lunedì 30 gennaio 2017

Comunicato di solidarietà ad Aldo Milani e Si Cobas dell' USI-AIT sez. prov. di Milano

RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO ARTICOLO DA : BLOG DI ADCUBERTINELLI

                               LA SOLITUDINE DEI LAVORATORI


Il Lavoro… quale misterioso anagramma più rappresentativo dei giorni nostrani – nazionali. L’occupazione è stata fonte di ispirazione – nascita e diffusione per circolari,  leggi, decreti legge, manovre economiche, riviste, quotidiani, periodici, enti, movimenti sindacali  e numerosi libri. Apparentemente, la somma di questi elementi, della nostra società contemporanea, farebbe pensare alla circostanza sistemica che quando un individuo o gruppi di persone restano senza occupazione entrano in meccanismo di tutela attraverso il quale non si resta da soli. Nulla di piu’ errato! Certo è innegabile che qualche piccolo ammortizzatore sociale esista ma crediamo senza dubbio di smentita che sia sola una goccia d’acqua in un arido e vasto deserto. Ma come trovarlo suddetto miracoloso miraggio – oasi  lavorativa !? Partiamo, per esempio, dai centri per l’impiego ubicati sulla nostra Penisola: alcune statistiche ci dicono che gli operatori che vi lavorano siano circa 10.000 e che i soggetti che riescono attraverso questo apparato istituzionale a ricollocarsi nel mondo del lavoro sia di poco superiore al 2% degli iscritti totali che hanno dato, come da prassi, dichiarazione di immediata disponibilità all’attività lavorativa. Indubitabilmente l’introduzione del lavoro temporaneo, disciplinata dalle legge M.Biagi 2003 ha nel corso del tempo fatto venire meno la funzione – sociale  dei Centri  per l’impiego. Il lavoro ad interim fù auspicato anche come forma di liberarizzazione del mercato del lavoro in regime di libera concorrenza, circostanza che ci  veniva indotta anche da norme statutarie europee (art.82-86) del trattato della comunità economica. Malgrado ciò e nonostante il numero dei ricollocati nel mondo lavorativo – attivo attraverso l’indotto interinale sia di poco superiore al doppio dei ricollocati tramite tradizionale centro impiego, rimane pertanto una quota insufficiente a far fronte alle legittime e bibliche aspettative degli inoccupati di lungo e breve periodo. Appare pacifico, del resto, che anche l’attuale contesto sociale abinato alla poca valenza sindacale non sia fonte di aiuto e di riferimento  per chi si trova senza occupazione e soprattutto per tutti quei soggetti che si trovano a dover affrontare vertenze collettive magari di delocalizzazione o motivate da presunte o  reali spending review aziendali – statali. Ma come si è arrivati alla crisi di rappresentanza del movimento sindacale? Parafrasando la più classica delle domande è indubitabilmente quella da un milione di dollari e le risposte potrebbero risultare esteriormente frutto di scontata retorica, non per noi di Adcu Bertinelli evidentemente.

Appare chiaramente innegabile che i tempi del boom economico italiano intervallati dal ventennio (anni 50 – 70) è lontano milioni di anni luce ma è  proprio alla fine di predetto arco temporale che negli anni 70/80  si collocano le più rilevanti lotte operaie dello scorso secolo nella maggiori città industrializzate del Nord Italia, Milano,Genova e Torino furono laboratori che fecero da volano per molte altre città del bel Paese. In suddetto contesto si misero in luce i consigli di fabbrica, luogo ideale per confrontarsi su salario,orario di lavoro e punto di riferimento per le organizzazioni sindacali. Il rispetto per il diritto e la dignità personale furono rivendicati con forza e determinazione dagli stessi lavoratori con scioperi massicci, molto spesso ad oltranza.Oggi tuttò ciò per certi versi appare arcano, illusionistico e utopistico anche anche per evidenti responsabilità sindacali che hanno perso, tranne rare eccezioni,  i geni della conflittualità e rivendicazione un tempo intrinsechi, base e nucleo del loro stesso DNA. La solitudine dei lavoratori, titolo anche di un libro del 2012, si fà poi fitta come un banco di nebbia quando è espressione di iniziativa di lotta al sistema ricatto – paura singola o di  iniziativa di pochi singoli o gruppi di  persone. I datori di lavoro, ma anche taluni comparti  dei sindacati confederali,non di rado complici, hanno puntato tutto il loro sistema verticistico sulla sottile linea della paura: o si fà così o si rimane a casa senza un euro in tasca.E c’e’ poi chi, nonostante tutto ciò, con coraggio e determinazione và avanti contro tutto e tutti per la propria dignità, per lo stesso rispetto di se stessi e dei propri principi e ideali.Ebbene se tale condizione avversa al sistema potere si verifica le conseguenze per il singolo sono spesso devastanti, si viene colpiti,isolati e molto spesso ammoniti dagli stessi sindacati che dovrebbero tutelarti e rappresentare le tue istanze e i tuoi naturali diritti personali.Si viene, inevitabilmente, ostacolati e combattuti per farne un esempio da significare agli altri: colpisci chi si ribella per educare tutti gli altri e indurli al silenzio e alla condizione della  rinuncia.

domenica 29 gennaio 2017

Aldo Milani: La solidarietà della ALLCA-CUB

Comunicato di Solidarietà ad Aldo Milani del S.I. Cobas

L' ALLCA CUB condanna la campagna di fango orchestrata a danno del S.I.  Cobas e in definitiva contro l'intero sindacalismo conflittuale, che in questo caso ha visto coinvolto Aldo Milani con l' accusa di estorsione.
Apparati dello Stato assieme ai mezzi di informazione hanno voluto attaccare le lotte che hanno più inciso negli ultimi tempi, le lotte della logistica, mobilitazioni che hanno dato più di un grattacapo ai padroni.
Con il passare del tempo la verità sta venendo a galla: risulta sempre più un tranello per fermare chi non è in vendita e non disponibile a fermarsi di fronte all' attacco padronale.
Esprimiamo la nostra piena solidarietà e ci impegniamo a sostenerli in questa vertenza.



Milano, 30 gennaio 2017

martedì 17 gennaio 2017

8 marzo: Appello a tutti i sindacati!

Appello a tutti i sindacati confederali, di base e autonomi: l'8 Marzo 
fermiamo il mondo per dire no alla violenza maschile sulle donne

Siamo le donne che hanno costruito la grande mobilitazione nazionale 
dello scorso 26-27 novembre che ha visto scendere in piazza più di 
duecentomila persone.

Con lo slogan Non Una di Meno ci siamo rimesse in marcia contro la 
violenza maschile sulle donne insieme a tutt* coloro che hanno 
riconosciuto questa lotta imprescindibile per la trasformazione radicale 
dell'esistente.

La manifestazione ha ribadito che la violenza è un problema strutturale 
delle nostre società e agisce in ogni ambito della nostra vita. Il 
femminicidio è la punta dell'iceberg, l'epilogo tragico di una catena di 
discorsi e atti, simbolici e concreti, che dalla casa al posto di 
lavoro, dalla scuola all'università, negli ospedali e sui giornali, nei 
tribunali e nello spazio pubblico tende ad annientarci.

Sappiamo come la violenza sulle donne si esprime in una molteplicità di 
agiti/piani: nella disparità salariale; nelle tante discriminazioni sui 
posti di lavoro, nei luoghi della formazione e della ricerca; nello 
sfruttamento del lavoro domestico e di cura, sottopagato e gratuito; nel 
ricatto della precarietà; nella privatizzazione della salute e dei 
servizi; nella negazione della libertà di scelta e 
dell'autodeterminazione, nella violenza ostetrica e medica, 
nell'obiezione di coscienza dilagante, nella squalificazione del nostro 
ruolo e della nostra dignità.

Ma siamo altrettanto consapevoli - e dobbiamo farlo capire a molti - del 
peso che le donne, più della metà della popolazione mondiale, hanno nei 
processi economici, sociali,culturali, produttivi e riproduttivi, e 
della forza di mobilitazione trasformativa che possono esprimere e 
stanno esprimendo in tutto il mondo.

Le giornate del 26 e 27 Novembre sono state solo l’inizio di un percorso 
di lotta, di elaborazione, di trasformazione, dunque, perché sentiamo 
fortemente il bisogno che tutto questo non rimanga sul piano 
esclusivamente simbolico.

Per questo abbiamo fatto nostro l'appello delle donne argentine alla 
costruzione di uno SCIOPERO INTERNZIONALE DELLE DONNE PER IL PROSSIMO 8 
MARZO. Una giornata in cui rivendicare la nostra forza agendo la nostra 
sottrazione/astensione da ogni funzione produttiva e riproduttiva che ci 
riguardi.

Si tratta di un esperimento inedito in Italia che ha come riferimenti 
più prossimi gli scioperi delle donne argentine e polacche dei mesi 
scorsi. E' una sfida che lanciamo per rimettere al centro, dopo il 26 e 
il 27 novembre, il protagonismo delle donne contro la violenza 
psicologica, fisica, sociale, economica, politica e culturale, perché 
“Se le nostre vite non valgono, allora ci fermiamo”.

Chiediamo, quindi, a tutti i sindacati confederali, di base e autonomi, 
in particolare a tutti quelli che hanno aderito alle giornate del 26 e 
del 27 Novembre, di mettersi al serviziodella mobilitazione delle donne 
e di indire lo sciopero generale per la giornata dell'8 Marzo 2017, 
essere strumento utile allo sciopero e non ostacolo all'adesione delle 
lavoratrici e di tutt* coloro intendano partecipare a questa nuova 
giornata di lotta per la nostra autodeterminazione.

Non Una Di Meno
www.nonunadimeno.wordpress.com
@nonunadimeno
Fb: NON UNA DI MENO

domenica 15 gennaio 2017

Tutti al Festival di Sanremo!

CONTRO LA BUONA SCUOLA E I PRESIDI TIRANNI!

Riceviamo dalla CUB Scuola di modena e aderiamo a questa importante iniziativa.
Solidarietà al lavoratore colpito!

La Redazione di CUBlog





Aderite, diffondete, partecipate! 
VIA LA LEGGE 107 (“BUONA SCUOLA”)!
NO AI PRESIDI TIRANNI!
 
La Cub Scuola di Modena promuove un presidio davanti al Liceo Tassoni di Modena 
Nonostante la vittoria schiacciante del NO al referendum costituzionale che ha bocciato le politiche del governo Renzi nulla, è cambiato nella scuola pubblica italiana. La legge 107 (“Buona scuola”), che mira a trasformare le scuole in aziende basate sullo strapotere dei dirigenti scolastici, resta in vigore. E’ stata nominata una ministra, Valeria Fedeli, che non ha espresso nessuna critica alla “riforma” e, anzi, ha già iniziato ad applicarla, senza modifiche sostanziali. Non c’è nessuna garanzia per migliaia di precari che sono rimasti esclusi dal piano di assunzioni e i nuovi assunti devono subire discriminazioni e diversità di trattamento. Oltre a tutto ciò, è stato firmato un accordo per il rinnovo contrattuale del pubblico impiego che non prevede nessun aumento stipendiale né miglioramento per i lavoratori e le lavoratrici della scuola.
Contro tutto questo la Cub Scuola di Modena promuove un presidio davanti al Liceo Tassoni. La scelta del Liceo Tassoni non è casuale. In questa scuola, infatti, sono emerse con particolare evidenza alcuni comportamenti discriminatori e discrezionali da parte della dirigenza che, nella cosiddetta “Buona scuola”, rischiano di diventare prevalenti. Al Tassoni un insegnante precario, attivista del nostro sindacato, ha subito ripetute discriminazioni in quanto, evidentemente, poco gradito alla dirigenza. La dirigente del Tassoni ha persino cercato di imporgli lo spostamento della data di una verifica e di consegnarle tutte le verifiche già corrette, in barba alla libertà di insegnamento. Infine il docente, probabilmente per la sua  indisponibilità a piegare la testa davanti a richieste illegittime, è stato richiamato e sanzionato (con avvertimento scritto pervenuto il 23 dicembre, il giorno in cui scadeva il contratto!) per essersi allontanato alcuni minuti da un consiglio di classe!
Ma non finisce qui: all’inizio delle lezioni a gennaio, quando, in virtù del principio della continuità didattica, il collega avrebbe dovuto avere rinnovato il contratto di lavoro presso quella stessa scuola, “guarda caso” la docente titolare è ricomparsa a lavoro per un solo giorno (sabato 7 gennaio, il suo giorno libero!) impedendo quindi, secondo quanto stabilito dal regolamento delle supplenze, il rinnovo del contratto al supplente. Non sappiamo se la collega rientrata per un solo giorno avesse qualche buon motivo per farlo… ma ci viene il sospetto che sia stata richiamata dalla dirigenza per impedire il rinnovo del contratto al collega sgradito. Il precario di fatto “licenziato” è sempre stato in prima linea nella lotta contro gli attacchi alla scuola pubblica e, anche lo scorso autunno, ha aderito nell’autunno agli scioperi del sindacalismo conflittuale. Un lavoratore che merita tutta la nostra solidarietà.

PRESIDIO
VENERDI 20 GENNAIO 2017 ALLE ORE 15
davanti al Liceo Tassoni di Modena

Solidarietà al collega sanzionato e poi di fatto licenziato!
Ritiro della legge 107 (“Buona Scuola”): no ai presidi tiranni!

Facciamo appello alle altre organizzazioni sindacali, ai comitati di lotta, ai singoli insegnanti e lavoratori della scuola, a chiunque voglia difendere la scuola pubblica ad aderire e partecipare.
Per mandare adesioni o comunicati di solidarietà: cubmodena@tiscali.it



SCARICA IL VOLANTINO



lunedì 9 gennaio 2017

Gaetano Pini: il comunicato stampa della Flaica-Cub Milano

L’OSPEDALE GAETANO PINI TAGLIA LE PULIZIE E LA MENSA PER I PAZIENTI: RISCHIO BLOCCO DI VARI SERVIZI OSPEDALIERI!
IL 10 E 11 GENNAIO I LAVORATORI SCIOPERANO!

Da vari mesi più di un centinaio di lavoratori degli appalti di pulizia e refezione dell’ospedale milanese Gaetano Pini stanno lottando per impedire un consistente taglio delle loro ore di lavoro, e quindi dei loro salari.
Dopo 3 scioperi, varie altre mobilitazioni e incontri con le controparti interessate, tra cui anche la Regione Lombardia, la nuova direzione ospedaliera ha deciso di non estendere, per il 2017, le risorse necessarie ad evitare il taglio.
Si tratta di circa 400.000 €, per vari anni garantiti dai precedenti vertici dell’azienda ospedaliera con un estensione annuale del quinto d’obbligo che nel 2014, e rinnovata negli anni successi, aveva consentito, praticamente, di dimezzare una riduzione del 35% dei servizi, dovuta alla decurtazione di risorse economiche all’ospedale disposta dalla Spending Review del Governo Monti.
A fronte di una nuova riduzione dei fondi all’ospedale, dell’importo di circa 1,2 mln, per il 2017, i nuovi direttori hanno deciso di risparmiare sugli appalti riproponendo, nei fatti, quel taglio che era stato considerato insostenibile in passato, in quanto non avrebbe consentito di mantenere i necessari standard qualitativi di un ospedale pubblico.
I lavoratori, quindi, si vedranno ridurre del 20% i salari (dopo la riduzione del 15% nel 2014) e, dato che oggi guadagnano in media 600 – 700 € al mese, significherà mettere in difficoltà economica intere famiglie.
Il Gaetano Pini, invece, diventerà un ospedale sporco, e non più in grado di garantire alcuni servizi: per esempio, mancando una corretta pulizia asettica, si rischia il blocco della sala operatoria!
Contro questa situazione causata dalla irresponsabilità dei nostri governanti e dei vertici dell’azienda ospedaliera, i lavoratori e il sindacato FlaicaUniti – CUB hanno dichiarato altre due giornate di sciopero per il 10 e 11 gennaio 2017.
Martedì 10, dalle ore 9,00, i lavoratori saranno in presidio davanti all’ospedale in via Gaetano Pini, 1.

Federazione Lavoratori Agro - Industria Commercio e Affini Uniti prov. di Milano

NO ALLA VIOLENZA MASCHILISTA - Sullo stupro di gruppo di Parma

Le parole coraggiose sono quelle che non temono posizioni scomode e che ignorano pavidi opportunismi; spesso, sono quelle rivolte ad ambienti e formazioni sociali a noi vicine, e noi di CUBlog, questo, lo sappiamo bene.
Questo testo, redatto dalla Commissione Lavoro Donne del PdAC, oltre ad avere il coraggio di dipanare la coltre omertosa del maschilismo, che fin troppo spesso ha avvolto i cosiddetti "compagni", ha il merito di smuovere le coscienze e di offrire una sponda culturale sicura per tutte le donne che subiscono la violenza maschilista. Con queste poche parole ci associamo alle compagne del PdAC per rendere un po' più forte questa sponda.
Alla logica dei panni sporchi da lavare in famiglia noi gridiamo forte e chiaro che CHI VIOLENTA LE DONNE NON FA PARTE DELLA NOSTRA FAMIGLIA!



La redazione di CUBlog



Testo a cura della Commissione Lavoro Donne del Partito d'Alternativa Comunista

Nel dicembre scorso si è aperto il processo per lo stupro di una ragazza, avvenuto nel centro sociale Raf (Rete AntiFascista) di Parma. Non vogliamo riparlare della dinamica agghiacciante, degli orribili dettagli che sono emersi, degli anni di insulti, minacce e offese perché significherebbe sottoporre ancora questa giovane ad altra violenza ed oppressione: se ne è parlato tanto attraverso comunicati e strumentalizzazioni che negli ultimi giorni dello scorso anno si sono succeduti con velocità impressionante, soprattutto da parte di chi sapeva e che per troppo tempo è rimasto in silenzio, sottoponendo così questa giovane ad ulteriori vessazioni.
A lei esprimiamo tutta la nostra solidarietà di donne rivoluzionarie, sperando di darle abbastanza forza per proseguire questa battaglia condotta silenziosamente e in solitudine per tanti anni (i fatti risalgono al 2010) ed emersa per cause non ascrivibili alla ragazza (nel 2013 a seguito di una indagine per altri fatti).
Non deve scandalizzare che abbia percorso, più o meno volontariamente, la via della magistratura borghese per tutelarsi: non bisogna confondere infatti il ricorso alla magistratura borghese per la tutela dei diritti democratici, siano essi individuali o collettivi, con le divergenze politiche le cui risoluzioni trovano spazio in altri luoghi. Con l’ignobile pretesto di non denunciare agli organismi giudiziari borghesi quelli che sono stati chiamati “compagni”, alla giovane donna è stato chiesto di tacere e tutti hanno taciuto su un efferato atto di violenza maschilista: insomma, la scelta è stata quella di difendere “l’immagine” del movimento nel suo complesso anziché prendere la distanza da chi ha offeso il movimento stesso con i suoi atti violenti, piuttosto che denunciare uno stupro e manifestare solidarietà ad una donna, una compagna offesa nel più crudele dei modi.
Immaginiamo con rabbia la doppia violenza che questa donna ha dovuto subire: prima violentata selvaggiamente, poi pretestuosamente accusata di essere un “infame” per la sua legittima denuncia. Come se un operaio, bastonato dal padrone sul luogo di lavoro, dovesse temere di essere accusato di “infamia” se denunciasse il fatto alle istituzioni borghesi, per tutelare la sua persona.
Oggi ci sono in quell’area politica persone, uomini e donne, che, non comprendendo il problema del maschilismo nella nostra società, non comprendono la gravità di quanto accaduto, ma continuano ostinatamente a coltivare omertà e conformismo alla peggior moralismo borghese. Ciò nasce dall’idea illusoria e sbagliata che ci possano essere spazi in questo sistema immuni dai mali connaturati al capitalismo: il maschilismo così come l’omofobia o il razzismo, sono parte del sistema in cui nasciamo, cresciamo e veniamo educati. Il maschilismo non è una condotta individuale adottata da alcuni uomini e da altri no, ma un’ideologia utilizzata nell’odierno sistema capitalista per giustificare l’oppressione delle donne, soprattutto ricorrendo ad alcuni stereotipi trasmessi dalla scuola, dalla famiglia, dalla religione, attraverso i mezzi di comunicazione e da tutte le istituzioni. Non è sufficiente dichiararsene immuni o apporre una targa su un luogo per allontanarli.
Va condotta invece una battaglia quotidiana e costante che permetta di affrontarli con gli strumenti a disposizione da compagni e compagne insieme, attraverso la formazione, attraverso la denuncia politica, attraverso l’intolleranza anche del più piccolo gesto o atto. Gli uomini lavoratori che praticano atti di maschilismo e difendono quest’ideologia finiscono, più o meno consapevolmente, per difendere i padroni. Quando un lavoratore smette di praticare atti maschilisti ed assume le rivendicazioni contro l’oppressione femminile, indebolisce l’obiettivo dei padroni di dividere per sfruttare. Ad ogni diritto che è strappato alle donne, è commesso un sopruso in più ai danni dei diritti di tutti i lavoratori.
In questo, riteniamo, si trova il presupposto per la vera solidarietà di classe: una battaglia di uomini e donne della classe lavoratrice, disoccupati, immigrati, studenti, uniti per sconfiggere il capitalismo con tutte le sue forme di oppressione e di sfruttamento. Le condizioni materiali di una società basata sul profitto e sullo sfruttamento della maggioranza dell’umanità causano l’oppressione femminile, che nessuna ideologia ugualitaria, nessuna propaganda, nessun progetto solidale potranno mai superare. L'emancipazione della donna dalla violenza e dalla doppia oppressione capitalista non potrà vedere la luce se non attraverso la lotta che pone al centro la questione operaia: l'emancipazione della donna e l'emancipazione della classe operaia vanno di pari passo, non si possono realizzare se non insieme, attraverso una lotta che ha per obiettivo la rivoluzione della classe del proletariato.   

martedì 3 gennaio 2017

LA LETTERA DI UNA LAVORATRICE ALMAVIVA

Egregia Viceministra Teresa Bellanova

Sono una LICENZIATA  Almaviva, una dei 1666, a breve compirò cinquantun’anni. Non tema, non sono qui a rivolgerle la classica supplica, tra l’altro non è la madonna di Pompei che, a crederci, forse sarebbe riuscita a fare qualcosa di diverso per quelli come me. Le scrivo perché, in seguito alla fine della vertenza che ha prodotto 1666 lettere di licenziamento, sento la prepotente necessità di interpretare, decodificare e spiegare le ragioni di noi lavoratori ma anche, e soprattutto, farle delle domande, cercare di comprendere perché la politica abbia consentito tutto questo.
Del mio ex-datore di lavoro non vorrei parlare. In fondo l’imprenditore non è che un incrocio tra un istrione e un camaleonte, pronto a piangere miseria sia nei periodi buoni sia nei cattivi. È il Padrone, anche se nella forma parole del genere sono state abolite dal nostro vocabolario nella sostanza ci sono rimaste e con radici profondissime. Il profitto è il suo unico scopo e, per quanto vergognose, le sue richieste, destituite di etica, buonsenso e umanità, esprimono una volontà comprensibile considerandone la provenienza. È come pretendere dal lupo di diventare vegetariano, oltretutto da un lupo giovane e anche un po’ pigro che fino a oggi ha beneficiato di bocconi facili, in una sorta di riserva naturale in cui il “foraggio” gli è stato fornito a ogni ululato, a ogni ringhiosa minaccia. Ci sarebbe poi da riflettere sull’eventualità che questo lupo sia stato realmente nutrito per salvare le pecore o per salvare lui solo, in quanto componente di un “branco” non meglio identificato.
Altro velo pietoso ma direi più una densa, spessissima coltre, è quella che bisogna stendere sui sindacati confederali, che in barba alla loro stessa essenza di paladini dei lavoratori hanno creato le condizioni ideali perché questo scempio giungesse a compimento. Un lento lavorio che si compie da anni, un fenomeno carsico che sta erodendo pian piano ogni diritto e che anche lo scorso 22 dicembre è stato fedele a sé stesso. Per loro davvero non ci sono parole!

E IL GOVERNO?
Quest’ultima vertenza è nata male e ha partorito mostri della cui nocività sarà difficile stabilire la portata. Le ho già detto che ho cinquant’anni e un po’ di memoria storica. Nel paese in cui sono nata, nel lontano 1966, le richieste di un Marco Tripi sarebbero state considerate inaccettabili. Nel paese in cui sono nata e cresciuta non si sarebbe consentito a un’azienda di affamare i propri dipendenti come è successo a noi che dopo la stabilizzazione saremmo dovuti passare, tutti, a sei ore (accordo mai rispettato!). O crede che ci siano persone contente di fare settanta chilometri al giorno per poco più di 600 euro al mese? Nel paese in cui sono nata e cresciuta la richiesta di bloccare gli scatti di anzianità, di azzerare i livelli, di applicare il controllo individuale sarebbe stata irricevibile. E lei è la rappresentante di un governo di sinistra?! È stata sempre presente, sin dal primo giorno in questa vertenza ma con quale scopo, quale obiettivo?! A parte la proposta “ a scatola chiusa” sulla quale non mi soffermo, quali erano concretamente le sue intenzioni? Non sente di aver fallito? Non crede di doverne rispondere?
Lo sconforto è vedere che alla fine si sta realizzando il vaticinio di George Orwell, e allora visto che ci troviamo, legittimate il Grande Fratello nelle aziende, introducete l’ipnopedia negli asili nido, sottoponete tutti a test di valutazione del Q.I. e gli scemi metteteli tutti nei call-center! Le sembro eccessiva? Ci rifletta, è quello che sta succedendo e lei ne è complice. Nemmeno nel peggiore dei miei incubi avrei potuto vedere un governo scendere a patti così scellerati. Addirittura il nostro NO lo avete considerato da irresponsabili?! Secondo lei, allora, qual è il senso di responsabilità? Ha affermato che il nostro era un NO ideologico. Noi siamo stati ideologici? Lei di certo non ha avuto un comportamento ideale. Con quel termine ha voluto dire che la nostra chiusura è stata condizionata da idee preconcette. Cosa c’era di preconcetto nel nostro NO? Forse non sapevamo a che tipo di fine saremmo stati destinati, perciò ci ha definiti irresponsabili? Forse qualcuno, a partire da lei, ci aveva prospettato qualcosa di diverso dalla nostra totale riduzione in schiavitù? Avevamo tutti gli elementi per fare delle valutazioni e il NO è scaturito da un giudizio non da un pre-giudizio. I conti li abbiamo fatti e non tornavano e non stia a guardare quelli che poi hanno virato verso un sì tardivo quanto infamante, sono da comprendere e dovrebbero essere ancor più messi sotto l’egida di un garante che, ahimè, è mancato.
A cosa servirà per i colleghi di Napoli questa proroga fino a marzo? Lo sa che per molti (anche per coloro che hanno votato “sì” al referendum) questo procrastinare sottende la speranza di andare a casa con un ammortizzatore, con delle tutele maggiori rispetto al nulla che ci è stato riservato? O crede che ci siano tanti cretini disposti a finire nelle fauci dell’imprenditore di cui sopra, pronto a mettere le mani su una classe di lavoratori negletti e annichiliti?
In un mondo ideale ( E NON IDEOLOGICO!) questa storia avrebbe visto un governo che avrebbe innanzitutto ponderato la liceità delle posizioni dell’azienda e, dopo il “gran rifiuto” fatto per tutto tranne che per viltà (e Dante mi perdoni se lo porto in un inferno molto meno appassionante del suo), si sarebbe fatto carico dei lavoratori con degli ammortizzatori validi traghettandoli verso altre opportunità attraverso percorsi di formazione e riqualificazione professionale.
Anche la mente più ideologica, con tutti i pregiudizi del caso, non sarebbe stata in grado di prevedere quello che è accaduto. Milleseicentosessantasei persone buttate in strada con l’avallo del governo e dei sindacati nazionali. Lo scrivo perché devo leggerlo per crederci.
Avrebbe dovuto fargli chiudere i battenti, avrebbe dovuto mandare i nostri imprenditori a fare i negrieri in altri paesi, avrebbe dovuto agire come se l’Italia fosse un paese civile, anche lei avrebbe dovuto dire NO e si sarebbe dovuta occupare delle pecore, essere il nostro pastore e fare fuori il lupo. Invece non è andata così!
Come faccio a farle capire con quante altre voci potrebbero essere pronunciate le parole che ho scritto finora? Immagini un coro di 1666 persone, immagini che ognuno sia un solista, ci metta in un teatro…non si sente nulla, ci hanno fatto tacere e lei ha fatto buio in sala, rendendoci anche invisibili.


una lavoratrice licenziata Almaviva

* Ripresa e pubblicata su cortesia della redazione di contropiano *