, comitati, associazioni, organizzazioni), per questo vi chiediamo di discutere i contenuti della campagna
coi vostri colleghi e compagni di lotta.
 Le realtà che aderiscono al coordinamento No Austerity sono disponibili a sostenere e organizzare con voi iniziative contro la repressione nei luoghi di lavoro:
scriveteci e seguite lo sviluppo della campagna sul nostro sito.

SOLO UNITI E SOLIDALI POSSIAMO VINCERE

www.coordinamentonoausterity.org

info@coordinamentonoausterity.org

lunedì 23 marzo 2015

YES MAYDAY #NOEXPO



CORTEO INTERNAZIONALE DEL PRIMO MAGGIO A MILANO / STREET DEMO ON INTERNATIONAL WORKERS’ DAY IN MILAN


Da Milano all’Europa: primo maggio 2015 tutta  Milano, capitale della crisi

Al settimo anno di crisi, l’orgoglio precario si è tramutato in rabbia e indignazione per la disoccupazione dilagante e l’immiserimento crescente che le politiche di austerità, dettate da BCE, Fmi e tutta l’eurocrazia, hanno imposto alla maggioranza della popolazione, particolarmente in Italia, Grecia e nel resto dell’Europa Latina. Massacro sociale, saccheggio di ricchezza e beni comuni, fine della città pubblica, sono i tratti comuni delle soluzioni imposte per rispondere alla crisi.

L’intero spazio urbano è oggi fulcro di tensioni non controllabili, dominato dalla rendita e dalla spirale speculativa, dal consumo di suolo e dalla formula della città vetrina, in cui il brand territoriale è tutto e i bisogni degli abitanti nulla: dalla distruzione del territorio e la militarizzazione della vita dei suoi abitanti, come succede in Val Susa, fino all’attacco ai quartieri popolari delle nostre città.
Anche l’Italia subisce sulla pelle viva della popolazione la precarizzazione delle vite, la repressione e la chiusura degli spazi di attivismo e critica politica, la devastazione e lo sfruttamento dei territori e di tutte le forme senzienti che li rendono vivi. In linea con i suoi omologhi europei e con i suoi predecessori, Renzi ha definitivamente dichiarato guerra agli abitanti delle città e dei territori. Il sigillo di questo attacco è la sospensione del Primo Maggio, a beneficio dell’uno maggio inaugurale di Expo 2015, l’Esposizione Universale figlia di questi processi e poteri, che proprio il 1° maggio si autocelebreranno a Milano alla faccia di tutte e tutti quelli che vengono quotidianamente sfruttati con condizioni di lavoro e di vita degradanti e umiliati con il free job.
Le scelte e le azioni della governance di Expo e della crisi sono aggressioni violente verso i giovani, i migranti, i lavoratori e i poveri. A questo si aggiunge una narrazione tossica, che ricicla sponsor imbarazzanti (CocaCola, Nestlè, McDonald’s), e legittima con la loro presenza governi dittatoriali e stati come Israele e le sue politiche contro il popolo palestinese. Così come nocivo e specista è il modello di sostenibilità e alimentazione che Expo propone, distruttivo per l’eco-sistema e basato sul dominio umano sulle altre specie viventi.
Respingiamo questo clima, rimandiamo questi attacchi al mittente. Costruiamo una convergenza di blocchi sociali uniti dalla volontà di smettere di subire e tornare a contrattaccare. Per questi motivi, in contemporanea con l’apertura dei cancelli di Expo2015, la rete metrolombarda Attitudine NoExpo e l’opposizione sociale italiana lanciano questo appello. Dal 2001 il Primo Maggio a Milano è MayDay Parade, parade delle precarie e dei precari insorgenti e queer.
Ma il 1° maggio 2015 sarà anche di più: un corteo internazionale gioiosamente e lucidamente incazzato, ribelle, popolare che attraversi il centro di Milano, capitale della crisi e della precarietà, vetrina per Expo, ribadendo che ExpoFaMale e che noi lo sciopereremo, che gratis non si lavora, che le ricette di Renzi e della Trojka non ci piacciono, solidali coi lavoratori della Scala sotto ricatto per la Turandot e con le migliaia di persone che il 1° maggio 2015 saranno costrette a lavorare, in barba a ogni norma e sentenza.
Chiediamo a tutte le studentesse e gli studenti, a tutte le precarie e i precari, a tutte le disoccupate e i disoccupati, a tutte le migranti e a tutti i migranti, ai lavoratori e alle lavoratrici, agli artisti e alle artiste di strada, a tutte le attiviste e attivisti d’Europa e del Mondo, di unirsi a noi in un gigantesco corteo e di partecipare alle iniziative che abbiamo previsto a Milano dal 29 aprile al 3 maggio con il seguente programma:

29 APRILE MILANO SI OPPONE ALLA MARCIA FASCISTA- coordinamento Fascisti e Razzisti No Grazie
30 APRILE: CORTEO STUDENTESCO NAZIONALE- INIZIO CAMPEGGIO INTERNAZIONALE NOEXPO che durerà fino al 3 maggio con dibattiti e workshop

1 MAGGIO: #NOEXPOMAYDAY
2 MAGGIO: MOBILITAZIONI DIFFUSE CONTRO EXPO

3 MAGGIO: ASSEMBLEA PLENARIA GENERALE di lancio della mobilitazione per i 6 mesi di Expo
e DAL 3 MAGGIO IN AVANTI: 6 MESI DI #ALTEREXPO! conflitto, incontro e alternativa contro il modello Expo e oltre i grandi eventi
IL PRIMO MAGGIO 2015 TUTTI/E A MILANO #NOEXPOMAYDAY

MAYDAY, MAYDAY!
Da Milano ad Atene, da Istanbul a Kobane, da Berlino a Madrid, da New York a Melbourne since 1886, the Workers’ World Expo

I compagni e le compagne della Rete Attitudine Noexpo

domenica 22 marzo 2015

VIVA IL MADE IN ITALY


Renzi e Tronchetti Provera festeggiano la svendita di Pirelli ad un gruppo cinese a controllo statale. Renzi dice di credere che la proprietà dei gruppi industriali non conta. Tronchetti ha preferito trattare con i cinesi invece di attivare il Fondo strategico italiano, nato proprio per salvare il Made in Italy. L'interesse nazionale e il lavoro italiano vengono sacrificati da politici incompetenti ed industriali interessati solo al loro profitto personale.

sabato 21 marzo 2015

Pirelli è quasi cinese

Tronchetti: “Entro il weekend si chiude”




Atteso a ore il via libera all’accordo per l’operazione di riassetto che porterà il controllo della Bicocca nelle mani di China National Chemical Corporation, la più grande società chimica di proprietà statale sotto il controllo del Sasac. All'ex presidente di Telecom è già stata garantita la poltrona per cinque anni
“Entro il weekend si chiude. Ci sono ancora dei passi da fare”. Questa l’asciutta dichiarazione di Marco Tronchetti Provera nelle ore in cui si sta definendo l’ennesimo nell’azionariato di Pirelli che dopo l’intermezzo genovese e quello russo si prepara a diventare cinese. L’ex presidente di Telecom Italia, al quale come nei precedenti passaggi sarebbe già stata garantito il mantenimento della poltrona di capoazienda fino al 2021, ha parlato all’uscita dalla sede di Camfin, la scatola con cui controlla la società degli pneumatici insieme a Intesa Sanpaolo e Unicredit oltre che ai russi di Rosneft. Pirelli resterà italiana? “Finché non ci saranno i comunicati non posso dire nulla”, ha risposto.

Fatto sta che sul tavolo delle parti c’è il via libera, atteso a ore, all’accordo per l’operazione di riassetto che attraverso un’Opa che valorizza Pirelli 7,15 miliardi di euro (15 euro per azione) porterà il controllo della Bicocca nelle mani di China National Chemical Corporation, detta anche ChemChina, cioè la più grande società chimica di proprietà statale sotto il controllo del Sasac (State-owned Assets Supervision and Administration Commission). Tra le partecipate conta Aeolus Tyre, tra i primi 20 produttori di pneumatici al mondo con una produzione di circa 5,5 milioni di pneumatici all’anno. E, secondo quanto emerso nei giorni scorsi, entrerebbe nel gruppo italiano attraverso una società di nuova costituzione nella quale Tronchetti e soci apporterebbero il loro 26% circa della Bicocca che al prezzo fissato vale 1,87 miliardi di euro. A seguire il lancio dell’Opa sul 100 per cento del capitale. Il mercato, però, sembra già ritenere il prezzo troppo basso, visto che in scia alla notizia il titolo Pirelli venerdì è arrivato oltre il prezzo dell’offerta atteso, ma non ancora formalizzato, chiudendo a 15,23 euro.

Di ufficiale, in ogni caso, per ora c’è che Pirelli venerdì mattina ha dichiarato “di non essere stata fino ad oggi destinataria di alcuna comunicazione formale circa il lancio di offerte pubbliche di acquisto”, mentre Camfin dice che “le trattative sono in corso” e che l’obiettivo è “garantire stabilità, autonomia e continuità nel percorso di crescita nel tempo del gruppo Pirelli che manterrebbe gli headquarter in Italia”. Oltre a far sapere appunto che l’operazione comporterebbe “il trasferimento dell’intera partecipazione detenuta da Camfin (26,2% circa) ad un prezzo di euro 15 per azione a una società italiana di nuova costituzione, controllata dal partner industriale internazionale con un contestuale reinvestimento di Camfin in detta società”.  Inoltre, “se finalizzato il trasferimento, l’offerta pubblica di acquisto verrebbe lanciata sulla totalità delle azioni di Pirelli al medesimo prezzo di 15 euro per azione”.
Si tratterebbe di un’operazione che segna un cambio di passo nell’avanzata dei capitali cinesi verso l’Italia, che finora sono andati in quote di minoranza di grandi gruppi come nel caso di Ansaldo Energia, Cdp Reti, Enel, Eni, Fiat,  Saipem, Mediobanca, Generali, Telecom, Prysmian, oppure in società di taglia più piccola come il gruppo nautico Ferretti o il marchio Krizia. Quanto all’italianità, quella di Pirelli è da tempo molto limitata, non solo per il recente ingresso dei russi di Rosneft nell’azionariato, ma anche per la produzione che vede la presenza nella Penisola di due soli stabilimenti su 19. In ogni caso per il viceministro dello Sviluppo Economico, Claudio De Vincenti, quello che confonde Eni ed Enel, “l’importante è che Pirelli rimanga una grande impresa radicata nel nostro Paese che sviluppa la competitività dell’Italia nel mondo. Se questa operazione va in questa direzione adesso è prematuro dirlo, vedremo”. D’altra parte era stato il premier, Matteo Renzi, in occasione della sua visita a Pechino del giugno scorso ad invocare “più forti investimenti” cinesi in Italia, confermando la linea di favore del governo all’arrivo di capitali stranieri nel nostro sistema economico.
Articolo tratto dal sito : 

lunedì 16 marzo 2015

APPELLO CONTRO LA REPRESSIONE

La repressione che colpisce chi combatte contro le ingiustizie del sistema socio-economico si configura oggi come un'azione punitiva sistematica, particolarmente cruenta sui posti di lavoro, dove vengono colpite le avanguardie di lotta tramite ricatti, provvedimenti disciplinari e licenziamenti politici.
Il sistema padronale vuole convincere le persone che il lavoro sia un privilegio, reprimendo i diritti e colpendo ogni libero dissenso con la forza, pretendendo più flessibilità e sottomissione sia tramite l'apparato normativo, sia per mezzo di contratti di lavoro cinici e brutali, concordati con dirigenti sindacali troppo spesso complici dei padroni (in questo contesto si spiega l'accordo vergogna del 10 Gennaio tra Cgil-Cisl-Uil e Confindustria).
Le riforme del lavoro varate dal Governo Renzi, tutte volte a scaricare il peso della crisi sulle spalle dei lavoratori, aggravano ulteriormente la situazione, riducendo le tutele e generando nuova precarietà.
Le prime vittime della repressione nei luoghi di lavoro sono gli immigrati, le donne e gli attivisti sindacali combattivi. Gli immigrati, a causa delle leggi razziste, sono costretti a subire condizioni di lavoro disumane (si pensi alla diffusione del caporalato nel sistema delle cooperative) e attacchi xenofobi. Le donne quotidianamente si scontrano con atteggiamenti maschilisti che, sotto il ricatto del licenziamento, sempre più spesso si configurano come molestie e violenze. Gli attivisti sindacali combattivi, soprattutto con l'applicazione dei nuovi accordi sulla rappresentanza, perdono le tutele sindacali nei luoghi di lavoro e sono i più esposti alla rappresaglia padronale.

PERTANTO IL COORDINAMENTO NAZIONALE NO-AUSTERITY FA APPELLO A TUTTI GLI ATTIVISTI, ALLE ORGANIZZAZIONI SINDACALI, POLITICHE, ALLE ASSOCIAZIONI A IMPEGNARSI PER:
-Sostenere attivamente e unitariamente i lavoratori e gli attivisti colpiti da provvedimenti repressivi, tanto dalle aziende come dallo Stato (ad esempio il caso degli arresti dei militanti No-Tav), anche attraverso il sostegno alle casse di resistenza a favore delle vittime della repressione.
-Lottare per il ripristino di un sistema normativo che consenta ai lavoratori di difendersi dalle vessazioni e dai soprusi aziendali, tutelandoli dai licenziamenti indiscriminati e strumentali e garantendone il reintegro del posto di lavoro. Abolizione del Jobs Act e della controriforma Fornero dell'art. 18!
-Esigere la cancellazione dai contratti di lavoro delle clausole di fedeltà aziendale e quelle che impediscono il libero dissenso e la libertà di espressione dei lavoratori.
-Combattere la precarietà generalizzata e vergognosa di questo Paese, perseguendo la necessità di lavoro stabile e sicuro per tutti. Assunzione a tempo indeterminato di tutti i precari!
-Perseguire l'abbassamento generalizzato del monte ore nei contratti di lavoro, la limitazione del lavoro straordinario e l'abbassamento generalizzato dell'età pensionabile quali strumenti primari per favorire la piena occupazione nel paese. Lavorare meno lavorare tutti!
-Mobilitarsi per una reale democrazia nei posti di lavoro e contro l'Accordo Vergogna sulla Rappresentanza, voluto dai sindacati concertativi e dai padroni, che attacca le libertà di espressione e dissenso e limita il diritto di sciopero.
-Supportare unitariamente le lotte per il lavoro, contro il cinismo, l'arrivismo e le speculazioni dei padroni, impegnandosi per garantire sicurezza e dignità del lavoro; diffondere nei territori la solidarietà e la mobilitazione.
-Esigere la cancellazione delle leggi antisciopero nel pubblico impiego e nei cosiddetti servizi essenziali (dai trasporti alla sanità), che impediscono ai lavoratori e alle lavoratrici di esercitare realmente il diritto di sciopero, obbligandoli a subire passivamente le misure di privatizzazione e di austerity imposte dal governo. No ai nuovi decreti su scuola e pubblico impiego che inaspriscono il sistema disciplinare interno, potenziano il ruolo dei dirigenti e introducono divisioni tra i lavoratori funzionali a renderli più ricattabili e licenziabili!
-Contrastare attivamente, nei luoghi di lavoro e nella società, ogni forma di razzismo e maschilismo, mezzi utilizzati dai padroni per creare divisioni funzionali a indebolire le lotte.

Aderiscono:

Cub Toscana
Fiom Ferrari
Flmuniti-Cub Ferrari
Si.Cobas Esselunga di Pioltello
Lavoratori delle cooperative in lotta
Donne in Lotta No Austerity
Associazione Terra Nuestra Donne Immigrate
Rsu Fiom OM Carrelli Bari
Operai Marcegaglia di Casalmaggiore
Operai Same di Treviglio
Operaie Jabil-Nokia di Cassina de' Pecchi
Rete di sostegno attivo Jabil-Nokia-Siemens
Attivisti Cub Vicenza
Coordinamento Migranti di Verona
Movimento No Tem
Operai Fiat Irisbus - Resistenza Operaia
Coordinamento Operai Cub Pirelli (Bollate)
Rete operaia Val Seriana
Coordinamento Pugliese Lavoratori in Lotta
Coordinamento Scuola Mantova
Precari della scuola in lotta Modena
Voci della Memoria - Comitato No Eternit
Cub Sanità Cremona
Usb P.I. Vimodrone
Cub Sur Modena
Cub Caltanissetta
Il sindacato è un'altra cosa - Opposizione Cgil (Cremona)
Cub Sanità Salerno dell'AOU Ruggi d'Aragona
ALP/Cub -Associazione Lavoratori Pinerolesi aderente alla Cub
Flmuniti Cub Parma
Allca-Cub Bolzano
Rsa Fisac-Cgil Equitalia Nord - Cremona
Rsu Fiom La protec di S.Giovanni in croce
Associazione Terra Nuestra (Donne Immigrate)
Confederazione sindacale USI
Donne in Lotta di No Austerity


PER ADESIONI : info@coordinamentonoausterity.org

domenica 15 marzo 2015

NO ALL'ACCORDO SULLA RAPPRESENTANZA

CHE COS'E' IL TESTO UNICO SULLA RAPPRESENTANZA?
Il 10 gennaio 2014 i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil hanno firmato, insieme con i rappresentanti di Confindustria, un accordo ("Testo unico sulla rappresentanza", esito finale di un percorso iniziato con l'Accordo Interconfederale del 28 giugno 2011 e il Protocollo 31 maggio 2013) che azzera la democrazia sindacale nelle aziende private, cancellando il diritto di rappresentanza sindacale per i sindacati conflittuali. Per ora si tratta di un accordo che vincola solo le organizzazioni firmatarie, ma è prevedibile che l'intenzione del governo sia quella di elaborare una legge che ne riprenda gli assi fondamentali, con forti limitazioni del diritto di sciopero per tutti i sindacati (firmatari e non firmatari).
In cosa consiste questo accordo? Vediamone gli aspetti fondamentali:
a) Fino ad oggi, tutti i sindacati (sia Cgil, Cisl e Uil, sia i sindacati di base e conflittuali) avevano diritto di partecipare alle elezioni rsu, seppure con vincoli antidemocratici (dato che una quota pari a 1/3 degli eletti era assegnata d'ufficio ai confederali indipendentemente dall'esito delle votazioni). D'ora in poi, questo non sarà più possibile: il testo dell'accordo dice infatti che, nel mondo del lavoro privato, potranno partecipare alle elezioni rsu (oltre che alla contrattazione collettiva) solo i sindacati che "accettino espressamente, formalmente e integralmente i contenuti del presente accordo, dell'Accordo Interconfederale del 28 giugno 2011 e del Protocollo 31 maggio 2013". Questo significa che tutti i sindacati conflittuali che si oppongono a questo accordo liberticida perdono qualsiasi diritto di rappresentanza sindacale nelle aziende. E' quello che è già accaduto nelle fabbriche del gruppo Fiat (con l'applicazione del "modello Marchionne"), dove i sindacati non firmatari del contratto (indipendentemente dal loro peso tra i lavoratori) sono stati esclusi dalla rappresentanza sindacale. Oggi questo modello è esteso a tutte le aziende di tutti i settori! Per fare un esempio, questo significa che se in un'azienda la maggioranza dei lavoratori sostiene un sindacato che non ha condiviso questo accordo, quei lavoratori non avranno diritto a eleggere loro rappresentanti rsu (né tantomeno di nominare proprie rsa)! Non solo, i padroni non avranno più nessun obbligo di accettare deleghe (cioè iscrizioni) di sindacati che non firmano il presente accordo, con conseguente espulsione dei sindacati non firmatari dalle aziende.
b) Laddove un sindacato decidesse di sottoscrivere questo accordo, per avere garantito il diritto di rappresentanza sindacale e per tentare di accedere alla contrattazione collettiva, automaticamente dovrebbe rinunciare al diritto di sciopero e di azione conflittuale. Se un sindacato firma l'accordo, avrebbe garantito il diritto di partecipare alle elezioni rsu (per accedere alla contrattazione collettiva dovrà invece dimostrare di rappresentare almeno il 5% dei lavoratori di un settore, come media tra il numero di iscritti al suo sindacato e il numero di rsu). A che prezzo però? Prima di tutto, sarà compito delle aziende certificare le iscrizioni al sindacato: in altre parole, si chiede a chi rappresenta la controparte del sindacato di occuparsi di gestire le iscrizioni al sindacato stesso. E' evidente che questo significherà un controllo totale da parte delle aziende sull'attività sindacale.
Laddove un contratto aziendale fosse sottoscritto dal 50% + 1 delle rsu, né i sindacati firmatari dell'accordo né le rsu potranno più organizzare iniziative di sciopero e di lotta contro quell'accordo. Solo nel caso della presenza di rsa, sarà necessario anche sottoporre l'accordo a un referendum (e i referendum in Fiat ci insegnano che questo strumento non è affatto democratico nel momento in cui i lavoratori sono sottoposti al ricatto del licenziamento e non vedono alternative possibili). Lo stesso meccanismo varrà anche per i contratti nazionali di categoria. I sindacati firmatari che organizzeranno azioni di sciopero o di lotta contro un contratto che non hanno approvato potranno subire sanzioni economiche (multe) e la soppressione di tutti i diritti sindacali. Non solo: non sarà nemmeno più possibile organizzare proteste o scioperi durante le trattative!
Si tratta di un accordo liberticida, che cancella i più elementari diritti, come quello di scioperare contro accordi che non si condividono. Se subiremo questo accordo senza combattere, è facile prevedere quale sarà la prossima mossa di Confindustria e del governo: cercheranno di trasformare questo accordo in legge. In quel caso, il divieto di scioperare verrebbe esteso a tutti i sindacati e a tutti i lavoratori, firmatari o non firmatari.
RESPINGIAMO QUESTO ACCORDO!
1. Facciamo appello a tutti i sindacati che hanno espresso contrarietà a questo accordo anzitutto a rifiutarsi di firmarlo in ogni istanza (nazionale, di categoria, aziendale), per garantire l'esistenza di sindacati conflittuali nel nostro Paese.
2. Pensiamo che questo accordo potrà essere respinto solo se si organizza una grande azione di lotta unitaria, con l'avvio di una campagna di controinformazione nei luoghi di lavoro e in tutte le città, con iniziative di protesta davanti alle sedi di Cgil, Cisl e Uil, con azioni di contrasto sul piano giuridico ma anche e soprattutto con una mobilitazione prolungata.
3. Un primo passo importante potrebbe essere un incontro nazionale tra tutte le organizzazioni sindacali, politiche e di movimento che vogliono difendere il diritto di sciopero e di libera organizzazione sindacale, mettendo da parte pulsioni settarie e autoreferenziali, per pianificare un percorso di lotte fino al ritiro dell'accordo.
PER L'ABOLIZIONE DELLA LEGGE 146/90!
4. Per favorire l'unità di tutti i settori lavorativi, pensiamo che sia necessario coniugare la campagna contro il Testo unico sulla rappresentanza con una mobilitazione per chiedere il ritiro della Legge 146/90. Si tratta di una legge valida nel pubblico impiego, ma che viene (spesso arbitrariamente) estesa anche a settori del privato in quanto riguarda i cosiddetti "servizi essenziali" (è noto il caso dei lavoratori della Granarolo, che sono stati licenziati per aver scioperato in un ambito, quello della distribuzione del latte, che, pur essendo privato, è stato giudicato dalla Commissione di garanzia degli scioperi "servizio essenziale"). E' una legge che svuota di significato lo strumento dello sciopero, perché vieta per legge lo sciopero prolungato, obbliga le organizzazioni sindacali a comunicare con largo anticipo alla controparte la volontà di scioperare, costringe di fatto a fare solo scioperi simbolici, che non possono ottenere nulla!
DIFENDIAMO IL DIRITTO DI SCIOPERO!
Spesso i sindacati concertativi in questi anni, sia nel pubblico che nel privato, hanno utilizzato lo sciopero solo per fingere dissenso, mentre, contemporaneamente, siglavano accordi dannosi per i lavoratori: il risultato è stato che molte ore di sciopero sono state fatte (con conseguenti decurtazioni salariali e stipendiali in busta paga) senza vantaggi per i lavoratori. Anzi, spesso i lavoratori sono stati chiamati a scioperare a sostegno di accordi per loro dannosi: in tantissime aziende in crisi, i lavoratori hanno scioperato per giorni o settimane contro i licenziamenti, ma le direzioni dei loro sindacati hanno tradito questa disponibilità alla lotta, siglando accordi che accettavano di fatto i licenziamenti (cassa integrazione straordinaria, cassa in deroga, mobilità, ecc.). Il risultato di questo è sotto gli occhi di tutti: le condizioni di lavoro, sia nel privato che nel pubblico impiego, sono fortemente peggiorate, con perdita del potere d'acquisto dei salari e disoccupazione di massa. Tutto ciò ha contribuito a radicare tra i lavoratori un sentimento diffuso circa "l'inutilità degli scioperi".
Ma la storia ci insegna, invece, che se usato come strumento di lotta e di conflitto, se i lavoratori scioperano uniti, lo sciopero è un'arma fortissima nelle mani dei lavoratori per respingere gli attacchi dei governi e dei padroni. Recentemente, i lavoratori dei trasporti di Genova e Firenze ci hanno dimostrato, organizzando uno sciopero prolungato nel settore pubblico, che se i lavoratori lottano uniti è anche possibile rompere le regole e strappare risultati.
Non dobbiamo aspettare che sia la magistratura o qualche forza parlamentare a difendere il diritto di sciopero: devono essere i lavoratori e le loro organizzazioni ad attivarsi per respingere gli attacchi di Confindustria e del governo. Solo con l'unità di tutte le organizzazioni dei lavoratori potremo creare quell'ampio fronte di lotta e di resistenza che oggi serve per respingere al mittente tagli, licenziamenti, privatizzazioni, attacchi ai diritti democratici. Uniti si vince!
No Austerity - Coordinamento delle lotte

http://www.coordinamentonoausterity.org

LETTERA APERTA AI LAVORATORI DELLA PIRELLI DI BOLLATE

Bollate, 12 marzo 2015 


Cari colleghi,

Nei giorni nostri purtroppo si è diffusa l’idea che basti una votazione per essere in democrazia, ma la democrazia, ossia il potere del popolo, il vostro potere, va costruita e coltivata giorno per giorno, altrimenti il risultato è quello che abbiamo vissuto fino ad oggi. Parliamo di cose gravissime, che mortificano la sovranità democratica dei lavoratori, come tre seggi su nove riservati a CGIL, CISL e UIL; come l’esclusione della CUB dalle trattative e il divieto d’ingresso in azienda al nostro funzionario (a proposito, che fine hanno fatto le vostre 207 firme sulla nostra petizione?); come la designazione dei tre Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS) senza neanche informare coloro che sarebbero i RAPPRESENTATI (la comunicazione è stata data diversi mesi dopo su nostra insistenza); come la sostituzione in seguito a dimissioni di un delegato senza nessuna comunicazione né ai lavoratori, né alla commissione elettorale; come le importanti votazioni, dove non è stato disposto lo scrutinio segreto, e qua ci fermiamo per decenza.
Si dirà che ci sono sempre state questioni “più importanti”, che le nostre sono solo questioni di forma che riguardano solo un’esigua minoranza dei lavoratori. Non è così, cari colleghi. Commette un gravissimo errore di valutazione chi pensa che la battaglia per la democrazia sia una battaglia per la CUB. La democrazia è il cordone ombelicale che lega un’istituzione alla base che la esprime, se questo cordone viene reciso, verrà meno la sovranità popolare: si inizia dalle fabbriche e si arriverà alla società. Partiti, sindacati, istituzioni e padroni esisteranno sempre, cambieranno nome e forma, ma
continueranno ad esistere. I diritti una volta perduti non esisteranno più.



Il nostro è stato un percorso di lotta e di partecipazione, un’occasione di crescita sindacale e personale che ci ha visto impegnati in Pirelli come in molte altre realtà lavorative, dove speriamo di essere riusciti a costruire un’alternativa sindacale che abbia dato un valore aggiunto ai lavoratori.
Ai nostri iscritti, come ai nostri simpatizzanti, chiediamo di BOICOTTARE queste elezioni, in quanto disciplinate da un accordo interconfederale tra Confindustria, Confcooperative e le organizzazioni sindacali confederali CGIL, CISL, UIL e UGL firmato il 10 gennaio 2014 che contrarrà, di fatto, le già deboli dinamiche democratiche nelle fabbriche e in tutti i luoghi di lavoro del settore privato.
Nello specifico:

·         Impedisce ai lavoratori il diritto di scegliere liberamente i propri rappresentanti.
·         Nega agibilità sindacali e diritto di espressione ai sindacati e agli attivisti non collaborativi.

·         Attribuisce solo alle oo.ss sottoscrittrici dell’accordo la facoltà di avviare la procedura d’indizione delle elezioni.

·         Fa decadere dal ruolo di delegati coloro che cambiano tessera sindacale.

·         Sanziona economicamente e con perdita di agibilità sindacali le RSU e le oo.ss che scioperano contro accordi precedentemente firmati.

·         Sanziona economicamente e con perdita di agibilità sindacali le RSU e le oo.ss che scioperano durante le trattative.

Migliaia di lavoratori sia dei sindacati di base sia all’interno della CGIL stessa si sono opposti con forza a quest’ accordo.
Noi, seppure con quest’accordo avremmo potuto ambire a due delegati per via del sistema proporzionale puro, rinunciamo a seggi e permessi sindacali (di cui vi abbiamo sempre reso conto) e a tutte le altre agibilità sindacali nell’interesse esclusivo dei lavoratori, che troveranno nel nostro coordinamento un soggetto sindacale libero dai poteri forti.
Prima di andare a votare chiedetevi se sia giusto un sistema che fa scegliere i sindacati ai padroni anziché ai lavoratori; chiedetevi se sia giusto un sistema dove i padroni concedono le rappresentanze a patto che queste non siano conflittuali; domandatevi, infine, se è questo il mondo del lavoro che volete lasciare ai vostri figli.
Vent’anni di concertazione ci hanno indebolito privandoci di diritti e di potere d’acquisto. È ora di invertire questa tendenza involutiva.
Noi del Coordinamento Cub continueremo la battaglia per il nostro riconoscimento negli organi di rappresentanza, affinché coloro che rappresentiamo abbiano diritto ad avere, in proporzione al consenso elettorale emanato, uno o più delegati, e affinché tutte le organizzazioni liberamente scelte dai lavoratori abbiano le medesime agibilità sindacali.
Uscire dalla RSU non sarà l’ultima pagina della nostra vicenda sindacale, ma la prima di un nuovo capitolo che ci vedrà presenti e protagonisti nella vita di fabbrica.
Mentre gli accordi interconfederali ci escludono, la legge ci consente ancora di indire sciopero, difendere i lavoratori nelle contestazioni disciplinari e fare volantinaggio fuori dai cancelli.
Non avremo più permessi sindacali, ma abbiamo sempre avuto e continueremo ad avere tanta volontà e passione!

NON LEGITTIMATE COL VOSTRO VOTO LA MORTE DELLA DEMOCRAZIA SINDACALE
ASTENETEVI ALLE ELEZIONI PER IL RINNOVO DELLA RSU


Coordinamento Cub Pirelli Bollate


immagini varie