domenica 30 novembre 2014

Lettera aperta alle donne del comitato IO HO L'ENDOMETRIOSI

CUB e comitato IO HO L'ENDOMETRIOSI - Volantinaggio informativo a Brescia

Brescia, 29 novembre 2014


Care endine,

chiedo ospitalità sul vostro blog perché oggi è una giornata importante. Per la prima volta, dopo undici mesi di collaborazione, abbiamo svolto la nostra prima iniziativa insieme: un volantinaggio informativo con gazebo e banchetto nel pieno centro di Brescia.
Un gruppo di persone, niente di più. Ma cos'è che univa questo gruppo?
L'organizzazione sindacale o sociale? No. C'era il vostro comitato come il nostro sindacato.
Il genere? No. C'erano donne come uomini.
Allora il mestiere? Nemmeno. Si va dagli operai di fabbrica alle cassiere dei supermercati, passando per pensionati e disoccupati.
Il filo comune che univa questo gruppo era l'impegno sociale, la voglia di fare del bene per gli altri, l'idea di agire insieme per migliorare le cose.
Volantinare poi è sempre un'esperienza interessante, specialmente per chi non lo ha mai fatto. Quanti volantini avete preso in mano nella vostra vita? Quanti ne avete realmente letti con interesse? Beh... passare dall'altra parte del volantino implica un lavoro non indifferente. Al netto della fase redazionale, dove bisogna scriverlo, impaginarlo e formattarlo nel modo più breve, efficace e accattivante possibile, pensando ai potenziali lettori che dovranno riceverlo, rimane la fase pratica sul campo: distribuirlo. Ed è qui che arriva il meglio, il volantinaggio è al contempo gratificante, divertente e mortificante.
Gratificante ogni volta che qualcuno prende il volantino e ti ringrazia, magari si ferma a parlare e chiede informazioni.
Divertente quando come oggi, una signora anziana viene decisa al nostro banchetto a chiedere di firmare per abbassare le tasse: 
- "No, guardi signora, questa è una campagna informativa sull'endometriosi..." 
- "Si ma io devo firmare per abbassare le tasse!"
- "Signora se proprio non può farne a meno ci metta una firma per abbassare le tasse... ma non le garantiamo niente..."
Mortificante quando ti trovi davanti a persone che non ti degnano nemmeno di uno sguardo o ti guardano schifati, dove devi spiegare che i volantini non mordono, oppure che se il volantino parla di endometriosi quest'ultima non si contrae per lettura.
Ho conosciuto voi e le vostre storie su questo blog, mi sono sempre chiesto come sia possibile far fronte a sofferenze come le vostre, ho imparato da voi che coraggio, forza e determinazione sono qualità che portano la gonna. Sono convinto, ora più che mai, che di solo web non ne usciamo più: C'è un gran bisogno di uscire di casa per raggiungere il mondo fuori e dire che noi esistiamo, siamo reali, che l'endometriosi esiste per le donne, per la società, per gli uomini (le loro mogli, le loro figlie, le loro sorelle...), per il lavoro e per lo Stato (costi sociali e perdita di produttività).
Questo è il momento di unirci, non di dividerci. Non è importante dividersi su quale sia la cura migliore, il percorso più corretto, il medico più bravo o l'ospedale più attrezzato. Non si può standardizzare la soggettività: è una contraddizione in termini. Ci si può confrontare per scambiarsi informazioni, certo; ma il confronto non deve diventare scontro. Non siamo medici, siamo cittadini, e da cittadini possiamo e dobbiamo convergere su poche parole d'ordine: informazione, prevenzione, rivendicazione.
La bestia con la quale convivete e combattete da anni è forte, ma noi insieme possiamo indebolirla sempre di più. Con il nostro impegno di oggi quei 7/10 anni in media tra sintomi e diagnosi un domani potranno diminuire, possiamo oggi lottare per rompere il silenzio e l'ignoranza su questa malattia per evitare che le ragazze di domani si sentano dare delle malate immaginarie, possiamo oggi lottare affinché le istituzioni aiutino le donne che soffrono con esenzioni, permessi e collocamenti mirati.
Forse il più bel senso di questa giornata bresciana è emerso alla fine, quando ci sono stati scambi di numeri telefonici, simpatie e affinità nate, progetti per le prossime iniziative insieme, voglia di fare di più e in di più.
Per ragioni anatomiche, non posso comprendere il vostro dolore, ma considerate me e le meravigliose persone con cui condivido quotidianamente il mio impegno sociale parte integrante del vostro comitato e partecipanti attivi al vostro fianco in questa dura e sacrosanta battaglia.


Un abbraccio sincero



Diego Bossi










sabato 29 novembre 2014

Comunicato stampa ALLCA-CUB e COMITATO IO HO L'ENDOMETRIOSI

Milano, venerdì 28 novembre 2014



COMUNICATO STAMPA

L’endometriosi è una malattia cronica e invalidante che colpisce tre milioni di donne in Italia.
Questa patologia è originata dalla presenza anomala di tessuto della parete interna dell’utero in altri organi, causando sanguinamenti, infiammazioni, infertilità (40% dei casi) e dolori invalidanti.
Dai primi sintomi alla diagnosi passano in media 7-10 anni, dove ogni donna malata sente minimizzare il suo dolore, derubricarlo a “normali” dolori mestruali.
Non meno importanti sono gli effetti dell’endometriosi nella sfera sociale, psicologica e lavorativa delle donne, vittime di emarginazioni, discriminazioni, mobbing e licenziamenti.

Sabato 29 novembre, dalle 15.00 alle 18.00, in corso Zanardelli a Brescia (vicino al teatro grande), Confederazione Unitaria di Base e Comitato “Io ho l’endometriosi” allestiranno un banchetto informativo  per diffondere la più ampia conoscenza su questa patologia, fornire supporto alle donne malate e rivendicare diritti come il collocamento mirato e un codice di esenzione al pagamento di cure ed esami altrimenti costosissimi.




Allca-Cub


Comitato Io ho l’endometriosi

venerdì 28 novembre 2014

Lo sciopero che ancora non c’è stato

ARTICOLO PRESO  DAL SITO
 connessioniprecarie.org


Il 14 novembre è stato una novità. In primo luogo, quella
giornata ha avuto la capacità di riportare il lavoro al centro
del discorso politico dei movimenti. Non si è trattato soltanto
dell’ennesima denuncia delle condizioni oggettive di
precarietà e impoverimento, ma anche e soprattutto del
punto di partenza di un processo di organizzazione che
guarda allo sciopero come pratica e progetto per
accumulare forza. In secondo luogo, il 14 novembre
stabilisce l’apertura di uno spazio politico le cui potenzialità
non stanno tanto nella capacità di mediare tra diverse realtà
in vista di un singolo momento di protesta, ma nella pretesa
di definire un percorso politico autonomo, credibile ed
espansivo, affrontando in comune un problema, un discorso
e le corrispondenti pratiche. Tra questi due piani c’è un
legame necessario. Quest’apertura è stata possibile
proprio perché è stata riconosciuta la necessità di
produrre una rottura politica sul terreno del lavoro.
Il radicamento sociale del percorso che ha portato al 14
novembre non si misura perciò sulla sua capacità di dare
risposte immediate o rappresentazione a un insieme di
«bisogni» altrimenti inespressi, o di unire lotte e vertenze
frammentate e sconnesse, ma su quella di stabilire un
piano di iniziativa comune per tutti coloro che ogni giorno, in modi diversi, fanno esperienza della
precarietà e vogliono liberarsene. Per questo, il successo del 14 novembre non sta esclusivamente nei numeri
che abbiamo visto nelle piazze, che pure sono stati rilevanti e hanno permesso di ottenere una visibilità
finalmente liberata dalla retorica dell’assedio e dal protagonismo dei militanti. Il successo del 14 novembre si deve
misurare sulla capacità di mantenere aperto lo spazio politico che lo ha prodotto e sulla coerenza nell’organizzare
lo sciopero come pratica politica in grado di interrompere in maniera significativa il dominio del capitale. Al centro
non c’è dunque la pretesa di liberare spazi in cui poter organizzare la propria socialità e la propria vita al di fuori
dei vincoli sociali del capitale. Si tratta piuttosto di produrre livelli organizzativi in grado di interrompere con
continuità un dominio altrimenti incontrastato. Lo sciopero, cioè, stabilisce una pratica di potere e non si
limita a indicare il polo di una negazione. Per questo rivendica una priorità esclusiva, che si impone nel
momento in cui supera gli steccati della mediazione e mostra possibilità impensate. In questi termini, lo sciopero
è decisivo perfino prima di portare a termine la sua parabola sociale e generale.
Nonostante la novità del 14 novembre, infatti, lo sciopero sociale generale non c’è ancora stato. Siamo
riusciti a costruire un’anteprima di quello che vorremmo che fosse, individuando con una certa approssimazione
le condizioni grazie alle quali esso potrebbe davvero esserci. L’anteprima è stata così convincente da spingere il
più grande sindacato confederale a dichiarare lo sciopero generale. Ora che persino la Cgil ha registrato la fine
della concertazione, si tratta di stabilire le pratiche comuni che possono adottare operai, migranti e precarie,
contrapponendole al Jobs Act e alle politiche europee sul lavoro. Opporsi al regime del salario e al governo della
mobilità significa porsi il problema di una rottura politica sul lavoro, ovvero di farla finita con quelle politiche che
attraverso il lavoro stabiliscono la subalternità di milioni di persone. È giunto il tempo di abbandonare le
rappresentazioni rassicuranti e minoritarie delle piazze separate che pretendono di parlare ad altre piazze
più o meno lontane, che non sono in realtà mai state raggiunte. Allo stesso tempo dobbiamo sapere che non
sarà la dichiarazione dello sciopero generale a riportare indietro l’orologio del sindacato confederale. La
questione da porsi è come rivolgersi direttamente ai lavoratori in sciopero, sapendo che il 14 novembre parlava
anche a loro. La scommessa è quella di fare dello sciopero della Cgil un momento del processo che rende
lo sciopero sociale un reale sciopero generale.
Lo sciopero generale, com’è evidente, non è per noi l’anticamera della rivoluzione, ma nemmeno il presupposto
per aprire chissà quali mediazioni con il sistema politico. Fuori da ogni mitologia, rendere generale lo sciopero
sociale significa rivelarne il carattere pienamente politico, ovvero farne un momento di rottura del
comando capitalistico sul lavoro. Lo sciopero generale non può essere l’unione di mille debolezze e non può
nemmeno confederare condizioni lavorative che hanno spesso pochissimo in comune. Queste differenze – che
vanno dalle condizioni contrattuali a quelle imposte dalle specifiche modalità di erogazione del lavoro (a casa, alla
catena di montaggio, dietro una cattedra, davanti a un pc, accanto al letto di un anziano), dalla differenza
sessuale a quella imposta dal permesso di soggiorno – devono piuttosto essere messe in comunicazione e
organizzate a partire dalla loro specificità. La posta in gioco è quindi quella di «organizzare l’inorganizzabile» e di
creare le condizioni affinché la pratica dello sciopero non sia più, e non possa essere, una prerogativa dei
lavoratori dipendenti o dei sindacati, ma diventi una pratica politica possibile per quanti sono stati
sistematicamente isolati e subordinati anche attraverso la moltiplicazione dei limiti, formali e informali, alla loro
possibilità di alzare la testa e incrociare le braccia. Significa riconquistare un terreno di scontro quotidiano così
come quotidiano è lo sfruttamento globale del lavoro precarizzato. Quindi uno sciopero generale oggi non può
non porsi il problema della dimensione transnazionale che deve progressivamente assumere. Non c’è
sciopero sociale generale che possa limitarsi al cortile di casa sua, che non debba porsi il problema dei
collegamenti transnazionali che ogni subordinazione rivela. Ogni sciopero che si voglia sociale e generale
deve rivolgersi allo stesso tempo contro il regime del salario e contro il governo della mobilità . Il
problema non è tanto di esportare sul piano europeo un percorso che in Italia sta avendo una certa rilevanza. Si
tratta piuttosto di stabilire un piano di comunicazione e continuità con i movimenti europei , sapendo che il
mutamento di dimensione serve anche calibrare in maniera più precisa ciò che stiamo facendo in Italia. Il
governo della mobilità funziona secondo regole che divengono pienamente visibili solo allargando lo
sguardo fuori dai confini nazionali.
Realizzare appieno ciò che abbiamo intravisto il 14 novembre, a partire dalla sua capacità di scoperchiare tanto
la condizione quanto le pretese di organizzazione e di lotta di un corpo del lavoro frammentato e composito,
significa pensare un discorso e delle pratiche all’altezza di una dimensione industriale diffusa e mobile,
cioè di un comando sul lavoro che travalica tutti i confini un tempo stabili – quelli nazionali e quelli del
luogo di lavoro, quelli tra la fabbrica e la metropoli, quelli tra lavoro manuale e intellettuale, quelli tra lavoro e non
lavoro, quelli tra le diverse ‘categorie’ – per diventare la vera cifra della società globale . Parlare di «sciopero
sociale», soprattutto dopo il 14 novembre, non significa inventarsi forme ‘nuove’ di sciopero che rischiano,
malgrado ogni intenzione in senso contrario, tanto di eludere il problema dello sciopero quanto di oscurare le
diverse figure della «fabbrica della precarietà». Parlare di «sciopero sociale generale» significa interrogarsi, da
qui in avanti, su come creare le condizioni per mettere in comunicazione e organizzare quanti sono ogni giorno
soggetti – in modi anche radicalmente diversi – al regime del salario. Per diventare davvero generale lo sciopero
sociale può solo riconoscere le differenze che segnano l’esistenza di milioni di operai, migranti, precarie. Nel
momento in cui la precarietà diviene la condizione globale del lavoro, solo la costruzione dello sciopero
come pratica comune ma differenziata può rendere generale lo sciopero sociale.
Di fronte a queste sfide, definire il ruolo dei laboratori per lo sciopero sociale è tanto difficile quanto
cruciale. Lo rende difficile, in primo luogo, la loro composizione, non tanto perché si pone e si porrà il problema
di conciliare realtà con discorsi e percorsi differenti, ma perché lì il rapporto tra sindacato e movimenti non può
che determinare una tensione che deve essere resa produttiva. La lezione fondamentale della logistica è che i
movimenti non possono sostituirsi al sindacato. Come dimostra il fallimento di ogni tentativo che negli ultimi anni
sia andato in questa direzione, e come dimostrano le diverse esperienze di «organizzazione dell’inorganizzabile»
portate avanti non solo in Italia (dai cleaners londinesi ai fast food workers di New York alle lavoratrici a domicilio
in Pakistan, ma prima ancora a Oakland), almeno in un primo momento il sindacato è una struttura insostituibile
per queste lotte impossibili. Non si tratta di negare i limiti della forma sindacale, ma di riconoscere che il
sindacato è per i lavoratori una tattica fondamentale di conflitto. Si tratta però di una tattica che non
esaurisce la sfida dell’organizzazione: essa è possibile all’interno di segmenti omogenei, proprio perché il
lavoro è settorializzato, proprio perché è governato da un sistema di leggi – civili e di mercato – ben specifico, e
può quindi essere parte di una battaglia di posizione per scompaginare i rapporti di forza all’interno dei luoghi di
lavoro. D’altra parte, l’organizzazione non può esaurirsi nel supporto esterno dei «solidali» ai lavoratori in lotta né
può significare diventare i nuovi sindacati per realizzare le forme «altre» di (non)sciopero. Si tratta piuttosto di
allargare lo spazio dello sciopero, inteso come espressione collettiva di indisponibilità alla
subordinazione. I laboratori dello sciopero sociale non dovrebbero essere i luoghi dove si costruisce la
mediazione tra i diversi modelli di vertenze, ma dove si sperimenta l’organizzazione di specifiche lotte sul lavoro
pensando al contempo un piano organizzativo che non sia confinato solo al lavoro. Già ora essi non sono i
«parlamentini» dove si raggiunge la mediazione tra gruppi diversi o tra movimenti e sindacati. I laboratori per lo
sciopero sociale sono lo spazio dove la rottura politica sul lavoro viene resa praticabile. Si tratta di
costruire al loro interno la fine di una subordinazione quotidiana e opprimente che tutti coloro che sono costretti a
lavorare riconoscono senza alcuna difficoltà. Ciò non significa che il lavoro possa tornare ad avere la centralità
politica che aveva un tempo. Non stiamo sostenendo alcun neolavorismo. Pensiamo solamente che la precarietà
globale ha reso evidente che il rifiuto del lavoro non libera dallo sfruttamento.
Liberarsi dallo sfruttamento impone di non chiudere gli occhi sui luoghi dove esso matura . Per affinare lo
sguardo su questi luoghi sono necessari laboratori dove assieme all’iniziativa venga prodotto anche il discorso
che la deve sostenere. Se riconosciamo che il 14 novembre è stato una novità, dobbiamo anche ammettere che
non sarà più tale se si ripeterà uguale a se stesso. La necessità di individuare ulteriori momenti di piazza – più o
meno legati alle agende parlamentari e agli iter di approvazione delle riforme sul lavoro – è per molti versi
necessaria, nella prospettiva di mantenere viva l’attenzione sul progetto e non disperdere le forze che il 14
abbiamo portato in piazza, ma rischia anche di essere una trappola che ci condanna all’inseguimento di
scadenze che non siamo ancora nella condizione di determinare. Affermare che è tempo di sciopero sociale
significa anche registrare che lo sciopero sociale ha bisogno del suo tempo. Bisogna avere il coraggio di
fare due passi indietro rispetto alle pratiche usuali di movimento per poterne poi fare uno in avanti verso
lo sciopero sociale generale.

Tasso di disoccupazione al nuovo record del 13,2%, tra i giovani al 43,3%

E' il maggior balzo dell'Eurozona. Occupati in calo di 55mila unità tra settembre e ottobre, mentre sono stabili su anno e in crescita nel complesso del trimestre. Renzi: "Con noi 100mila in più". Le persone senza lavoro sono cresciute di 286mila nell'arco di dodici mesi. I disoccupati tra i 15 e i 24 anni sono 708 mila
MILANO - Mentre il Ministero del Lavoro rilascia dati improntati all'ottimismo, con la progressione dei contratti a tempo indeterminato che a detta del dicastero indica la bontà dei provvedimenti fin qui presi, dall'Istat arrivano nuovi segnali allarmanti sul tasso di disoccupazione, che a ottobre è stimato al 13,2%, in aumento di 0,3 punti percentuali rispetto al mese precedente e di 1,0 punti nei dodici mesi. Un risultato frutto da una parte dell'incremento seppur lieve della forza lavoro e dall'altra del calo delle persone occupate. Rilevazioni alle quali il premier Renzi reagisce così da Catania: "Il tasso di disoccupazione ci preoccupa, ma guardando i numeri, gli occupati stanno crescendo. Da quando ci siamo noi ci sono più di 100 mila posti di lavoro in più".
Il riferimento ai 'posti di lavoro' è ambiguo, perché a guardare le serie storiche dell'Istat sugli 'occupati' il conto è diverso. A febbraio del 2014 c'erano 22 milioni e 323 mila occupati, passati poi a 22 milioni e 405 mila a marzo (il governo è incarica da fine febbraio). Ora siamo a quota 22 milioni e 374 mila. In valore assoluto, l'Istat rileva che gli occupati di ottobre sono scesi rispetto a settembre di 55 mila unità (stabili su base annua). In aumento i disoccupati, pari a 3 milioni e 410 mila persone, che fanno in un mese 90 mila unità in più (+2,7%) in un mese, mentre rispetto a ottobre 2013 sono incrementati di 286 mila unità. L'incremento sensibile e positivo è quello della forza lavoro, salita di oltre 200mila unità sul febbraio scorso: significa che più gente è attiva e in cerca, segnale di "risveglio" per il premier.
I miglioramenti sono sensibili e verificati dall'Istat se si guardano i dati sul terzo trimestre, durante il quale torna a crescere il numero di occupati (+0,5%, pari a 122.000 unità in un anno), dovuto ad un nuovo aumento nel Nord (+0,4%, pari a 47.000 unità) e nel Centro (+2,1%, pari a 98.000 occupati) e al rallentamento della caduta nel Mezzogiorno (-0,4%, pari a -23.000 unità).
Tornando al tasso di senza lavoro, si tratta del massimo storico: il valore più alto sia dall'inizio delle serie mensili, gennaio 2004, sia delle trimestrali, ovvero dal 1977 (ben 37 anni fa). Una notizia che coglie di sorpresa gli analisti: in mattinata da Intesa Sanpaolo, per esempio, si aspettavano che "dopo aver oscillato tra 12,3% e 12,6% da maggio a settembre", il tasso sarebbe tornato "a calare a ottobre, al 12,5%. L'indagine del mese scorso segnalava un incoraggiante aumento di occupati, ma il rischio sulla previsione è aumentato dall'accentuata volatilità nelle variazioni mensili delle forze di lavoro".
Per quanto riguarda il tasso di disoccupazione giovanile, questo è salito al 43,3%, in aumento di 0,6 punti percentuali rispetto al mese precedente e di 1,9 punti nel confronto tendenziale. Si tratta - spiega l'Istituto di statistica - della quota dei disoccupati sul totale di quelli occupati o in cerca di lavoro. I disoccupati tra i 15 e i 24 anni sono 708 mila. Se si guarda l'intera popolazione nella fascia giovanile, l'incidenza dei senza lavoro è dell'11,9%, in aumento di 0,1 punti percentuali rispetto al mese precedente e di 0,7 punti su base annua.
Il dato dell'Italia di ottobre, secondo Eurostat, è il maggior balzo dell'Eurozona a 18 membri: nella media dell'area della moneta unica e dell'Ue la disoccupazione a ottobre è rimasta invece sostanzialmente stabile all'11,5% e al 10%.
L'allarme occupazionale - detto per inciso - ha contagiato pure l'Istituto di statistica, dove non si è tenuta la consueta presentazione dei dati per lo sciopero dei precari in attesa di conferma dei loro contratti.

La buona notizia viene dal numero di individui inattivi tra i 15 e i 64 anni, che diminuisce dello 0,2% rispetto al mese precedente (-32 mila) e del 2,5% rispetto a dodici mesi prima (-365 mila). Il tasso di inattività si attesta al 35,7%, in diminuzione di 0,1 punti percentuali in termini congiunturali e di 0,8 punti su base annua.

mercoledì 26 novembre 2014

Ricchi e poveri: la crisi aumenta le diseguaglianze

Il rapporto Oxfam "Partire a pari merito" dimostra che la recessione non è per tutti. Anzi, gli anni di declino economico hanno visto aumentare la concentrazione di grandi patrimoni. A discapito dei più poveri, e dello sviluppo economico
Christian Benna
 Ricchi e poveri: la crisi  aumenta le diseguaglianze La crisi è una grande opportunità. È dal 2008 che economisti, scienziati e politici ripetono a perdifiato questo mantra  dal sapore antidepressivo. E infatti, per qualcuno, gli anni di declino economico sono stati un vero affare. Secondo la classifica dei super ricchi di Forbes,  i miliardari del pianeta sono raddoppiati: erano 793 nel 2009 oggi sono 1645.  E non solo. Tra il 2013 e il 2014, le 85 persone più ricche al mondo hanno  aumentato la loro ricchezza di 668 milioni di dollari al giorno, quasi mezzo milione di dollari al minuto. Negli ultimi 4 anni la ricchezza aggregata degli attuali miliardari è aumentata del 124% e ora è balzata a  5.400 miliardi di dollari, pari a due volte il Pil di paesi avanzati, come la Francia. Purtroppo il resto del pianeta non può brindare con vecchi e nuovi miliardari. Perché, nello stesso lasso di tempo  in cui sono prosperate le grandi  fortune, la povertà si è diffusa sempre di più su scala globale.  Tanto che  gli  85 super miliardari posseggono la stessa ricchezza della metà della popolazione più povera al mondo. Numeri e analisi del divario tra ricchi e poveri sono contenuti nello studio di Oxfam: "Partire a pari merito: eliminare la disuguaglianza estrema per eliminare la povertà estrema", una fotografia sul mondo che viaggia a due velocità.

Miraggio benessere
Il gap tra ricchi e poveri è sempre più profondo. Infatti 7 persone su 10 vivono in paesi in cui il divario tra indigenza e benessere è maggiore di quanto non fosse 30 anni fa. Secondo Winnie Byanyima, direttore esecutivo di Oxfam International, il solco non è solo un problema di giustizia sociale, ma anche di sviluppo economico. "Questi dati  - ha detto Winnie Byanyima - ci mostrano una realtà che non possiamo evitare di vedere: l'estrema disuguaglianza economica oggi non è uno stimolo alla crescita, ma un ostacolo al benessere dei più. Finché i governi del mondo non agiranno per contrastarla, la spirale della disuguaglianza continuerà a crescere, con effetti corrosivi sulle istituzioni democratiche, sulle pari opportunità e sulla stabilità globale".  Che gli argini alla povertà  siano sempre più sottili e fragili lo denunciano anche le Nazioni Unite nel report "Inequality matters", prendendo spunto dal caso dell'India, la potenza economica emergente  -  capace di sfornare tycoons miliardari  -  ma con buona parte della popolazione a rischio denutrizione. Nel 2009 tre quarti della popolazione del subcontinente cercava di sfamarsi  con meno di  2400 calorie al giorno, mentre negli anni ottanta la povertà estrema riguardava il 54% degli indiani.  E il numero degli indigenti in Africa Subsahariana è aumentato da 376 milioni del 1999 a 414 milioni di oggi.

Povertà è donna
Sono  appena 23 le donne con ruolo di amministratore delegato della lista Fortune 500 e  sono solo 3 fra le 30 persone più ricche. Nella fascia altissima della scala sociale le pari opportunità restano un miraggio a quasi tutte le latitudini. In quella bassa è invece una questione di sopravvivenza che vede le donne in fondo alla classifica dell'ingiustizia sociale.   Il divario salariale tra uomini e donne rimane  molto ampio in tutto il mondo: a parità di tipologia di lavoro la retribuzione femminile media è inferiore a quella maschile dal 10 al 30%, in tutte le regioni e in tutti i settori.  Questo divario, fa notare Oxfam,  sta diminuendo, ma all'attuale ritmo di riduzione ci vorranno almeno  75 anni per concretizzare il principio della parità di salario a parità di lavoro. E poi sono 600 milioni le  donne, pari al 53% delle lavoratrici del mondo, che  non hanno la sicurezza del posto lavoro e generalmente non sono tutelate dalla legge.

Salario minimo e Welfare
Tra le raccomandazioni fatte da Oxfam nel report per uscire dalla spirale della povertà ci sono  la necessità che gli Stati del promuovano politiche tese a garantire un salario minimo dignitoso; ridurre il divario tra le retribuzioni di uomini e donne;  assicurare reti di protezione sociale e accesso a salute e istruzione gratuite per i loro cittadini. L'accesso a servizi essenziali gratuiti è ritenuto fondamentale per rompere il ciclo della povertà tra le generazioni. Basterebbe poi  l'1,5% delle super-ricchezze basterebbe per garantire istruzione e sanità a tutti i cittadini dei paesi più poveri. Oxfam calcola che una tassazione di appena l'1,5% sui patrimoni dei miliardari del mondo, se praticata subito dopo la crisi finanziaria, avrebbe potuto salvare 23 milioni di vite nei 49 Paesi più poveri fornendo loro il denaro da investire in cure sanitarie.
L'Italia non s'è desta
Il divario tra sud e nord del mondo è sempre più accentuato. Ma il fenomeno dilaga anche nei paesi avanzati. E purtroppo anche in Italia. Secondo l'OCSE, da metà degli anni '80 fino al 2008, la disuguaglianza economica è cresciuta del 33% (dato più alto fra i paesi avanzati, la cui media è del 12%). Al punto che oggi l'1% delle persone più ricche detiene più di quanto posseduto dal 60% della popolazione (36,6 milioni di persone); mentre dal 2008 a oggi, gli italiani che versano in povertà assoluta sono quasi raddoppiati fino ad arrivare a oltre 6 milioni, rappresentando quasi il 10% dell'intera popolazione. Secondo la Coldiretti sono 4 milioni gli italiani che chiedono un aiuto per mangiare.  Per la Cia, la confederazione degli agricoltori,  le famiglie che hanno tagliato gli acquisti alimentari sono addirittura il 65% del totale.
Povero Gini

Corrado Gini  (1884-1965) è stato uno statistico italiano di fama internazionale. La sua notorietà, oltre al fatto di aver diretto per primo la neonata Istat (dal 1926 al 1932),  è legata anche all'indice che porta il suo nome e che misura la concentrazione delle disuguaglianze.  Il  coefficiente di calcolo è stato sviluppato da Gini nel 1912 sulla base delle differenze di reddito, il cui valore può variare tra zero e uno, oppure  può essere espresso in percentuali da 0% - 100%. Valori bassi indicano una distribuzione  omogenea, mentre valori alti una distribuzione più disuguale.  Con la soluzione di Gini, la statistica sociale esce dalle variabili "mediane" (che rappresentante la maggior parte della popolazione, come il reddito procapite) per analizzare invece le differenze. Fino a ieri questo termometro misurava le distanze tra mondo industrializzato e quello in via di sviluppo. Oggi è solco sempre più profondo che divide l'Italia.  L'indice di disuguaglianza nel nostro paese è pari 0,32 a livello nazionale, 0,34 nel Sud. Il che vale a dire che il 20% più ricco delle famiglie percepisce il 37,7% del reddito totale, mentre al 20% più povero spetta il 7,9%.

domenica 23 novembre 2014

Parma: delegato minacciato di licenziamento durante trattativa sindacale

Nell’Italia dei nostri giorni accadono cose che solo pochi anni fa sarebbero state impensabili. Ormai i capitalisti e i loro portaborse si sentono così sicuri del loro potere di comando sui loro lavoratori da ostentare una sfacciataggine e un’arroganza che possono trovare spiegazione solo nella consapevolezza che ormai potere politico, amministrativo e giudiziario sono docili strumenti al loro servizio e permettono a lor signori di fare i propri comodi, calpestando la dignità e i diritti dei loro dipendenti a piacimento.
Tutti i giorni abbiamo modo di verificare piccole e grandi angherie ai danni dei lavoratori. Angherie che nella stragrande maggioranza avvengono lontane dai riflettori dei media e che si moltiplicano giorno dopo giorno. Una di queste tante, troppe prepotenze padronali è accaduta recentemente a Parma alla Bormioli Luigi, vetreria che, grazie alla fatica dei suoi dipendenti che sgobbano tutti i giorni dell’anno, sabati e domeniche compresi, ha fatto quest’anno 12 milioni di euro di profitto. Durante una trattativa sindacale, l’amministratore delegato dell’impresa si rivolge a un delegato “scomodo” con la frase: “Lei stia attento al suo posto di lavoro”. Ovviamente il contesto in cui la frase è stata pronunciata non lascia spazio a dubbi interpretativi: si è trattata di una minaccia di licenziamento al delegato che prendeva sul serio il mandato conferitogli dai lavoratori.
In settimane in cui decine di migliaia di lavoratori scioperano e scendono in piazza perché sono perfettamente consapevoli che le “riforme” di Renzi e compari avranno come unica conseguenza quella di eliminare le residue garanzie e tutele, il “piccolo” episodio di Parma assume una “grande” valenza: i delegati che fanno il loro dovere rischiano il posto di lavoro. Per evitare che questo diventi la regola, per evitare che i padroni possano tornare, come nel diciannovesimo secolo, a comandare indisturbati nelle loro fabbriche con operai e impiegati trattati come servi bisogna mobilitarsi e solidarizzare con quanti vengono colpiti da questa arroganza e far capire ai padroni e ai loro scagnozzi che i lavoratori e i loro delegati hanno il sostegno di tanti altri lavoratori. Bene pertanto ha fatto la CUB, l’organizzazione sindacale alla quale è iscritto il delegato minacciato, a proclamare un’ora di sciopero con presidio davanti alla Bormioli Luigi. Riteniamo importante che i lavoratori, i delegati (a qualsiasi sindacato aderiscano), i militanti politici diano il loro contributo, testimoniando la loro solidarietà e partecipando in massa (soprattutto da Parma, da Reggio Emilia e dalle zone limitrofe) al presidio in solidarietà al delegato minacciato di licenziamento.

Lunedì 24 novembre dalle ore 13 a Parma davanti alla Bormioli Luigi (via Moletolo)
Presidio in solidarietà al delegato minacciato di licenziamento

Partecipiamo in massa

SGOMBERI AL CORVETTO: ci associamo e volentieri pubblichiamo il volantino di NO AUSTERY


venerdì 21 novembre 2014

UN 25 NOVEMBRE DI LOTTA!

Il maschilismo può esprimersi in diverse forme che sono tutte presenti nella nostra società: la più rilevante e la più discussa è la violenza di genere (violenza sessuale, psichica, verbale) che colpisce una percentuale rilevante delle donne della nostra società.

Il maschilismo non si esprime solo in questa forma ma anche nel ridicolizzare le donne, nella mercificazione del corpo femminile che vediamo ogni giorno in trasmissioni e pubblicità in tv, nello svalorizzare la donna sul posto di lavoro.

Il maschilismo tuttavia non è un semplice fatto di condotta individuale: è invece un'ideologia utilizzata dal sistema capitalista per sfruttare le donne e, attraverso loro, sopperire ai servizi sociali che un sistema in crisi si trova a dover ridurre drasticamente. A questo proposito le donne vengono sempre di più relegate tra le mura domestiche ad occuparsi dell'accudimento e della cura di anziani, bambini, disabili, eliminando sempre di più i momenti dedicati alla vita sociale e politica.

L'educazione dominante educa la società e la donna ad essere identificata come “l'angelo del focolare”, educa a ritenerla un essere fragile e debole, utilizzando tale idea come strumento di sfruttamento sui posti di lavoro dove le donne subiscono violenze e pressioni psicologiche, ed a pari mansioni degli uomini percepiscono un salario inferiore.

Non è possibile porre fine alla violenza maschilista e all'oppressione delle donne in un sistema capitalista che ha come linfa vitale lo sfruttamento del proletariato e quindi delle proletarie e di tutte le donne che sono la metà della classe lavoratrice di tutto il mondo.

Per questo non releghiamo la lotta al maschilismo come una questione “solo femminile” perché la lotta contro il maschilismo e la lotta contro l'oppressione e lo sfruttamento vanno insieme.

SOLO LOTTANDO CONTRO LA VIOLENZA DEL CAPITALISMO
SI LIBERA LA DONNA DAL MASCHILISMO E DALLO SFRUTTAMENTO!!!


Donne in Lotta di No Austerity

lunedì 17 novembre 2014

Dopo il 14 novembre

Analisi interessante di Cosimo Scarinzi

Nell’agitazione e nel tumulto della battaglia, può sembrare ci sia disordine; nel caos e nella confusione, le file dei reparti possono sembrare senza testa o coda; eppure tutto ciò si può dimostrare utile per evitare la sconfitta.
Sun Tzu, L’arte della guerra
 Una valutazione della partita che si è giocata e, soprattutto, di quella che prende le mosse dallo sciopero del 14 novembre deve tener conto di, almeno, tre livelli sui quali si sta dando - la riuscita dello sciopero del sindacalismo di base, la relazione con i movimenti, la dialettica con la "discesa in campo" della FIOM e della CGIL - e che rimandano inevitabilmente l'uno agli altri.
 Come è noto la data del 14 novembre è stata proposta da un'assemblea di movimento e assunta, non senza qualche problema, dall'assieme dei sindacati di base.
Questa doppia genesi è simbolicamente raffigurata nell'utilizzo di due definizioni, sciopero generale e sciopero sociale che si intrecciano ma non si risolvono l'una nell'altra.
 I settori di movimento che hanno, infatti, posto l'accento sullo sciopero sociale hanno visto nel 14 novembre essenzialmente l'occasione per dare voce all'universo del lavoro precario, autonomo, deregolamentato individuato sovente come il nuovo corpo centrale della classe, come la condizione verso la quale lo stesso job act, individuato come conclusione di un processo storico, porta la working class tradizionale e dalle cui esigenze materiali, essenzialmente la garanzia del reddito, si devono prendere le mosse.L'area sindacale conflittuale e, in particolare, la CUB, pur guardando con grande attenzione a questo segmento della working class ed assumendo la necessità di allargare il fronte delle lotte e dell'organizzazione, è convinta che, per un verso, non si può abbandonare il conflitto sui posti di lavoro, per la difesa di salario e diritti, e, per l'altro, che solo un intreccio fra diversi segmenti della working class possa permettere un'iniziativa forte e vincente. Non si tratta di una, legittima ed orgogliosa, difesa della propria storia ma di una valutazione assolutamente razionale sui caratteri effettivi e non letterari dello scontro sociale in atto.
Si tratta in ogni caso di questioni che meriterebbero una riflessione approfondita ed uno sforzo di analisi e di azione e che dovremo riprendere nel prossimo periodo.
Per ora è opportuno tener presente il fatto che l'idea che ci attende la precarizzazione universale è, sotto il profilo teorico, una forzatura che non tiene conto della natura reale, complessa e contraddittoria, dei rapporti effettivi fra le classi e che, per l'altro, rischia di adattarsi, inconsapevolmente, all'offensiva di parte statale e capitalista.
Facciamo solo un paio di esempi, nelle assemblee che hanno preceduto lo sciopero è stato autorevolmente sostenuto, un nome per tutti, il professor Andrea Fumagalli, che lo sciopero "tradizionale" è un arcaismo senza rilevanza e che l'unica forma di conflitto efficace è il blocco della circolazione delle merci. Qualcuno è arrivato a sostenere, per sovrammercato, che la liquidazione dei diritti previsti dallo statuto dei lavoratori è questione di poco momento visto che la precarizzazione li ha già liquidati per una parte consistente della classe.A questo punto nasce una domanda sin banale, se fosse così, perché il 10 gennaio 2014 Confindustria e CGIL CISL UIL si sono accordate per rendere impossibile o quasi lo sciopero e la stessa esistenza nelle aziende del sindacalismo di base? Non avevano nulla di meglio di fare? Sono dispettose?
Quando poi si sottovaluta l'impatto devastante delle misure sullo statuto dei lavoratori, non solo l'art. 18 ma anche il demansionamento e il controllo a distanza, è bene ricordarlo, si lascia campo libero all'avversario di classe e sostituendo al necessario confitto reale uno conflitto potenziale tanto vagheggiato quanto ineffettuate.
 Si tratta, di conseguenza, nel dibattito che attraversa l'opposizione sociale di porre l'accento sul carattere propriamente storico della lotta di classe, sul suo essere un intreccio di conflitti in contesti diversi, sulla necessità di difendere quanto abbiamo conquistato e, nello stesso tempo, di praticare forme di lotta nuove proprio perché adeguate al nuovo quadro produttivo e sociale.
 Il 14, d'altro canto, ha visto la discesa in campo della FIOM e della stessa CGIL plasticamente rappresentata dalla marcia, mano nella mano, di Maurizio Landini e Susanna Camusso. Una scelta che ha un impatto ed un significato da non sottovalutare.
Per un verso, è chiaro che la CGIL si ricompatta al suo interno, per l'altro si ripete una situazione non del tutto nuova ma nemmeno priva di novità con la CGIL che parte in solitaria e lascia CISL e UIL al palo.
Già avevamo assistito a consimili sparigliamenti ai tempi dei governi della destra ma questa volta la rottura forte fra PD e CGIL è un fatto da non rimuovere dalla nostra riflessione.
Basta pensare alla scelta della CGIL di sostenere il referendum contro la legge Fornero proposto dalla Lega Nord, una CGIL abituata da sempre al collateralismo con PCI - PDS - DS - PD fa una scelta "scandalosa" e sostiene un'iniziativa non gradita a quello che, sino a ieri, è stato il suo partito di riferimento. Per certi versi la CGIL si decide a fare sindacato senza subalternità e dando un giudizio di merito sulla questione e, nello specifico, su di una legge infame qual'è la Fornero ma, visto che l'autonomia dal quadro politico non è certo nel suo DNA, non è un fatto irrilevante.
 Siamo insomma in una situazione nuova soprattutto se poniamo in relazione il quadro politico e sindacale con la situazione sociale, con la crisi profonda che attraversa la società, con l'irrompere per la prima volta sulla scena di una destra sociale dalle chiari radici fasciste che non si esprime solo con il voto ma che agisce sul campo con mobilitazioni forti e visibili.
 Se quanto sinora rilevato è esatto, si tratta di operare, quantomeno, su due fronti:
 - operare ad una sintesi alta e senza alcuna semplificazione intellettualistica fra conflitto nelle aziende, sul territorio, a livello generale in difesa di salario, reddito, diritti, libertà senza lasciare scoperto alcun terreno e iniziative volte ad allargare il fronte costruendo momenti di azione comune con i settori della working class che la precarizzazione del lavoro e l'innovazione tecnologica hanno prodotto;
 - cogliere gli spazi che la crisi del corporativismo democratico sta aprendo, si tratta di evitare ogni subalternità alla CGIL, ogni illusione su di un suo rinverginamento, ogni codismo e, nello stesso tempo,. di aprire una dialettica reale con quei settori di lavoratori, delegati, militanti sia aderenti a CGIL CISL UIL che non inquadrati in queste organizzazione che intendono scendere in campo nei fatti e non solo sul piano del discorso.A questo fine è necessaria un'azione intelligente di riapertura del confronto fra sindacati di base nella consapevolezza che siamo in tempi interessanti, in tempi nei quali si gioca la possibilità di una ripresa di iniziativa che, evitiamo illusioni, non dipende solo da noi ma che noi possiamo cogliere appieno solo se sapremo proporre ai lavoratori ed alle lavoratrici che si mobilitano ipotesi credibili di lotta e di coordinamento.
Da questo punto di vista, la buona riuscita dello sciopero del 14 non scontata se si considera il solito fragoroso silenzio del media, le pressioni delle aziende e delle amministrazioni pubbliche per farlo fallire, la "discesa in campo" della CGIL che ha indetto, pare, sciopero per il 5 dicembre proprio, guarda caso, alla vigilia dello sciopero del 14 novembre, l'alzata di ingegno di USB che ha scioperato in solitaria e a meri fini autopromozionali il 24 ottobre per poi stare anche sul 14 novembre, è una condizione di partenza da non sprecare.


giovedì 13 novembre 2014

Volantino sciopero generale del Coordinamento Cub Pirelli Bollate

Bollate, 7 novembre 2014

RAGAZZI STANNO ARRIVANDO A NOI
JOBS ACT: ATTACCO PESANTE DEL GOVERNO AI DIRITTI DEI LAVORATORI

In questi anni anche noi abbiamo subito un attacco nel salario e nei diritti. I nostri salari sono diminuiti non solo perché siamo passati dal ciclo continuo ai 15 turni. Gli aumenti previsti nei contratti nazionali non hanno coperto l’aumento inflazionistico con la conseguente perdita di valore degli stipendi.
Alla fine però non ci siamo opposti molto. Comunque stavamo meglio che tanti altri lavoratori e non subivamo il netto peggioramento che andava invece ad intaccare operai di altri settori e tutta la galassia dei precari. Ora siamo arrivati a giovani che lavoreranno gratis per expo 2015 anche per un accordo sindacale firmato da Cgil-Cisl-Uil.
Non essendoci mossi noi ci ha pensato qualcun’ altro arrivando alla situazione odierna di un attacco senza precedenti alla classe operaia. Ci vogliono rendere schiavi; lavorando sorvegliati a distanza dalla telecamera o dal computer a piacimento dell’azienda oppure se a giudizio dell’azienda non rendi abbastanza, o se magari pretendi il rispetto del tuo lavoro, puoi essere demansionato a piacere perdendo qualifica o salario. Infine con l’abolizione definitiva dell’articolo 18 chi alza la testa e prova ad organizzare la protesta può venire sbattuto fuori senza colpo ferire, ma basterebbe una risposta fuori luogo al proprio capo per trovarsi fuori dell’azienda. In pratica vogliono diffondere una fottuta paura nelle fabbriche spingendoti ad accettare qualunque cosa.
Tra l’altro l’intenzione governativa è abbastanza chiara. Con la decontribuzione ai nuovi assunti si vuole sostituire i lavoratori anziani che costano di più e rendono meno. Una richiesta avanzata dai padroni per liberarsi di lavoratori con anni di anzianità nei posti di lavoro e che potrà riguardare anche noi in Pirelli. Un motivo in più per chiudere il nostro stabilimento e assumere magari a Torino giovani pagati meno e più prestanti fisicamente.
Per tutti questi motivi occorre il 14 scioperare con il sindacalismo di base
Solo rafforzando coloro che si vogliono opporre efficacemente, ci sarà la possibilità di bloccare le misure di cui abbiamo fatto cenno. Da questa crisi se ne potrà uscire solo se riusciremo a far sentire la nostra voce contro la politica di austerità imposta dall’unione europea e dal governo italiano.
Siamo tutti coinvolti , partecipare è difendere il futuro , invertiamo la rotta del tracollo dei diritti.

Stai con la CUB , perché è l’unica maniera di stare dalla TUA parte.



Coordinamento Cub Pirelli Bollate

martedì 11 novembre 2014

RESOCONTO DELL'ASSEMBLEA DELL'8 NOVEMBRE A FIRENZE CONTRO IL JOBS ACT E CONTRO L'ACCORDO VERGOGNA SULLA RAPPRESENTANZA

Sabato 8 novembre a Firenze circa 120 attivisti sindacali provenienti da tante situazioni di lotta di tutto il Paese, oltre a studenti, disoccupati, compagne e compagni di tante realtà politiche e sociali di tutta Italia, si sono riuniti per dire no a Jobs Act, Legge di Stabilità, accordo della vergogna e leggi razziste.
Erano presenti in sala ed hanno partecipato al dibattito delegati di realtà sindacali territoriali diverse - Cub, Usi, Si.Cobas, Fiom, sinistra Cgil - uniti nella volontà di costruire un percorso comune di lotta e resistenza agli attacchi del governo e dei padroni. Un risultato straordinario e unico nel panorama sindacale italiano, usualmente caratterizzato da una forte frammentazione.

Un dibattito partecipato e internazionale
Erano seduti al tavolo della presidenza Sandro Bruzzese dell'Usi (unica confederazione sindacale nazionale che ha aderito, per ora, alla campagna promossa da No Austerity), Ivan Maddaluni (ferroviere della Cub Trasporti Toscana), Patrizia Cammarata (rsu del Comune di Vicenza) e Fabiana Stefanoni (del coordinamento nazionale di No Austerity).
Il dibattito - introdotto da una relazione di Ivan Maddaluni e concluso da Fabiana Stefanoni - è stato molto partecipato, con interventi di delegati delle seguenti realtà: coordinamento No Austerity, Confederazione sindacale Usi, Flmuniti Cub Parma, rsu Cub Cobas Telecom Puglia, Allca Cub Bolzano, Si.Cobas Bergamo, Associazione Lavoratori Pinerolesi, Fisac Cgil Cremona, Cub Toscana, Rsu Bordo 47 Trenitalia, Licenziati politici Esselunga di Pioltello, Il sindacato è un'altra cosa-opposizione Cgil Cremona, rsa Fiom Ferrari, Cub Sur nazionale, attivisti Cub Vicenza, Cub Sanità di Salerno e Firenze, Cub Telecom Toscana, operai del presidio Dielle di Cassina de' Pecchi, studenti dei collettivi, coordinamento disoccupati milanesi, Associazione donne immigrate, Donne in lotta di No Austerity, ecc.
Pur non avendo aderito all'assemblea, anche il Si.Cobas nazionale ha portato un contributo al dibattito con un intervento di Fabio Zerbini.
Molto applaudito l'intervento di Cacau Pereira, responsabile esteri della Csp Conlutas del Brasile, che ha portato i saluti del suo sindacato e della Rete Sindacale Internazionale di Solidarietà e di Lotta (a cui aderisce anche il coordinamento No Austerity, insieme con centinaia di sindacati conflittuali e comitati di lotta di tutto il mondo). Sono stati letti anche i saluti del sindacato di base francese Solidaires e dei Co.Bas di Spagna, che ci hanno incoraggiati a proseguire sulla strada dell'unità delle lotte, sia in Italia che su scala internazionale, ribadendo il loro sostegno alla campagna contro l'accordo della vergogna e contro il Jobs Act.

Le decisioni dell'assemblea 
L'assemblea ha ribadito con fermezza la contrarietà all'accordo vergogna sulla rappresentanza siglato il 10 gennaio 2014, che intende smantellare qualsiasi libertà sindacale e agibilità per tutti i sindacati che non accettano di diventare complici dei padroni. E' stata discussa e approvata all'unanimità una risoluzione per proseguire unitariamente la lotta contro Jobs Act, Legge di Stabilità, razzismo e accordo della vergogna, con l'impegno di tutte le realtà presenti a portarsi solidarietà reciproca: una dimostrazione della volontà di proseguire con determinazione la battaglia contro queste misure che attaccano frontalmente il sindacalismo conflittuale e il diritto di sciopero, misure attraverso cui padroni e governo cercano di indebolire le lotte dei lavoratori.
L'assemblea ha anche fatto appello - sia nella risoluzione votata sia negli interventi dalla presidenza e della platea - a promuovere e rafforzare lo sciopero generale e sociale del 14 novembre, proclamato dal sindacalismo di base (e dalla Fiom nel Nord Italia), dagli studenti, dai comitati dei precari e dei disoccupati, dai movimenti di lotta ("strike meeting"): una giornata fondamentale per rafforzare l'opposizione di classe al governo Renzi.
Sono infine stati votati due ordini del giorno, uno in solidarietà agli operai metalmeccanici della Embraer di Sao José dos Campos del Brasile, che sono in sciopero a oltranza a difesa del salario, e uno contro la repressione delle lotte, in solidarietà ai tanti lavoratori che subiscono la repressione poliziesca, tra cui gli operai dell'Ast e i lavoratori della logistica.
La giornata si è conclusa nell'entusiasmo di tutti i compagni presenti per aver rafforzato un percorso di unificazione delle lotte, difficile ma imprescindibile per creare i rapporti di forza necessari per respingere gli attacchi del governo e rafforzare un'alternativa di lotta alla violenza del sistema capitalistico.
No Austerity - Coordinamento delle Lotte







lunedì 3 novembre 2014

SOLIDARIETA' INTERNAZIONALE

SOLIDARIETA’ PER  WALTER “ EL PERRO”

IL COORDINAMENTO CUB LAVORATORI PIRELLI ESPRIME LA PIENA  SOLIDARIETA’ A EL PERRO, LAVORATORE E ATTIVISTA NELLO STABILIMENTO ARGENTINO DELLA PIRELLI  CHE IN QUESTO MOMENTO STA SUBENDO UN VERO E PROPRIO ATTACCO PADRONALE.
Purtroppo di continuo si viene colpiti solo perché si mettono in risalto problemi che “alcuni personaggi” ( staff dirigenziale) non vogliono si risolvano e usando  lo spauracchio del licenziamento cercano di  frenare la volontà di cambiare le cose. Il tutto poi accentuato dal fatto che IL NOSTRO COLLEGA  si sarebbe dovuto candidare per le elezioni sindacali.
E’ ora di dire ad alta voce BASTA è ora di reagire a questo sistema che continua a reprimere ed oscurare i diritti dei lavoratori per questo che NOI invitiamo Walter a RESISTERE e continuare a LOTTARE.

RESISTERE UN MINUTO IN PIU’ DEL PADRONE

SALUTI DI LOTTA

COORDINAMENTO CUB LAVORATORI PIRELLI BOLLATE 

domenica 2 novembre 2014

Capitale e lavoro :: No all'accordo sulla Rappresentanza Quattro domande al Coordinamento No Austerity

L'8 novembre, a Firenze si terrà un'assemblea pubblica nazionale, convocata dalle realtà sindacali aderenti all'appello lanciato dal Coordinamento Nazionale No Austerity contro l'Accordo sulla rappresentanza. All'ordine del giorno, non vi è solo l'opposizione a questa restrizione delle libertà sindacali, ma anche al precariato come modello sociale. Al fine di rendere maggiormente chiari a chi legge i presupposti dell'iniziativa, abbiamo raggiunto i compagni e le compagne del Coordinamento No Austerity per farci spiegare sinteticamente il loro percorso e come intendono contribuire all'unificazione delle lotte in Italia.
 Intanto, ci piacerebbe sapere quando è nato il Coordinamento No Austerity, e chi lo compone
Il coordinamento No Austerity è nato in occasione di un'assemblea nazionale a Cassina de' Pecchi (nel milanese), nel dicembre del 2012. In quel territorio, allora, erano in corso alcune lotte importanti, in particolare la lotta dei lavoratori della logistica all'Esselunga di Pioltello e la lotta della Jabil (in occupazione e presidio permanente). A partire da queste due esperienze di lotta, e con la partecipazione di tante altre realtà di lotta d'Italia (tra cui gli operai della Ferrari di Maranello, a cui spetta l'invenzione del nome "No Austerity"), è nato il coordinamento delle lotte.
E' un coordinamento che raggruppa singoli attivisti, sindacati, comitati di lotta e di fabbrica, organizzazioni di movimento e politiche, associazioni e collettivi studenteschi. Aderiscono a No Austerity, tra gli altri, lavoratori e lavoratrici, nativi e immigrati, studenti, attivisti di movimento delle seguenti realtà: Fiom Ferrari, Flmuniti-Cub Ferrari, Si.Cobas Esselunga di Pioltello, lavoratori delle cooperative in lotta, operai Marcegaglia di Casalmaggiore e Milano, operai Same di Treviglio, operaie Jabil-Nokia di Cassina de' Pecchi, Rete di sostegno attivo Jabil-Nokia-Siemens, Cub Vicenza, Rsu Fiom OM Carrelli Bari, Coordinamento Migranti di Verona, Movimento No Tem, operai Fiat Irisbus - Resistenza Operaia, Coordinamento Operai Cub Pirelli (Bollate), attivisti Cub Toscana, Coordinamento Lavoratori Autoconvocati, Rete operaia Val Seriana, Coordinamento Pugliese Lavoratori in Lotta, Coordinamento Scuola Mantova, precari della scuola, Voci della Memoria - Comitato No Eternit, Cub Sanità Cremona, Usb P.I. Vimodrone, Cub Sur Modena, Cub Caltanissetta, Il sindacato è un'altra cosa - Opposizione Cgil (Cremona), Cub Sanità Salerno dell'AOU Ruggi d'Aragona, ALP/Cub (Associazione Lavoratori Pinerolesi aderente alla Cub). Contribuiscono alla costruzione del coordinamento anche tanti singoli attivisti, senza una precisa collocazione politica o sindacale.
No Austerity nasce con l'intento di costruire una solidarietà reciproca tra lotte diverse, a partire dalla convinzione che l'isolamento ci indebolisce, l'unità ci rafforza. Ma è anche un progetto più ampio, che abbiamo cercato di definire in varie assemblee successive (un'assemblea a Maranello, il "No padroni Day", nel febbraio del 2013 e un'assemblea alla Rimaflow di Milano, nell'ottobre 2013): un progetto in marcia, aperto al contributo di tutte le realtà che decidono di parteciparvi. Soprattutto, un progetto costruito rispettando un principio basilare: quello della democrazia operaia. Le decisioni si discutono e si assumono collettivamente, senza prevaricazioni o autoproclamati leader. Nel marzo 2013 abbiamo aderito alla Rete Sindacale di Solidarietà e di lotta, nata a Parigi, con l'intento di estendere la solidarietà a livello internazionale.

Sappiamo che avete lanciato un appello contro l'accordo-vergogna sulla rappresentanza. Che tipo di risposta ha avuto e attraverso quali altre iniziative avete espresso la vostra opposizione a questo attacco alla libertà sindacale?
Abbiamo deciso di intervenire su questa tematica perché era evidente che dopo il sussulto immediatamente successivo all'Accordo Vergogna, che aveva portato anche allo sciopero del sindacalismo di base di ottobre scorso, la mobilitazione stava scemando tanto che alcune importanti realtà del sindacalismo di base iniziavano a capitolare cedendo alla tentazione della firma e boicottando il diritto di sciopero con la possibilità di mantenere le rappresentanze sindacali.
Allora ci siamo impegnati trasversalmente ed in maniera unitaria per rilanciare l'attenzione e la lotta su questo fronte, raggruppando una serie di realtà e di attivisti impegnati in prima linea contro quest'accordo vergognoso.
L'appello contro la firma dell'accordo ha avuto una risposta notevole, sono decine le organizzazioni sindacali territoriali che lo hanno sottoscritto , moltissimi anche i dirigenti e attivisti sindacali (diversamente collocati) che ne hanno condiviso i contenuti. Crediamo che sia servito per smuovere un po' le acque, contribuendo a far prendere una posizione netta contro la firma ad alcune realtà del sindacalismo conflittuale.
Oltre all'appello, abbiamo anche partecipato, a fine giugno, alle iniziative di lotta organizzate in varie città (23, 25, 26 giugno), attivandoci per favorire la più ampia partecipazione di realtà sindacali e di lotta a queste giornate.

Per l'8 novembre, a Firenze, è prevista un'assemblea nazionale: ce ne potete illustrare gli obiettivi?
Lo scopo dell'assemblea dell'8 novembre è, in primo luogo, quello di permettere un confronto tra tutte le realtà che hanno aderito alla nostra campagna, al fine di decidere, insieme, come proseguire e rafforzare la lotta contro questo attacco alla democrazia nei luoghi di lavoro. A Firenze ci saranno le realtà sindacali che non accettano il ricatto della firma: ma è necessario confrontarsi per capire come proseguire e rilanciare la battaglia. Non vogliamo darla vinta a Confindustria e alle direzioni di Cgil, Cisl e Uil, che hanno siglato questo accordo per indebolire e distruggere il sindacalismo conflittuale.

Il 14 novembre, in Italia, si avrà una scadenza di lotta peculiare: lo sciopero generale e sociale contro le politiche del governo Renzi e dell'UE, co-promosso da importanti espressioni del sindacalismo di base, dell'antagonismo sociale e dell'associazionismo diffuso. Come intendete rapportarvi a questo passaggio di lotta?
Il Coordinamento No Austerity ha deciso di sostenere la giornata di sciopero del 14 novembre, facendo appello ai lavoratori e alle lavoratrici, ai disoccupati, agli studenti a sostenerla attivamente, come potete leggere nel nostro comunicato a supporto della giornata di sciopero, pubblicato sul nostro sito:
http://www.coordinamentonoausterity.org/

A cura de Il Pane e le rose - Collettivo redazionale di Roma